Crime + Punishment è il documentario che devi vedere per capire perché la polizia USA va riformata

Le rivolte esplose nelle scorse settimane in America dopo l’uccisione di George Floyd, Breonna Taylor e altre persone afroamericane da parte della polizia per chiedere giustizia e sottolineare come, nel 2020 e in tutto il mondo, i corpi e le vite dei neri siano ancora precarie e considerate dispensabili, sono state accompagnate dallo slogan “Defund the police” (“Tagliamo i fondi alla polizia”). Secondo una recente analisi, la spesa dedicata dagli Stati Uniti alle forze dell’ordine è una delle più cospicue a livello globale e dal 1977 al 2017 – anno in cui sono stati investiti circa 115 miliardi di dollari – è triplicata. In molte città, come Los Angeles, Philadelphia e New York, i tagli hanno lasciato intatto o ridotto di poco il budget allocato ai dipartimenti di polizia, e si è preferito togliere fondi all’istruzione e ai programmi per l’impiego giovanile. La storia statunitense è poi intrisa di violenza e abusi da parte della polizia contro le comunità afroamericane e ispaniche: non solo, spesso, l’addestramento impartito porta a temere le persone che si dovrebbero proteggere, ma la pratica del profiling razziale incentiva la criminalizzazione dei soggetti di etnia diversa da quella caucasica.

A evidenziare un ulteriore aspetto del razzismo sistemico è Crime + Punishment, il documentario di Stephen Maing uscito nel 2018 e vincitore del Premio per l’impatto sociale al Sundance Film Festival. Attraverso microfoni nascosti, interviste e riprese effettuate dal 2014 al 2017, l’inchiesta segue le vite di alcuni degli NYPD12, un gruppo di poliziotti neri che nel 2015 hanno fatto causa al Dipartimento di polizia di New York per renderne pubbliche le dinamiche interne che incentivano il raggiungimento di obiettivi minimi di arresti e segnalazioni mensili. In inglese viene utilizzato il termine “police quotas”, che formalmente indica un’esplicita politica indirizzata ad aumentare l’attività degli agenti di polizia in determinati quartieri in un preciso lasso di tempo: “Dovresti effettuare un arresto al mese. Devi fare di meglio, me ne basta uno al mese”. Mascherate come modalità di gestione migliore del personale, le quote contribuiscono invece a un aumento della cattiva condotta e della corruzione degli ufficiali, a una riduzione della loro discrezionalità e all’erosione del rapporto tra comunità e forze dell’ordine. Il loro obiettivo ultimo è incrementare le entrate fiscali: nel 2017 oltre 900 milioni del budget di New York provenivano da mandati di comparizione, multe e arresti.

Per raggiungere questi obiettivi, gli agenti di polizia effettuano arresti, multe e segnalazioni non supportati da prove e a rimetterci sono quasi esclusivamente le comunità afroamericane, ispaniche, LGBTQ+ e in generale tutte quelle identità la cui voce non ha alcun potere e che non hanno le risorse finanziarie per contrastare questi soprusi. I singoli funzionari hanno il potere di decidere come affrontare determinati reati minori e alcuni, cercando di aumentare il totale dei propri casi, si nascondono per esempio nei bagni del personale della metropolitana, sbirciando attraverso le prese d’aria così da poter saltare fuori nel momento in cui qualcuno salta i tornelli. Se si tratta di un adolescente, che magari è senza documenti o ha precedenti penali, può anche scattare l’arresto. Le vittime vengono sbattute contro il muro, tenute a terra, spogliate e perquisite, accusate di possesso di arma da fuoco o di spaccio, anche se né pistole né droghe gli vengono trovate addosso. Contatti ostili che, ripetuti, aumentano la probabilità di finire tragicamente, come nel caso dell’omicidio di Eric Garner, morto soffocato durante un arresto.

Anche se la maggior parte dei presunti crimini viene subito archiviata, la politica delle quote colpisce irreparabilmente i giovani neri e ispanici tra i 14 e i 21 anni, che costituiscono il target principale delle azioni dei poliziotti. Nel mercato del lavoro statunitense il tasso di disoccupazione dei giovani neri è infatti il doppio rispetto ai bianchi e in generale la comunità afroamericana presenta una percentuale di occupazione minore, salari molto inferiori e condizioni di lavoro peggiori rispetto ai colleghi bianchi. Di certo, avere una fedina penale segnata da crimini che non si sono commessi non aiuta.

Nonostante il sistema delle quote violi di fatto il 14esimo emendamento sulla discriminazione razziale e dal 2010 alcuni Stati – come New York, California, Illinois, Texas, Nebraska, Pennsylvania, e North Carolina – lo abbiano esplicitamente vietato nei dipartimenti di polizia, perché costituisce “un disservizio pubblico, una corruzione del giudizio personale degli agenti e un’ingiustizia per chi le subisce”, alcune registrazioni dei NYPD12 mostrano come questi meccanismi siano tuttora esistenti. In un video si sente chiaramente Constantin Tsachas, all’epoca Capo investigatore del Dipartimento di polizia di New York, fare pressioni all’ufficiale Michael Birch affinché arresti più ragazzi neri perché trova incredibile che in un mese ne abbia fermati soltanto due “quando sappiamo bene chi è a commettere crimini in questa città”. Oggi Tsachas è indagato insieme ai suoi supervisori Bill Bratton e James O’Neill, ma questo è un risvolto recente, perché nel 2017 il giudice incaricato aveva stabilito che la class action – che va avanti da cinque anni – non fosse valida, in quanto le prove a carico non erano sufficienti e gli agenti avrebbero dovuto risolvere il problema denunciandolo all’organo interno alla polizia incaricato di questi compiti. Non solo non è stato creato ancora nessun organo indipendente per indagare la corruzione della polizia statunitense, ma alcune prove sono state distrutte di proposito.

Tsachas è lo stesso che ostacolò la carriera di Edwin Raymond, poliziotto afroamericano di New York, redigendo valutazioni in cui gli assegnava punteggi inferiori alla media (in una scala da 1 a 4), nonostante nel 2013 si classificò ottavo su seimila nella graduatoria per la promozione a sergente. A Raymond è stato anche detto che “essendo un nero col vocione e i dread, devi cercare di mantenere un profilo basso”. A denunciare il Dipartimento di New York per il sistema delle quote e l’aver costretto poliziotti appartenenti a una minoranza etnica ad arrestare più individui sono stati solo ufficiali afroamericani, nonostante rappresentino appena il 15% delle forze dell’ordine, e tutti sono stati puniti. Demansionati, affidati a turni notturni, esclusi dalla possibilità di fare straordinari. Bratton, che si descrive come un “innovatore”, è invece colui che ha introdotto la ”Broken window policing”, cioè la teoria che reprimere i piccoli reati come la deturpazione dei luoghi, la sosta non permessa o l’evasione nel pagamento dei biglietti dei mezzi pubblici contribuisca a ridurre il rischio di crimini più gravi. In realtà, come sottolinea il progetto no profit Campaign Zero dell’associazione nazionale We The Protesters, il programma ha solo contribuito alla criminalizzazione e al controllo eccessivo della comunità nera e ispanica e all’utilizzo della forza in situazioni che non la richiedevano.

Il problema delle quote non riguarda solo New York, ma tutti gli Stati, e dopo la causa intentata dal NYPD12 viene oggi portato avanti in maniera meno esplicita, incitando gli ufficiali a essere “più produttivi”, senza citare alcun numero, o aumentando il numero di poliziotti presenti in quartieri dove risiedono prevalentemente afroamericani e ispanici. Alcuni dati che il distretto newyorkese è stato recentemente costretto a comunicare mostrano infatti come la presenza di pattuglie aumenti di quasi il doppio nei tratti della metropolitana relativi a quelle zone della città. Tra ottobre 2017 e giugno 2019, i neri e gli ispanici, che rappresentano poco più della metà della popolazione di New York, sono stati il 73% dei segnalati e oltre il 90% degli arrestati. Dai dati di Mapping Police Violence si evince come le persone afroamericane uccise negli Stati Uniti siano il 24% del totale nonostante costituiscano solo il 13% della popolazione. Sono infatti tre volte più a rischio di essere uccise rispetto ai bianchi. La polizia, che nel 2019 ha commesso omicidi in 338 giorni su 365, nel 99% dei casi non è mai stata incriminata.

Il sistema di giustizia statunitense si fonda su una storia fatta di secoli di oppressioni, e dietro certe scelte politiche si celano specifici modi di ragionare e agire che individuano quali persone meritino giustizia o debbano essere tutelate dalla legge sulla base di preconcetti razziali. Il corpo nero è sempre considerato straniero, colpevole, dispensabile, anche da chi avrebbe gli strumenti e le capacità di sanarne la precarietà, e invece preferisce usare il proprio potere per tornaconti economici o per alimentare pregiudizi razzisti. Per scardinare tutto questo bisogna agire alla radice e dare ascolto agli attivisti, che da anni combattono per tagliare i bilanci delle forze dell’ordine e investire nei servizi sociali e nell’educazione, gli unici strumenti che possono davvero cambiare le cose.

 

CRIME + PUNISHMENT è distibuito in Italia da: CAMERA DISTRIBUZIONI INTERNAZIONALI

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