Come la nuova fantascienza ha riportato l’uomo al centro dell’universo - THE VISION

Il 12 marzo è uscito sui nostri sempre più piccoli schermi Annientamento, il secondo film da regista di Alex Garland. La bizzarra metodologia distributiva del film ha distolto l’attenzione dei critici, che invece di sprecarsi in battute superflue sull’ormai obsoleta questione Netflix avrebbero potuto approfondire lo splendido filo rosso che unisce Annientamento a molte pellicole sci-fi degli ultimi anni. Il film infatti è passato dai cinema americani – con Paramount come distributore – agli schermi domestici di Netflix senza soluzione di continuità, per il semplice timore della casa di produzione di non ottenere il meritato successo.

Alex Garland

In Annientamento un faro in Florida viene colpito da un “qualcosa” caduto dal cielo. Questo oggetto o entità, che gli scienziati chiamano Shimmering, è una sorta di una cupola luminescente che si espande come un tumore, e chi prova a entrarvi dentro non fa più ritorno. L’unico a esserne uscito vivo è Oscar Isaac, militare e marito di Natalie Portman, ma le sue condizioni non sono delle migliori, cosa che spinge la Portman, biologa ex militare, a unirsi a una spedizione di sole donne scienziate all’interno dello Shimmering. La psicologa, la biologa, la fisica, questo team di sole donne (scelta ottimale e credo non casuale in tempi di #metoo) rappresenta l’ultimo baluardo del genere umano, perché lo Shimmering non sembra intenzionato a fermare la propria espansione. Ma cos’è veramente questo bagliore? O, ancora più interessante, cosa rappresenta?

Annientamento

Il film, tratto dal primo capitolo di una trilogia letteraria di Jeff VanderMeer, è scritto e diretto da Alex Garland che, nel 2014, si era fatto notare con lo splendido e raffinato Ex-Machina. Garland è uno scrittore (da un suo libro è stato tratto The Beach di Danny Boyle, per esempio), ma soprattutto uno sceneggiatore incredibilmente dotato (28 giorni dopo, Non lasciarmi e il sottovalutato Sunshine, sempre di Danny Boyle). Garland ha il talento delle persone che riescono a trasformare una visione in qualcosa di concreto: un immaginario che trabocca dai dialoghi minimali e dalle inquadrature sempre perfettamente razionali, mai barocche, mai inutilmente leziose. Quando Garland scrive, si capisce che sta già vedendo quello che le parole nello script non possono dire, e una simile capacità è un bene prezioso in un panorama fantascientifico che rischia un grave impoverimento.

The beach

La logorrea senza fine dei sequel, dei cine-fumettoni seriali, unita alla facile fantascienza delle astronavi che esplodono e degli alieni stupidi che sbavano, ci stanno progressivamente facendo dimenticare che lo sci-fi, nella storia del cinema, è sempre stato il luogo privilegiato in cui la società americana (e non solo) esprimeva le sue più recondite angosce e paure. Proprio come il western per i cambiamenti socio-culturali, anche la fantascienza è stata, oltre a un genere, soprattutto un contenitore semantico in cui registi e sceneggiatori riuscivano a raccontare al meglio le ansie del proprio tempo.

Quando nel 1898 H. G. Wells pubblicò The War Of Worlds, il suo intento non era certo solo quello di descrivere un’improbabile invasione di marziani. Quegli alieni arrivati sul nostro pianeta erano una malcelata critica all’aggressivo colonialismo britannico. Nel libro, dopo che i marziani sterminano l’esercito inglese, Wells scrive: “I Tasmani, nonostante la loro somiglianza con tutti gli altri esseri umani, furono interamente spazzati via in una guerra di sterminio combattuta da migranti europei, nell’arco di cinquant’anni. Siamo davvero sicuri di volerci definire degli apostoli della misericordia e lamentarci se i Marziani hanno combattuto con lo stesso spirito?”

H.G. Wells

Una volta fatti i conti con la questione colonialismo, saltando avanti di una cinquantina di anni, gli americani si ritrovarono in pieno clima Guerra fredda. I russi erano i nemici, il comunismo minacciava l’american way of life. Le due paure che serpeggiavano nei suburbs americani erano quelle del disastro nucleare e quella di essere conquistati dal regime comunista, che voleva tutti forzatamente uguali, ingranaggi senza identità della più grande macchina statale. E proprio questa seconda paura era perfettamente incarnata da Invasion of the body Snatcher di Don Siegel. Nel film alcuni alieni cercano di conquistare la nostra razza sostituendosi agli umani: prendono le sembianze dei nostri vicini di casa, ma vivono senza desideri, senza impulsi vitali e forza di volontà. Come noi, ma diversi. In quegli anni gli americani avevano la certezza che spie russe fossero infiltrate nei ranghi militari e civili statunitensi. In questo senso il maccartismo, in ambito cinematografico, fu l’esemplificazione hollywoodiana su scala ridotta del clima di terrore rosso che si viveva in tutta l’America.

L’invasione degli ultracorpi

Per quanto riguarda la paura del nucleare, si pensi a Sarah Connor e al Judgment Day di Terminator, quando le macchine di Skynet distruggono l’umanità lanciando insieme tutte le armi nucleari della Terra. Negli anni Ottanta, il terrore per il comunismo lasciava ironicamente spazio a paure legate al capitalismo e alla tecnologia. L’astronave Nostromo del primo Alien viene mandata incontro al suo terribile destino per volontà di una Corporate senza scrupoli che non si cura delle vite umane, ma bada solo ai propri interessi. Siamo vittime di decisioni prese negli uffici agli ultimi piani, in un Olimpo a cui non possiamo accedere e, ancora una volta, la fantascienza racconta esattamente questa angoscia.

Terminator

Alien

È un excursus rapido, ma sufficiente a dimostrare il punto. Arrivati ai giorni nostri, cosa possiamo notare? Quali paure nascondono film come Annientamento, The Arrival, The Martian o Interstellar? Credo si possano estrapolare tre temi raccontati in queste quattro pellicole, ma anche in altri film sci-fi meno significativi.

Il primo è il tema ambientale. Il motivo per cui Cooper decide di partire per lo spazio in Interstellar è proprio una crisi dell’ecosistema terrestre. Non ci sono più fonti, il cibo è ormai esaurito e il pianeta flagellato da una “piaga”. Quello di Cooper è un viaggio nella speranza dell’uomo verso un futuro in cui la natura ci ha punito per la nostra stupidità e noncuranza. In Annientamento la natura all’interno dello Shimmering assume forme e sembianze mostruosamente belle, come a ricordarci che uno spazio naturale, lasciato incontaminato dalla presenza dell’uomo, vivrebbe serenamente e prolifererebbe nella meraviglia. È una situazione abbastanza comune nei film sci-fi: una terra lasciata senza l’ingombro dell’umanità è una terra che si riappropria delle sue origini e della sua innocenza. La paura del disastro ecologico, d’altro canto, accomuna tante pellicole dagli esiti discutibili: The Happening di M. Night Shyamalan racconta di una tossina che vendica tutte le piante dei torti subiti dagli uomini. Le piante uccidono praticamente tutti, tranne Mark Wahlberg, il che la dice lunga sull’umanità (e sull’intelligenza delle piante in questione). In The Day After Tomorrow, come in altre decine di film identici, eventi cataclismatici quali tsunami, tornado e grandinate ci ricordano quanto siamo piccoli di fronte al potere di madre natura. Il rispetto per la natura e la conoscenza della stessa, invece, è quello che permette a Matt Damon in The Martian di sopravvivere per molto più tempo rispetto a quanto avrebbe fatto chiunque altro. È solo grazie al miracolo scientifico di quelle patate cresciute con cura che l’astronauta riesce a vivere su Marte.

Interstellar

The day after tomorrow

Il secondo tema è geopolitico. Diversi film sci-fi puntano il dito contro il clima di odio politico di cui è vittima il nostro tempo, dal più banale Independence Day Resurgence, dove solo uniti potremo sconfiggere gli invasori alieni, fino al sublime The Arrival, il tema che sembra emergere è quello dell’unità dei popoli come unica possibilità per la nostra sopravvivenza. In The Arrival la minaccia non sono gli alieni, ma i soldati americani vittime di una propaganda simile a quella della white supremacy. La risoluzione del film non può che avvenire dalla cooperazione tra le fazioni umane opposte a ricordarci che “United we stand, divided we fall”. In questo senso anche il terrorismo, nei film da fantascienza, assume i connotati dell’odio fra le etnie. Mi ha sempre fatto pensare che nel remake di Spielberg della Guerra dei Mondi, i Tri-Pod marziani non venissero dalle stelle ma fossero ben nascosti nel suolo americano, come a dire che il nemico si nasconde tra di noi. E ancora: sempre nello stesso film, oltre agli alieni che minacciano Tom Cruise e sua figlia, c’è ancora un umano, come in The Arrival. Tim Robbins con il suo fucile a canne mozze non è meno pericoloso di un marziano, anzi.

The arrival

La guerra dei mondi

Ma c’è ancora un altro tema, forse il più complesso e affascinante. Film come The Arrival, Annientamento e Interstellar, nonostante l’ambientazione fantascientifica, sembrano mettere al centro di tutti i loro discorsi la natura umana. Noi uomini e donne, nelle nostre fragilità, nelle nostre debolezze e nei nostri amori: in altre parole, nella complessità dei nostri sentimenti. Sembra che in questi film le astronavi, gli alieni, gli altri mondi, siano solo una manifestazione quasi superflua, meno importante delle nostre passioni.

Interstellar è sì il disperato tentativo di salvare l’umanità, ma è soprattutto il viaggio di un padre che cerca di tornare da sua figlia, così come l’amore di Anne Hathaway per il suo compagno è un sentimento così forte da permetterle di trascendere il tempo e lo spazio. L’amore è quello che guida gli astronauti di Nolan nell’orrore dell’ignoto, bussola più forte di qualsiasi avversità. The Arrival non è la storia di alcune astronavi aliene che vengono sulla terra a comunicare con noi, ma la storia di una madre che decide di innamorarsi e di avere una figlia nonostante sappia già che la perderà, e che rimarrà sola. Il prologo straziante con la musica di Richter racchiude nei suoi pochi minuti il significato di tutto il film e il regista – Denis Villeneuve – lo dice chiaro e tondo. Tutto il resto, di fronte alla scelta di questa madre, non ha nessun tipo di importanza. E infine, Annientamento è sicuramente la storia di un’entità aliena che si espande senza freni sulla nostra terra, ma è soprattutto la missione di cinque esseri umani che si sono auto-inflitti del male. Sono proprio loro che, prima ancora dell’alieno, hanno cercato di distruggersi, di annientarsi. È l’amore a muovere Natalie Portman dentro lo Shimmering, e sono i suoi sbagli a permetterle di capire come, e se, uscirne.

L’amore tra un uomo e una donna, l’amore di un padre per una figlia e di una madre per una figlia. Se la fantascienza è il luogo dove vengono manifestate le nostre paure, allora si potrebbe pensare che quello che più temiamo oggi è perdere noi stessi. Nella tecnologia che ci sovrasta e annulla, nella ricerca di un futuro che è già oggi, ma non ancora domani, temiamo di perdere noi e i nostri sentimenti, di dimenticarci di quello che ci definisce, innanzitutto, come umani.

Segui Francesco su The Vision | Facebook