Nella Fase 2 non possiamo dimenticarci dell’emergenza climatica

Il lockdown che in questi giorni coinvolge un terzo della popolazione mondiale ha senza dubbio migliorato la qualità dell’aria delle nostre città. Nei Paesi che hanno messo in campo le misure più stringenti, come Italia e Spagna, è stata rilevato un crollo del traffico di persone e mezzi. Secondo i dati messi a disposizione da Apple, che si basano sulla richiesta di informazioni stradali, il trasporto pubblico in Italia ha subito una riduzione pari al 90%, e gli spostamenti via auto sono calati dell’85%. In altri Paesi, come gli Stati Uniti e la Germania, le percentuali sono più basse ma pur sempre rilevanti. Bisogna contare anche l’azzeramento quasi totale del traffico aereo, responsabile del 2% delle emissioni globali. L’Eurocontrol ha infatti registrato un calo del 90% dei voli nella prima settimana di aprile.

Fino a oggi l’ambiente sembrerebbe aver beneficiato della pandemia dovuta al COVID-19. A preoccupare è però la fase 2 a livello globale, incentrata sul distanziamento sociale: a rischio sono soprattutto le grandi metropoli, dove prendere treni, autobus, tram e metro sarà sempre meno comune, così come meno frequente sarà l’uso dei servizi di bike sharing o car sharing che avevamo imparato ad apprezzare. Il rischio è che in molti tornino a fare un uso massiccio della propria auto, l’unico mezzo che assicura di non avere contatti con estranei e di muoversi in sicurezza. L’aumento del traffico urbano appare quindi inevitabile, così come una probabile crisi della sharing mobility. Secondo un’indagine di metà aprile di Areté Methodos, in Italia il 72% dei 500 intervistati userà l’auto privata per spostarsi mentre solo il 3% si affiderà a un servizio di car sharing. Stando a questo sondaggio, gli italiani preferirebbero i mezzi pubblici (scelti da circa il 9%) al noleggio temporaneo di un’auto che viene usata da estranei, e che quindi potrebbe trasformarsi in veicolo di contagio.

I dati di Aretè, sebbene riguardino solo un piccolo campione, risultano in linea con quelli dell’Hubei, la regione cinese dove si trova Wuhan. Nell’epicentro dell’epidemia, secondo un’indagine Ipsos, l’uso dell’auto privata è salito dal 34% al 66%, mentre il trasporto pubblico ha registrato un calo dal 56% al 24%. Anche i taxi hanno registrato una diminuzione dal 21% al 15%.

Per quanto riguarda la mobilità urbana, in alcune città è stato già messo a punto un piano per incoraggiare gli spostamenti in bici e rendere più sicuri i mezzi pubblici. Da questo punto di vista particolarmente virtuosa risulta Milano, che intende approfittare della sua configurazione pianeggiante puntando tutto su altri 35 chilometri di piste ciclabili, che andranno a collegare i 220 già esistenti. Nel capoluogo lombardo i lavori per il piano “Strade Aperte” sono già iniziati e prevedono un ampliamento dei marciapiedi e degli stalli per biciclette a svantaggio delle corsie per le auto. Sulla stessa linea ci si muove anche in alcune città all’estero. Per esempio, nella capitale colombiana Bogotà, 76 chilometri di strade sono diventati in via temporanea ciclovie per integrare la rete già presente di 550 chilometri e ridurre l’affollamento sui mezzi pubblici.

L’alternativa all’uso sempre più massiccio delle bici sarebbe procedere con massicci investimenti sul trasporto pubblico per aumentare le corse e diminuire di conseguenza il carico dei passeggeri su ogni singolo mezzo. In alcuni casi si ipotizza di accompagnare questo tipo di intervento a un’applicazione che segnali se l’autobus in arrivo ha già raggiunto la sua capienza massima. Questo tipo di strategia risolverebbe all’origine il problema del passaggio dal trasporto pubblico a quello privato, e senza stravolgere le abitudini individuali, ma non è sostenibile né da un punto di vista ambientale né da un punto di vista economico. Aumentando le corse e i mezzi pubblici in circolazione aumenterebbero di conseguenza anche le emissioni, andando ad aggravare il problema da risolvere. Per quanto riguarda invece l’aspetto economico, Paolo Pinzuti, Ceo di Bikenomist, in un recente rapporto sulla mobilità post-Covid ha evidenziato infatti che solo il 25-30% del finanziamento del trasporto pubblico dipende dai biglietti acquistati mentre il resto è responsabilità dello Stato. Il servizio è già in perdita e un aumento dell’offerta di fronte a una contrazione della domanda farebbe esplodere i costi di gestione. Secondo lo stesso rapporto, la soluzione ottimale sarebbe incentivare gli spostamenti a piedi per distanze fino a tre km e investire sull’ampliamento dei marciapiedi per rendere possibile la circolazione di biciclette e mezzi elettrici.

Anche volendo ignorare per un attimo l’emergenza climatica, un aumento del trasporto privato simile a quello registrato a Wuhan provocherebbe flussi di auto che le infrastrutture stradali delle metropoli italiane non riuscirebbero a sostenere. Agire sul trasporto pubblico e privato alternativo all’automobile sarà quindi inevitabile. Bisognerà ridisegnare le carreggiate, per creare ampi spazi per pedoni, monopattini elettrici e biciclette. La strategia vincente potrebbe essere quella delle infrastrutture “soft”, cioè a basso costo e veloci da realizzare, che permettano di scegliere di muoversi in modo ecologico e sicuro. La prospettiva è quella di costruire nelle città una “rete di mobilità di emergenza”, prevedendo anche bonus per i cittadini che fanno a meno dell’automobile, come avveniva in diverse città italiane – da Torino a Bologna – già prima dell’epidemia.

Un’altra minaccia all’ambiente arriva da mascherine e guanti, e più in generale dall’incremento del monouso e dal modo per smaltire i rifiuti di questo tipo. Nonostante ci siano casi di aziende che hanno già messo in vendita mascherine riutilizzabili e lavabili, quelle chirurgiche sono comunque ritenute più igieniche e sicure. La domanda dei dispositivi di protezione sanitaria ha registrato un’impennata già dal primo mese dell’anno, ma nella fase 2 solo in Italia ne saranno necessari decine di milioni ogni giorno. Secondo il professor Francesco Saverio Violante, docente dell’università di Bologna e direttore della Medicina del lavoro del Policlinico Sant’Orsola, nelle prossime settimane gli italiani avranno bisogno di almeno 40 milioni di mascherine ogni giorno, con la prospettiva di doverne smaltire quotidianamente 300 tonnellate.

Le normali procedure previste per lo smaltimento dei rifiuti sanitari non sono concepite con la prospettiva di avere a che fare con simili volumi e questo aumenta il rischio di procedure illegali. L’associazione ambientalista Ocean Asia ha iniziato già a fine febbraio a diffondere immagini di mascherine chirurgiche abbandonate in mare aperto o lungo le coste. L’associazione ha osservato in particolar modo le isole Soko di Hong Kong. Nonostante in tutte le culture asiatiche l’uso della mascherina sia ormai una consuetudine già dall’epidemia SARS del 2002, l’associazione ha comunque denunciato un sensibile aumento della presenza di questi rifiuti non biodegradabili in acqua e sui litorali della regione.

Le organizzazioni ambientaliste ritengono che questa crisi possa diventare un’occasione per ridefinire la società in una direzione più attenta all’ambiente. È il caso del movimento Fridays for Future che pochi giorni fa ha pubblicato insieme a numerosi scienziati del clima una lettera all’Italia, ricordando la centralità e urgenza dell’emergenza climatica. Legambiente ha invece indirizzato al governo 11 proposte per incoraggiare la mobilità dolce durante la ripartenza. Greenpeace è ancora più decisa nell’appello per sfruttare la fase 2 per cambiare il modello economico dell’intero Pianeta.

La fase di convivenza con il virus non porta con sé solo sfide sanitarie, economiche e sociali, ma rischia di avere ripercussioni gravi sull’ambiente e lo sforzo per tutelarlo. In gran parte dell’Occidente la riapertura di un gran numero di attività sociali e produttive è prossima o già in corso. La sua gradualità riuscirà a ritardare non solo la crescita nel numero di contagi ma anche gli effetti del distanziamento sociale nella nuova normalità che ci aspetta, ripercussioni climatiche incluse. Questa apparente lentezza non deve però ingannarci: dobbiamo comunque tornare ad agire con rapidità, per rimettere al centro del dibattito pubblico strategie che portino la nostra società e modello economico a essere sempre più ecosostenibili. Dopo gli sforzi degli ultimi mesi per difendere la nostra salute, non possiamo dimenticare quanto quella del Pianeta abbia ripercussioni quotidiane su quella di ognuno di noi.

Segui Marika su The Vision