Per contrastare la crisi climatica dobbiamo costruire ecosistemi virtuosi, imitando la natura - THE VISION

Tra i concetti a lungo utilizzati per descrivere la realtà che ci circonda senza essere mai messi davvero in discussione, uno dei più problematici è quello di “equilibrio della natura”, un’intuizione fuorviante che ha una storia antica – iniziata con la filosofia presocratica e protrattasi ben oltre le teorie di Charles Darwin – e che, pur essendo stata ormai destituita dal suo ruolo di ipotesi scientifica, si è conquistata una posizione tanto salda nell’immaginario comune da avere ancora degli effetti sui nostri atteggiamenti, soprattutto per quanto riguarda l’approccio alla questione ambientale. Affermare che la natura possieda un equilibrio proprio, infatti, significa sostenere la convinzione per cui ciascuna specie vivente, interagendo con le altre, tenda spontaneamente verso uno stato monolitico, che una volta raggiunto garantisce l’instaurarsi di dinamiche immutabili tra le componenti della biosfera. Secondo questa visione, dunque, le varie popolazioni animali e vegetali si muoverebbero nel loro ambiente seguendo rapporti stabiliti a priori dalle più o meno misteriose leggi del mondo naturale. Di conseguenza, se lasciate indisturbate, i loro comportamenti resterebbero invariati, preservando un certo ordine ideale di equilibrio.

Il principale problema con questa idea statica della natura consiste nel suggerire che le azioni umane volte a modificare, in un modo o nell’altro, i suoi ritmi prestabiliti, siano intrinsecamente negative, quando invece a seguito dell’emergenza climatica a cui stiamo assistendo, è sempre più necessario formulare strategie d’azione efficaci per arrestare il deteriorarsi del nostro pianeta. L’immagine che deriva dal concetto di equilibrio naturale, infatti, dimentica la cooperazione attiva e partecipata che animali e piante mettono in atto per costruire condizioni adatte alla loro sopravvivenza, agendo su più livelli per far fronte ai continui cambiamenti a cui l’ambiente in cui vivono è sottoposto e li sottopone, in una sinergia da cui dovremmo prendere spunto per creare un sistema virtuoso in grado di contrastare la crisi climatica.

Il primo studioso a mettere in dubbio l’equilibrio della natura – che oggi grazie all’osservazione diretta degli stessi fenomeni naturali, allo sviluppo di discipline come la scienza del caos e allo studio dei sistemi non lineari, è stato superato, almeno sul piano teorico – è stato l’ecologo e botanico inglese Arthur George Tansley, lo stesso a cui si deve l’elaborazione del concetto di ecosistema. Con questo termine, Tansley fa riferimento a un complesso funzionale di elementi eterogenei – organismi viventi e materia non vivente – legati tra loro da una relazione mobile, che permette di far fronte alle continue variazioni imprevedibili dei fenomeni naturali, proprio perché, non raggiungendo mai una stabilità definitiva, è pronta ad accoglierli. È dalla teoria degli ecosistemi, infatti, che nasce la recente visione della natura come flusso di cambiamenti, in cui animali e piante devono inserirsi, adattando costantemente il loro modo di agire a nuove situazioni per conservare, al suo interno, una collocazione che ne favorisca la sopravvivenza.

Molte delle strategie adottate dagli organismi viventi per evitare di farsi sopraffare dall’imprevedibilità della natura prevedono forme sofisticate di collaborazione, che non interessano azioni singole, ma una rete di comportamenti correlati tra loro. Questo particolare aspetto inerente al funzionamento degli ecosistemi ha un’importanza fondamentale nel tentativo di ripensare l’azione dell’uomo rispetto alla crisi climatica, superando il retaggio dell’equilibrio della natura anche sul piano pratico, perché sottolinea la necessità di orientare il nostro stile di vita alla cooperazione – sia sul piano economico che sul piano sociale – rendendo questo principio il centro di un intervento attivo nei confronti dei rivolgimenti epocali in cui siamo coinvolti. Provare a imitare l’auto-regolazione interna agli ecosistemi, inoltre, può contribuire ad ampliare il nostro punto di vista, prendendo in considerazione tutte le cause che concorrono a esacerbare il cambiamento del clima, così come animali e piante devono tenere conto di tutte le molteplici variazioni ambientali che possono mettere a rischio la loro vita.

Secondo una ricerca condotta dall’Università di Bristol pubblicata nel 2015 sulla rivista scientifica PLOS ONE, per esempio, l’organizzazione delle colonie di formiche consente a questi insetti di coordinare tutte le attività necessarie alla sopravvivenza in modo da offrire risposte diversificate ai pericoli e agli eventuali danni subiti dal loro ecosistema, attraverso un istinto paragonabile a una sorta di “coscienza di gruppo”, con cui riconoscono la necessità di agire di concerto per modulare i propri comportamenti all’interno del formicaio quando si trovano in situazioni di emergenza, senza dimenticare né sottovalutare alcun fattore di rischio. Questi insetti, in sostanza, valutano ciò che minaccia la loro vita considerando simultaneamente le diverse cause coinvolte, scegliendo con cura come reagire per risolvere la situazione: una prospettiva articolata, che calata nel contesto delle nostre abitudini quotidiane chiarisce quanto sia importante adottare uno sguardo d’insieme sui molteplici fattori della crisi.

Guardando al mondo vegetale, invece, la vita sociale delle piante ci offre un modello di competizione che, pur mantenendo viva la componente della rivalità, antepone la cooperazione alla prevaricazione sull’altro. Come dimostrato da uno studio condotto nel 2020 dalla Princeton University, la lotta delle piante per la conquista del sottosuolo è regolata da un preciso meccanismo di limitazione che le vede investire sì nella crescita delle proprie radici, ma senza mai danneggiare le altre. Se piantati in modo ravvicinato e non in una posizione isolata, dunque, gli organismi vegetali modificano la loro modalità di crescita, servendosi di una strategia di sviluppo sotterraneo che evita le sovrapposizioni e tiene conto delle esigenze della vegetazione adiacente, in modo che l’accesso ai nutrienti necessari le sia garantito. Questa forma di concorrenza equa e astuta può rappresentare un termine di paragone utile per riformare il nostro sistema economico a partire da uno dei suoi aspetti più critici, perché intriso di implicazioni sociali, ovvero quello della competizione spietata, senza limiti e basata sulla sopraffazione degli altri, che oltre alle risorse del pianeta sta consumando la nostra salute mentale.

Simulare l’impostazione degli ecosistemi biologici per rendere più sostenibile il nostro stile di vita, dunque, significherebbe innanzitutto modificare il modo in cui guardiamo alle cause della crisi climatica, iniziando a pensare a ognuna di esse come parte di un quadro più ampio, che va analizzato nella sua interezza e non scomposto in numerosi fattori distinti, in modo da orientare tutte le nostre abitudini alla soluzione del problema, invece che concentrarci su un singolo comportamento. Ancor di più, l’imitazione della natura ci porterebbe a implementare e valorizzare quello checome ha affermato lo psicologo sociale statunitense Michael Tomasello nel 2014 – rende l’essere umano un “animale ultra-sociale”, ovvero la capacità di dar vita a molteplici forme di collaborazione per raggiungere i propri scopi. Un tentativo di applicare questi due principi tratti dall’osservazione della natura nella nostra realtà economica è già stato messo in atto da alcune aziende, dove il lavoro viene gestito attraverso strutture definite “ecosistemi di business”. Si tratta, in particolare, di gruppi di imprese riconducibili a settori differenti, ma estremamente complementari, che da indipendenti instaurano tra loro una relazione dinamica, dove competizione e collaborazione reciproca vengono bilanciate alla perfezione. In questo modo, le varie aziende hanno la possibilità di lavorare in modo congiunto, grazie a una rete che supera la focalizzazione individuale, perché combina le diverse competenze di ciascuna realtà lavorativa in un’azione orientata al raggiungimento di un obiettivo comune – che può consistere nell’apportare innovazioni al mercato, nel rispondere con maggior efficacia alle esigenze dei consumatori o nel superare un’eventuale crisi.

Gli ecosistemi di business – che presentano margini di similitudine sia con le valutazioni ad ampio raggio delle colonie di formiche, sia con la competizione astuta delle piante – rappresentano un modello che permette di affrontare problemi complessi a partire dalla rilettura del tema della cooperazione. Infatti, le aziende coinvolte nell’ecosistema, così come piante e animali in natura, decidono di collaborare per ovviare alle proprie fragilità, mettendo abilità diverse al servizio di uno scopo condiviso: un approccio che, se esteso ai diversi campi della nostra vita, potrebbe aiutarci ad affrontare la crisi climatica, creando un sistema che non provveda alla sola riduzione delle emissioni, ma a tutte le concause correlate all’emergenza, perché può disporre di diversi punti di vista e modalità d’azione.

L’urgenza a cui, oggi più che mai, siamo chiamati a rispondere, riguarda una vera e propria ricollocazione nel flusso dei fenomeni naturali, che prevede di adattare il modo in cui abbiamo sempre vissuto a una circostanza inedita, dove il disequilibrio che governa la relazione con il nostro pianeta è diventato così profondo da mettere in pericolo la nostra stessa sopravvivenza. Allo stato attuale, dunque, trovare un nuovo assetto stabile a cui affidarci non basta, perché non possiamo più aggirare l’onere di mettere in discussione le nostre abitudini, aspettando passivamente il momento in cui mostreranno i loro esiti deleteri. Per provare a sanare l’enorme disparità di cui siamo i responsabili, infatti, occorre imparare a cambiare, a costruire e ricostruire costantemente il sistema che regola la nostra vita, proprio come avviene in natura, impegnandoci a elaborare nuove forme di collaborazione che incontrino le nostre esigenze e tenendoci pronti ad abbandonarle quando rischiano di danneggiare chi sta provando a crescerci accanto.


Questo articolo è realizzato da THE VISION in collaborazione con Telepass, tech company all’avanguardia nella rivoluzione della mobilità in ambito urbano ed extraurbano in un’ottica sempre più innovativa e sostenibile. Grazie a un’unica app che tiene insieme un esclusivo metodo di pagamento e un ecosistema di servizi legati alla smart mobility, come le strisce blu, il carburante o la ricarica dell’auto elettrica, l’uso di monopattini, bici e scooter in sharing, l’acquisto di biglietti per treni e pullman, il noleggio di auto, il pagamento del bollo o a favore della Pubblica Amministrazione, Telepass trasforma ogni spostamento in un’esperienza senza confini.

Seguici anche su:
Facebook    —
Twitter   —