Y tu mamá también è il film per una generazione che deve imparare a coniugare istinti e sentimento

Nel suo libro Rutas del Cine Mexicano contemporáneo 1990-2006, l’autrice Carla González Vargas racconta l’evoluzione che l’industria cinematografica messicana ha vissuto a partire dagli anni Novanta, quando la filmografia nazionale iniziò ad essere più libera, coraggiosa e di qualità rispetto al passato. González parla di “Nuevo Cine Mexicano” e utilizza come esempio per spiegare questo passo avanti Y tu mamá también, il film del 2001 diretto da Alfonso Cuarón. Quest’opera riesce infatti a mantenere il forte elemento di critica sociale che contraddistingueva il cinema latino già dagli anni Sessanta, senza rinunciare a intrattenere lo spettatore con una buona trama. Come scrive Deborah Shaw in Contemporary Latin American cinema: Breaking into the global market, film come Y tu mamá también “riescono a filtrare temi importanti attraverso la narrazione di una storia che rimane comunque personale, intima e centrata sui personaggi”. Oggi il film di Cuarón è rimasto nella memoria collettiva perché resta attuale nel raccontare una generazione di giovani incapaci di comprendere come si sentono e le proprie emozioni in un mondo altrettanto confuso.

La storia di Julio e Tenoch è molto semplice ed è facile empatizzare con loro. Dopo la partenza delle rispettive fidanzate, i due ragazzi conoscono a un matrimonio Luisa, una donna spagnola più grande di loro, sposata col cugino di Tenoch. Per impressionarla, decidono di invitarla a partire insieme alla volta di una spiaggia che in realtà neanche esiste. Dopo aver scoperto due verità dolorose sulla sua vita, Luisa li sorprende e decide di accettare la proposta. Da lì in poi il film assume la struttura un classico on-the-road. Accompagnati da Luisa, Julio e Tenoch intraprendono un viaggio verso la maturità. I due amici partono senza preoccupazioni, ma senza neanche quel bagaglio di esperienze che spesso servono a dare spessore a un essere umano.  Anche la loro intimità si rivelerà essere più una fantasia che la spia di uno stretto legame. La loro amicizia si basa semplicemente sul condividere la stessa età, lo stesso approccio giocoso e superficiale al sesso e una fascinazione per le droghe leggere. Tutto questo però non sembra sufficiente a imbastire un rapporto profondo e a lungo termine. La loro è un’amicizia giovanile, di quelle che scompaiono quando si inizia a maturare e a prendere scelte in autonomia.

Con il proseguire del film, appare chiaro che i due personaggi siano troppo diversi e provengano da mondi troppo lontani per rimanere amici anche da adulti. Julio vive con la madre single, senza aver mai avuto una figura paterna a guidarlo, mentre Tenoch il padre ce l’ha ed è un politico corrotto con una laurea ad Harvard. Quest’ultimo ha scelto un nome azteco per il figlio dopo aver riflettuto sul fatto che chiamarlo “Hernán”, come il conquistatore Cortés, non fosse una gran mossa per guadagnarsi la simpatia degli elettori.

I nomi dei personaggi sono in generale usati nel film per evidenziare le differenze sociali tra loro. Il borghese Tenoch prende il nome dal sommo sacerdote di Huitzilopochtli, Dio della guerra cui venivano fatti innumerevoli sacrifici umani. Julio invece fa di cognome Zapata, come uno dei leader della rivoluzione messicana del 1910, che agiva al fianco di contadini e indigeni. Non è un caso che, in tutto questo, il nome completo della spagnola sia Luisa Cortés, come il già citato conquistador. Tenoch rappresenta quindi un vecchio modello di società, ostaggio di regole e divisioni di classe, mentre Julio è figlio di quella classe medio-bassa che desidera emanciparsi. Tra di loro si inserisce Luisa, che rappresenta quell’affascinante cultura europea che se da una parte può aiutare il Paese a crescere, dall’altra può anche fare emergere grosse divisioni interne. Non a caso è proprio lei a far litigare i due compagni di viaggio, che sono lo specchio delle due anime di una nazione altrettanto bloccata in un’eterna adolescenza. Il Messico che si vede nel film è una terra di contrasti: si incontrano posti di blocco della polizia, ma anche feste animate dai mariachi, famiglie distrutte dal desiderio di cercare una vita migliore e locali pieni di vita. I nostri personaggi attraversano questo universo senza prestare troppa attenzione a ciò che li circonda: non hanno la maturità necessaria per preoccuparsi di qualcosa, a meno che non abbia un effetto diretto e immediato sulla loro vita.

Per raccontare tutto quello che accade mentre Julio e Tenoch continuano il loro percorso di crescita, il regista usa due strumenti: la voce fuori campo e la “mirada objetiva irreal”, che consiste nel non far coincidere lo sguardo della telecamera e quello dei protagonisti. Le parole del narratore raccontano la società in cui si muovono inconsapevolmente i tre personaggi, attraverso le storie di figure secondarie che restano spesso ai margini, nella trama come nella vita. È il narratore onnisciente a rivelare, per esempio, il futuro della famiglia di pescatori con cui il trio vive per qualche giorno: il loro paradiso finirà presto distrutto dal turismo di massa e al capofamiglia non resterà che abbandonare la pesca per trovare un’umile occupazione all’interno di uno dei resort appena costruiti. Anche quando racconta la sorte di questi sconfitti il tono di voce del narratore non cambia, rimanendo sempre neutro come in un documentario.

Come ha ammesso lo stesso regista, in certi momenti il film finisce per somigliare volutamente a un’opera di non fiction: la telecamera decide spesso di allontanarsi momentaneamente dalla storia principale per concentrarsi, insieme al narratore, su quello che dovrebbe rimanere sullo sfondo, facendolo emergere. In questi momenti la telecamera si distacca totalmente dai protagonisti, che restano chiusi nella loro bolla egoista. Cuarón non condanna tuttavia i suoi personaggi per il loro menefreghismo, non usa certi stratagemmi per minimizzare le loro difficoltà: le inserisce piuttosto in una prospettiva più ampia, facendo notare come crescere significhi soprattutto prendere sempre più coscienza del mondo che ci circonda.

 

Quello di Julio e Tenoch è un percorso anche metaforico, intrapreso facendosi accompagnare dalla più esperta Luisa. Lei rappresenta l’amore adulto, come Maude lo rappresentava per il giovane Harold in Harold & Maude, il film di cui si vede il poster nella primissima scena. L’educazione sentimentale a cui Luisa sottopone la coppia di amici porta con sé anche una nuova maniera di vedere il sesso, fino a quel momento relegato dai due a una dimensione puramente ludica. Fare l’amore per Julio e Tenoch è un gioco proibito, da praticare senza troppo impegno e di nascosto dagli adulti. Dopo aver incontrato Luisa, invece, il sesso diventa uno strumento per conoscersi e capirsi meglio. Su Rolling Stone, Peter Treves scrive: “Y tu mamà también è anche un film che usa il sesso per sbloccare segreti. I risentimenti che Julio e Tenoch provano l’uno verso l’altro arrivano a sottolineare un’attrazione omoerotica”. Una passione inconfessabile che viene inizialmente notata da Luisa e che rimane a lungo negata dai due ragazzi, troppo influenzati dai retaggi machisti della loro educazione per accettarla. Questo comunque non è l’unico aspetto della sessualità fatto emergere dalla donna spagnola. È Luisa infatti a evidenziare come Julio raggiunga il piacere troppo velocemente e come Tenoch abbia una sorta di complesso di Edipo, che lo porta a dire la parola “mamma” durante l’orgasmo. Si tratta ancora una volta di piccoli dettagli che servono a mostrare quanto i due giovani rimangano comunque inesperti e immaturi, pur atteggiandosi da uomini vissuti.

Il personaggio di Luisa è fondamentale anche perché, attraverso i suoi comportamenti a volte sopra le righe, spinge i ragazzi ad aprirsi alla vita e a cercare ciò che veramente li rende felici. Questo personaggio appare in tutta la sua umanità, per nulla sublimato o idealizzato per compiacere lo sguardo maschile.  Il ritratto che ne esce è quello di una persona vera che accetta di vestire i panni di Virgilio per i due ragazzi, perché sa che questo viaggio le permetterà allo stesso modo di iniziare un percorso di ricerca anche dentro di sé, necessario per accettare il peso di un tradimento e di una morte ormai prossima.

Luisa è una donna forte e combattiva, nonostante tutto. Lo capiamo già all’inizio quando nella sala d’attesa del medico, appena prima di scoprire la malattia, fa un test in cui ammette di dare più importanza al tempo che al potere e al denaro, di vivere ancorata al presente e di preferire stare sveglia piuttosto che vivere in un sogno. È una figura libera, senza legami, che non a caso lascia la storia gettandosi nel mare. Il suo insegnamento ai compagni di viaggio è riassunto nella frase con cui si congeda da loro: “La vita è come la schiuma, per questo bisogna allontanarsi come il mare”. E in queste parole si nasconde anche un’altra lezione fondamentale: è meglio accettare l’idea della morte e il fatto che tutto sia passeggero e possa avere una fine.

Il tema della morte è presente in tutta la pellicola. Quando Luisa racconta ai due ragazzi della sua prima volta, termina la storia spiegando che quel fidanzato morì poco dopo, alla stessa età dei protagonisti. E in un’altra scena insegna a una bambina come “fare il morto” in acqua. Evidenziare la presenza della morte in modo ricorrente serve anche a mostrare il valore della vita. Anche la colonna sonora serve a evidenziare la centralità di questo tema nel film. È Julio a voler ascoltare alla radio By this River di Brian Eno, un brano non a caso presente in un altro film dello stesso anno, in cui si parla proprio di come affrontare un lutto: La stanza del figlio, di Nanni Moretti.

 

La già citata presenza della voce fuori campo permette poi di trasformare la morte addirittura in uno strumento di critica sociale. Alla dipartita tutto sommato serena di Luisa è infatti contrapposta quella di tante vittime invisibili, schiacciate dalla povertà e da una società che tende a tagliare fuori i più deboli: dall’uomo che perde la vita per non arrivare tardi al lavoro fino alla bambina morta per un insolazione mentre provava a emigrare con i genitori. Quello che Cuarón racconta è un mondo duro, in cui la salvezza è solo momentanea. Anche quando i nostri eroi raggiungono la loro meta, la spiaggia paradisiaca di Boca del Cielo, non possono infatti dirsi soddisfatti. Il loro lieto fine è destinato a durare poco: quello stesso luogo scomparirà presto, fagocitato da una globalizzazione selvaggia che porterà allo sfruttamento indiscriminato di tutte le risorse, in nome di una logica iper-capitalista. Boca del Cielo resterà solo nei ricordi di quei due ragazzi, che vedranno finire anche la loro amicizia insieme a quel viaggio.

È normale che i legami giovanili possano deteriorarsi in fretta, ma quell’avventura permetterà a Julio e Tenoch di fare chiarezza sul loro modo di rapportarsi con gli altri e sulla propria intimità. Poco importa se dopo il viaggio non si frequenteranno mai più: è attraverso certe situazioni anche estreme che si cresce ed è questo il motivo per cui non si può fare a meno di un’educazione sentimentale fatta sul campo, nonostante tutto. Y tu mamá también è un invito a vivere, a sbagliare e ad amare con passione, fregandosene degli schemi prestabiliti. Per questo ha senso riguardarlo oggi, in un mondo sempre più cinico e svuotato da emozioni autentiche.

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