Tutto quello che non avete colto nel video dei Carters, APESHIT

Ho aspettato una decina di giorni prima di leggere quello che è stato scritto online a proposito di APESHIT, il video dei coniugi Carter ambientato al Louvre. Ma non ce l’ho comunque fatta, non ho letto niente al riguardo. Ho aperto tab con articoli del New York Times, del Corriere, del Guardian, di Internazionale, di magazine d’arte contemporanea come Frieze, ma continuavo a scorgere solo lunghe liste di capolavori del museo più famoso del mondo che, lo scorso novembre, ha inaugurato una nuova sede ad Abu Dhabi.

Il video del brano tratto da Everything Is Love – l’album lanciato a sorpresa dai Carter in concomitanza con la pubblicazione del video – è un susseguirsi di dipinti e sculture, in cui il ruolo predominante è affidato, ça va sans dire, alla Gioconda di Leonardo da Vinci. È interessante notare come, in un periodo di astio governativo nei confronti dei francesi, in cui Salvini ha minacciato di non mandare Conte al vertice Ue sui migranti, nessuno di questi folli nazionalisti abbia pensato di chiedere a Macron di ridarci indietro la Monna Lisa.

APESHIT, come esplicitato da decine di testate, presenta i capolavori più disparati del museo: dalla Grande sfinge egizia, alla Venere di Milo, passando per L’incoronazione di Napoleone di Jacques-Louis David. Manca solo La Libertà che guida il popoloJay-Z, ad esempio, inizia a cantare di fronte alla Zattera della Medusa, dipinto che ritrae l’esito di un naufragio realmente accaduto al largo delle coste della Mauritiana. Era il 1816 e su 150 francesi se ne salvarono soltanto 15. 135 persone su imbarcazioni di fortuna morirono in Africa lungo la traversata. Vi ricorda qualcosa?

La ragione per cui non ho letto i vari articoli pubblicati online è perché suppongo che in pochi abbiano colto quelli che sono i riferimenti culturali contemporanei. Alcune testate si sono soffermate sugli aspetti legati alla produzione, ad esempio su quanto costi affittare il Louvre. Ma non è necessario essere andati a Parigi per sapere che il Louvre lo affittano da sempre, per sfilate come per eventi e fiere. Quei magazine che non hanno indagato l’aspetto prettamente artistico del progetto, hanno puntato sul gossip, interpretando il video come l’incoronazione finale della love story nata da criminali con Bonnie & Clyde ed evolutasi con Crazy In Love prima e Drunk in Love poi. Tra le varie hit. Effettivamente, considerando che sono passati già 16 anni da quando Beyoncé interpretava Bonnie cantando “Down to ride till the very end” al suo Clyde, siamo di fronte a una narrazione piuttosto romantica. Forse, dato che si tratta di musica, bisognerebbe menzionare il fatto che questo è il pezzo più esplicitamente trap della coppia, in cui l’intro e l’outro e i vari skrrt, skrrt, skrrt, sono di Quavo dei Migos. Si tratta anche del testo più nonsense nella discografia di Jay e Bey, ma anche se le liriche apparentemente non significano nulla, il video parla da sé.

Quando ho visto per la prima volta il volto di Beyoncé incorniciato da un drappeggio Versace ho pensato: questo frame l’ho già visto. O forse avevo visto qualcosa di simile. Devo essere stata confusa dalla quantità di immagini analoghe intraviste scorrendo il mio feed di Instagram. Continuando a guardare il video, però, questa sensazione di già visto aumentava e, a quanto pare, non ero la sola.

Circa un anno fa, ho approfondito in un articolo i costanti scambi visivi e concettuali tra il mondo del rap e quello dell’arte contemporanea, dovuti soprattutto al genio visionario di Kanye West, l’artista che ha dato vita a questa tendenza. La mia attenzione si soffermava sul cortometraggio di 12 minuti realizzato per un brano del 2010 intitolato Runaway. La regia del video, come la Gioconda, è opera di un’artista italiana, Vanessa BeecroftKanye West è solito instaurare rapporti continuativi con gli artisti con cui collabora. L’ultimo, in ordine cronologico, è Takashi Murakami, chiamato a disegnare la cover dell’album KIDS SEE GHOSTS.

Nel mondo del rap, come nel mondo di internet, i riferimenti non espliciti a fatti o persone vengono definiti troll, come i folletti demoniaci che popolano i boschi delle fiabe scandinave. Il trolling nasce come l’arte di dire o fare qualcosa con l’intento di fare innervosire qualcuno, affinché il soggetto abbocchi all’esca e si arrabbi, così da perdere la calma e concedere al troll più attenzioni di quelle che meriterebbe qualora il riferimento fosse esplicito. Anche Di Maio, a fine anno, consigliava di non alimentarli con un bel post intitolato “Don’t feed the troll”. Per restare in ambito musicale, qui un video che raccoglie alcuni dei troll migliori della trap del 2018.

Ma il trolling può anche essere una semplice citazione, qualcosa che denota ammirazione o interesse per l’oggetto di riferimento, come ad esempio l’ultima campagna promozionale di Yeezy – la linea prodotta da Kanye West in collaborazione con adidas – in cui West non è andato troppo per il sottile nel trollare sua moglie e i suoi difetti fisici tanto enfatizzati dai quotidiani. In realtà, anche per la strategia promozionale della collezione precedente, Yeezy Season 6, il rapper aveva chiamato Paris Hilton a vestire letteralmente i panni della consorte. E ovviamente Instagram è impazzito, o quantomeno il mio feed. Nel video di APESHIT, le ballerine che dal minuto 1:00 danzano con Beyoncé sulla scalinata del Louvre davanti alla Nike sembrano essere state prelevate di forza dalla presentazione ideata da Vanessa Beecroft per Yeezy Season 4, così com’erano vestite durante la sfilata del 2016. A cui, come potete vedere, era presente anche Beyoncé.

Ma ecco che solo 20 secondi dopo – al minuto 1:20 – Beyo, con il suo completino in pelle color carne, rievoca uno scatto storico che vede la rapper Lil Kim immortalata da David LaChapelle. Nella versione originale, Lil Kim posava nuda per Louis Vuitton con il monogramma stampato sul corpo, mentre nel video, Beyoncé balla di fianco a Jay-Z in un bustino con un monogramma no logo. Tutto questo esattamente una settimana prima che lo storico Art Director di Kanye West, Virgil Abloh, esordisse come direttore creativo di Louis Vuitton proprio lì, nei giardini del Palais Royal, con una sfilata definita memorabile dalla stampa di settore. Il set era una lunghissima passerella arcobaleno ispirata al Mago di Oz, su cui hanno sfilato giacche con sopra stampata Dorothy distesa su un letto di rose. La colonna sonora, però, non era la classica Over the Rainbow, ma We Are the World di Michael Jackson. Futura reference nel prossimo video dei Carter? Forse.

Il citazionismo, o trolling, applicato all’abbigliamento di Beyoncé implode poi al minuto 1:38 di APESHIT, quando Beyo batte se stessa trollando un suo celeberrimo outfit. Con un push-up che la Dark Polo Gang definirebbe molto British, Lady B cita il bikini indossato in Bonnie & Clyde, il video di cui sopra, e lo fa di fronte all’Incoronazione di Napoleone. Un po’ come a sottolineare che, grazie a quella hit e presumibilmente alla loro unione, il suo allora fidanzato da semplice generale si è autoproclamato imperatore, come Napoleone nel 1804. In effetti, se ci si sofferma un attimo a pensare che già nel 2002 Beyoncé ballava per l’uomo che da lì a quattro anni sarebbe diventato suo marito, mentre lui le cantava “The only time you wear Burberry to swim”, la citazione era quasi d’obbligo. Noblesse oblige.

 

Non mancano comunque i riferimenti più ricercati, come quello dell’outfit che domina il video, visibile già dal primo still di fronte alla Gioconda. Dopotutto cos’è questo trolling se non un gioco? Il completo in seta rosa di lei e il doppiopetto verde pastello di lui citano apertamente i costumi dei protagonisti di un film senegalese del 1973, Touki Bouki. In APESHIT, questo riferimento sembra l’epilogo della narrazione nata con le citazioni visive del materiale promozionale del tour On the Run II. Un film sulla fuga: non a caso qui Beyoncé canta “Non ci posso credere che ce l’abbiamo fatta”. Ora che è al Louvre, si sente finalmente arrivata.

Touki Bouki, film still, 1973

La stampa generalista sembra aver finalmente scoperto il rap, e per le persone che ascoltano questo genere da sempre, l’approccio risulta piuttosto esilarante. È naturale essere divertiti nell’osservare qualcosa che t’interessa diventare mainstream. Il rovescio della medaglia però, che si verifica ciclicamente per tutte le subculture a partire dagli anni ’60 ad oggi, è il progressivo svuotamento di senso e significato che il sistema sembra richiedere in questo processo di “democraticizzazione” e “popolarizzazione”.

Non penso sia un caso il fatto che la stampa mainstream, nell’ultimo mese, non si sia occupata dei tre album pubblicati da Kanye West. West era già stato coperto – fin troppo – il mese precedente a causa del suo rinnovato supporto a Donald Trump. Ecco, mentre twittava frasi d’amore a Donald, Kanye era a Jackson Hole, un posto disperso tra le montagne del Wyoming, che pare essere tra le aree con il più alto tasso di diseguaglianza sociale degli Stati Uniti. West stava scrivendo e registrando tre album – ye, KIDS SEE GHOSTS e DAYTONA – che i giornalisti generalisti, per fortuna, non hanno ascoltato neanche per sbaglio.

Il trolling continuo e le costanti attenzioni pubbliche tra Kanye West e i Carter rappresentano, a tratti, un’attestazione di stima reciproca. Altre un’infantile bisogno di attenzioni di Kanye, come quando lo scorso maggio, nel corso di una lunga intervista, si è detto ferito dall’assenza dei due al suo matrimonio. Perché se Kanye West, supportando Trump, sposta l’attenzione dei media sul suo account Twitter e sugli aspetti politici legati alla sua figura pubblica, evidentemente può continuare a produrre la musica innovativa che ha sempre creato. Stiamo pur sempre parlando di un artista che nel 2013 ha pubblicato un brano intitolato Black Skinhead, quindi le sue inclinazioni politiche di destra non sono una novità. Ha evidentemente sempre avuto il mito del superuomo. Ma Kanye West non è un politico, non è neanche un rapper: è soprattutto un producer. È il genio del sampling, del campionamento, che altro non è che un trolling più o meno esplicito basato sulla rielaborazione musicale di pezzi altrui.

Kanye West, Black Skinhead, 2013

Il sampling, il trolling e il citazionismo estremo sono tutte facce della stessa medaglia. È il postmodernismo stesso che vede nella pratica di attingere al passato uno dei suoi punti cardine. Come se lo scopo finale fosse quello di decostruire la realtà per rielaborala in chiave contemporanea e portarne a galla conflitti e incongruenze. Beyoncé e Jay-Z ci provano coinvolgendo, tra gli altri, Kanye West, affiancando cultura “alta” e autocitazionismo da street cred. L’esercizio di stile di APESHIT è encomiabile, ma a tratti utilizza un linguaggio talmente scontato da renderlo simile a un prodotto creato per la casalinga di provincia che sogna una notte al Louvre. Forse Jay-Z e Kanye West dovrebbero tornare a produrre musica insieme per stemperare tensioni e apparenti conflitti. Nel frattempo, tra un video e una sfilata di Vuitton, già che c’erano si sono presi Parigi.

 

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