"Piccole donne" ci insegna che le donne possono essere tutto quello che vogliono - THE VISION

Fin da piccoli ci viene insegnato che esistono romanzi indirizzati solo alle femmine e altri solo ai maschi e il più delle volte tutto ciò che viene scritto da una scrittrice si presuppone riservato alle sole lettrici. Alcune storie sono però talmente potenti e universali da infrangere il muro del pregiudizio. A vent’anni di distanza dall’ultimo riadattamento cinematografico di Piccole donne, la regista statunitense Greta Gerwig, icona indiscussa della cinematografia coming of age incentrata sul racconto della crescita personale e sociale della donna, riporta al cinema la storia di Piccole donne e quella della forza inarrestabile e femminista delle sorelle March. Una storia che smentisce i pregiudizi sulla letteratura di genere e racconta con un respiro universale i compromessi alla base del diventare adulti .

Piccole donne è il romanzo più celebre di Louisa May Alcott, scrittrice statunitense che nel 1868 decise di scrivere la storia delle quattro sorelle March ispirandosi alla sua e a quella delle sorelle, su suggerimento del suo editore Thomas Nile, interessato a fornire un prodotto editoriale al pubblico femminile che si potesse contrapporre al canonico racconto di avventura “per ragazzi”. Alcott racconta la vita e il passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta di quattro ragazze: la saggia e pacata Meg, l’aspirante scrittrice e anticonformista Jo, la docile Beth e la vanitosa e amante del bello Amy vivono in un piccolo paese del Massachusetts in compagnia della madre, mentre il padre è al fronte durante la Guerra di secessione americana come cappellano al seguito dell’esercito. La loro vita è modesta e lontana dall’agio che prima della guerra arricchiva la famiglia: crescono con possibilità economiche limitate, ma impreziosite dalle passioni e dalle ambizioni artistiche e personali che mantengono, anche nei momenti più difficili, un posto di rilievo nella formazione di ognuna. Dalla sua prima pubblicazione, Piccole donne non ha mai smesso di essere letto e venduto. Nonostante il successo gli stereotipi di genere hanno spesso relegato i volumi delle sorelle March alle sole donne e il romanzo ha sempre sofferto di un’indifferenza a priori da parte del pubblico maschile. Anche la regista del nuovo rifacimento Greta Gerwig, in un’intervista durante la promozione del film in arrivo in italia il 9 Gennaio 2020, si è soffermata su questo pregiudizio affermando che “Il libro è un grande classico ed è incredibile che i maschi non lo leggano. Eppure noi abbiamo letto Moby Dick e ci siamo identificate anche se racconta di una balena e un branco di cacciatori in mare”.

Greta Gerwig e Saoirse Ronan sul set del film

Per molte generazioni Piccole donne è stato indispensabile per l’emancipazione personale di molte donne e scrittrici. Jo March, alter ego letterario di Alcott, è sempre stato il personaggio principale del romanzo, l’esempio che più delle altre ha insegnato a vivere la propria vita rifiutando le pressioni sociali, ma seguendo il proprio istinto. Jo è un’eroina protofemminista, un simbolo di emancipazione che nella metà dell’Ottocento ha insegnato a molte donne che esiste una vita al di fuori del matrimonio. Alcune delle scrittrici più importanti degli ultimi 150 anni, da Margaret Atwood, a Doris Lessing e Simone de Beauvoir, hanno dichiarato nelle interviste o nei propri scritti come la sorellanza delle sorelle March, e in particolare l’ambizione impetuosa di Jo, abbia dato loro la sicurezza e lo sprone necessario per avvicinarle alla scrittura e come l’impatto di questa personaggio femminile abbia segnato il loro futuro personale e professionale. La scrittrice Susan Sontag in un’intervista ha dichiarato che “senza Piccole donne e senza l’esempio di Jo March non sarebbe mai diventata una scrittrice”. Anche Elena Ferrante ne L’amica geniale racconta come le due piccole protagoniste leggano fino a consumare le pagine dei volumi di Piccole donne, ritrovandosi per leggerlo o a mente o ad alta voce “così tante volte che il libro diventò sudicio, sbrindellato, perse il dorso, cominciò a cacciare i fili, a sgangherare i quinterni. Ma era il nostro libro, lo amammo molto”. Una delle autrici più ispirate dal romanzo di Alcott è sicuramente la regista e attrice originaria di Sacramento Greta Gerwig, che dopo cinque anni di gestazione e scrittura – anni nei quali ha anche esordito il suo primo film Lady Bird nel 2017 – porta nelle sale il settimo adattamento cinematografico di Piccole donne, il secondo diretto da una donna dopo l’ultimo del 1994 diretto da Gillian Armstrong.

Nel nuovo film l’intento di Gerwig è quello di creare un elogio attraverso la sovrapposizione: la regista e la scrittrice Alcott si fondono nel personaggio di Jo e si alternano in un film fatto di armoniosi salti temporali tra il presente dell’età adulta e la candida adolescenza delle sorelle March. La trama non si districa solo tra il presente  e i ricordi delle sorelle, ma anche tra ciò che parla del romanzo, ciò che parla della scrittrice e ciò che fa trapelare la devozione e l’ammirazione di Greta Gerwig per la potenza delle protagoniste, e in particolar modo di Jo. Il film si apre con una scena fuori dal nucleo domestico che siamo soliti associare alla storia: Jo si trova a New York nell’ufficio di un editore che le suggerisce che non esiste protagonista femminile senza matrimonio o morte. La sentenza ricevuta è la stessa che ricevette al tempo Alcott: dopo il successo del primo volume l’editore e i lettori stessi la implorarono perché nella stesura del finale anche un personaggio anticonformista come Jo si sposasse e avesse l’unico lieto fine concepibile per il tempo. Il film si imposta subito come una dichiarata sovrapposizione tra figure femminili, tra donne professioniste che devono faticare in un mondo di uomini dove le ambizioni femminili non trovano terreno fertile, tanto negli Stati Uniti di  metà Ottocento quanto oggi. Vale anche per il cinema, che lascia ancora uno spazio marginale alle registe di talento che faticano ad accedere alle nomination dei premi più ambiti, come accaduto durante i recenti Golden Globes, che nella categoria best directors hanno visto per l’ennesimo anno solo candidati maschili.

Il film è anche un omaggio di Gerwig a un’opera e a una narrazione della donna alla quale è fortemente legata. La sua carriera come attrice e regista ruota fin dagli esordi attorno al racconto della donna nella sua tridimensionalità. Le donne che ha interpretato – come la protagonista in Frances Ha (2012) – o scritto e diretto – come Lady Bird (2017) – e le sorelle March nel nuovo Piccole donne  sembrano parlare la stessa lingua e avere lo stesso modo di comunicare con il resto del mondo. Sono personaggi non conformi che si svincolano dagli schemi senza che la protesta diventi un fatto fuori dall’ordinario, raccontando con onestà una crescita faticosa fatta di sfumature e compromessi personali. Le donne di Greta Gerwig sono concrete e rispecchiano la complessità umana rigettando ogni tipo di pregiudizio. La grande innovazione in questa nuovo film è l’umanità che caratterizza ogni personaggio: le sorelle March sono alleggerite dal carico pedagogico che si porta dietro inevitabilmente un romanzo per “signorine” del 1868 e brillano in quanto giovani donne. Sono cariche di entusiasmo, ma anche mosse da rancori familiari e competizioni personali; sono ambiziose nelle proprie passioni e grazie alla scrittura di Gerwig riescono a emergere come primi esempi di emancipazione personale e creativa.

Nel corso del tempo gli adattamenti cinematografici di Piccole donne hanno seguito i cambiamenti culturali leggendo e rileggendo in modi differenti le sfumature comportamentali delle ragazze. Se nelle prime rappresentazioni cinematografiche i personaggi di Meg e Beth potevano risaltare come esempi di pia devozione familiare, negli anni delle diverse ondate femministe il mito di Jo  è cresciuto riflettendo la necessità di emancipazione femminile, fino a sembrare l’unico modello possibile. Oggi Greta Gerwig riscopre il segreto del romanzo di Alcott: non esiste una scelta giusta tra le quattro sorelle e i quattro modi di essere una donna. Mai nel romanzo non passa il messaggio che esista un modo di esserlo migliore degli altri e anzi l’intento è mostrare le sfumature che coesistono in una persona. Il nuovo film di Gerwig mette in scena con maestria la placida coesistenza e sinergia dei quattro caratteri, smussati e resi più tridimensionali. Persino un personaggio spesso odiato come quello della vanesia Amy acquista un corpo nuovo e una legittimazione che nelle interpretazioni precedenti non era mai emersa. In un podcast del New Yorker Gerwig ha affermato di aver ricevuto pareri positivi per questa “nuova” Amy, ma di non aver aggiunto in fase di scrittura nulla che già non fosse presente nei libri. Per la regista e sceneggiatrice “È cambiata la nostra percezione personale che ci fa trovare meno irritante una donna che fa quello che desidera per raggiungere i propri scopi”.

In una delle scene più intense del film Jo March dice che “Le donne hanno una mente e un’anima, oltre che un cuore. Hanno ambizioni e talento, oltre alla bellezza, e sono così stanca delle persone che dicono che l’amore è tutto ciò per cui una donna è adatta. Ma sono così sola”. Il monologo, tratto da un’altra opera di Alcott, Rose in fiore del 1876, racchiude ciò che il film vuole fare emergere: Piccole donne rimane una delle opere letterarie più potenti nel raccontare la complessità femminile, la contraddizione umana che rifiuta i dettami sociali, ma finisce comunque per soffrirne e soprattutto il desiderio di diventare grandi portando dentro di sé le piccole donne che siamo state.

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