In un anno le navi da crociera a Venezia inquinano come 820mila auto. Perché viene permesso?

Alle 8:30 del 2 giugno, la nave da crociera MscS Opera travolge il traghetto fluviale River Countess, ormeggiato nel porto di San Basilio a Venezia. Il capitano della nave, apparentemente incapace di fermare l’imbarcazione, suona ripetutamente le sirene per avvertire della collisione imminente, ma non c’è nulla da fare e la nave si ferma solo dopo un violento scontro con la banchina.

Meno di un mese dopo, il 7 luglio, la scena si ripete: c’è una tempesta in corso, la visibilità è palesemente ridotta. La pioggia scende a secchiate e i lampi esplodono nel cielo ogni cinque o sei secondi. La Costa Deliziosa, della genovese Costa Crociere, sta navigando molto vicino alla riva dei Sette Martiri, sede dei giardini della Biennale. Riesce bruscamente a virare, ma rischia l’impatto con vari battelli dell’Actv, l’azienda comunale del trasporto pubblico, e con uno yatch ormeggiato sulla riva.

Due incidenti nel giro di un mese non sono caso, ma dei chiari avvertimenti di un disastro annunciato, che per molti prima o poi si trasformerà in tragedia. “La terza volta non ci sarà una banchina in cemento armato, né una correzione di rotta all’ultimo secondo: questi mostri devono stare fuori dalla laguna, subito!” hanno dichiarato gli attivisti del comitato No Grandi Navi, che da anni lottano per l’estromissione dei giganti del mare dal bacino di San Marco e dalla laguna. Oltre ai rischi legati ai potenziali incidenti, quello del crocierismo è un tipo di turismo ad alto impatto ambientale che diventa ancora più pericoloso in un ecosistema delicato come quello che ospita la Serenissima.

Prima di tutto, c’è la questione dell’inquinamento. Secondo uno studio realizzato da Transport & Environment, la Carnival Corporation, la più grande compagnia di crociere di lusso del mondo, ha emesso nel 2017 biossido di zolfo in misura 10 volte maggiore rispetto a tutte le automobili in circolazione in Europa (stimate in 260 milioni). Anche noto come anidride solforosa, il biossido di zolfo è un gas incolore e dall’odore acre e pungente frutto della combustione che, oltre a essere tra i principali responsabili delle piogge acide, ha effetti gravi sulla salute umana, soprattutto in caso di umidità, dato che se il gas si scioglie in acqua riesce a penetrare più in profondità nei polmoni. Tra le 10 città portuali più esposte all’inquinamento delle grandi navi, la maggior parte si trova in sole due nazioni, Spagna e Italia, e tra quelle in condizioni più critiche figura proprio Venezia. Questo perché i Paesi che affacciano sul Mediterraneo hanno normative meno stringenti rispetto, ad esempio, a quelli del Nord Europa in termini di limiti alle emissioni.

Per quanto riguarda Venezia, gli studiosi hanno messo a paragone l’impatto ambientale di 68 navi da crociera con le circa 111mila automobili registrate nell’area comunale (Marghera e Mestre incluse): le prime hanno emesso diossido di zolfo in quantità 20 volte maggiore rispetto alle seconde. È stato anche rilevato inoltre  il 138% in più di monossido di azoto (un gas sempre derivante dalla combustione che può portare a malattie infiammatorie croniche delle vie respiratorie e alla riduzione dell’attività polmonare) e il 20% in più di Pm2.5. A questi ultimi due agenti inquinanti in particolare sono state attribuite rispettivamente 20mila e 60mila morti premature in Italia solo nel 2018. Se 68 navi inquinano molto più di 111mila automobili, è facile dedurre l’impatto ambientale del crocierismo a Venezia, dove di questi colossi ne passano in media due al giorno. Perdipiù, a causa della mancanza di infrastrutture adatte, durante la sosta le navi mantengono i motori accesi per garantire i servizi a bordo. Oltre alle emissioni poi generano un enorme inquinamento acustico, elettromagnetico (per via dei radar) e marino, a causa delle vernici antivegetative delle carene.

Il secondo aspetto è quello della compatibilità con la laguna di navi che sono grandi anche due volte piazza San Marco: lunghe fino a 400 metri, larghe più di 40 e alte fino a 70 metri, questi giganti pesano centinaia di migliaia di tonnellate. Anche se apparentemente non generano alcuna onda in superficie, penetrano fino a 10 metri in profondità, causando lo spostamento di tonnellate di acqua. Queste, infrangendosi sott’acqua contro le fondamenta della città, le erodono pian piano perché causano un improvviso quanto innaturale innalzamento del livello dell’acqua e, successivamente, quando l’acqua defluisce in laguna e poi nel mare, la dispersione dei sedimenti lagunari. Non si può escludere che questo fenomeno, sul lungo periodo, possa causare la scomparsa della laguna stessa, che perderebbe le sue peculiarità per trasformarsi in un braccio di mare.

Il terzo aspetto, quello più controverso, è legato al tipo di turismo che arriva in città insieme alle navi da crociera. Se da un lato alcuni insistono sull’introito economico dell’ingresso delle navi da crociera in laguna – cifra che in buona parte va alla compagnia che gestisce i porti con una concessione trentennale che scade nel 2024 e che in molti hanno giudicato illegittima – altrettante persone fanno notare che il guadagno, a fronte di tutte le conseguenze negative, non è poi così alto. Innanzi tutto, il numero di turisti che scendono dalle navi da crociera è infinitamente maggiore rispetto a quello che arriverebbe in modo graduale con qualsiasi altro mezzo. Solo nel 2018 sono sbarcati al porto di Venezia 1,56 milioni di crocieristi da 502 navi, con un trend in salita rispetto all’anno precedente. Questo significa una media di più di 4mila turisti al giorno, solo dalle navi da crociera. Per qualcuno questo è un dato positivo, perché copre quasi il 3% del pil della città. Altri però fanno notare che il turismo di massa non ha effetti positivi a lungo termine.

L’Officina pensiero e azione, ad esempio, è un’associazione che fa parte di Set, una rete che unisce dal 2018 realtà di varie città del Sud Europa, principalmente Spagna e Italia – che come dicevamo sono le più coinvolte dal turismo crocieristico. Quella che loro denunciano è una situazione molto diversa rispetto al quadro ottimista degli “economisti del Pil”. Prima di tutto, la turistificazione di massa ha generato una precarizzazione del diritto all’alloggio, dovuto all’acquisto o all’uso di immobili in città solo ed esclusivamente ad uso turistico. Lo dimostra il boom di case in affitto su AirBnb, che a giugno di quest’anno erano 6.436 su un totale di 8.469 annunci. Significa che il 6% di tutte le case disponibili nel comune di Venezia sono case in affitto a breve termine; una percentuale che raddoppia nel centro storico dove, su 100 case, 12 sono diventate inaccessibili ai residenti. Quelle che restano, evidentemente, si dovranno adeguare a un prezzo di mercato distorto, diventando sempre più care e costringendo i veneziani a trasferirsi sulla terraferma. Questo dato dovrebbe far preoccupare specialmente perché indice di un trend in velocissima crescita: solo nel 2015 gli annunci erano circa 3mila e rispetto al 2018 si è registrato un aumento del 14%.

Anche il turismo “mordi e fuggi” di coloro che rimangono sulla nave e visitano Venezia solo per qualche ora porta con sé diversi svantaggi, sia per il turista stesso che per la città. Il primo non coglierà verosimilmente nulla della cultura del posto, ma tenderà a visitare i luoghi principali in un di tour de force a tappe studiato più per ottenere la foto di rito sotto la cupola di San Marco che per immergersi in una realtà magari molto diversa dalla propria. Ma questo, tutto sommato, è un aspetto che non a tutti necessariamente interessa. Dovrebbe invece preoccupare le istituzioni, sia locali che nazionali, il danno creato a Venezia nel lungo termine. A fronte di una spesa media per turista di 100-200 euro, la città perderà la sua autenticità, abbandonandosi a un fenomeno che gli studiosi chiamano “processo di Disneyficazione”. A Venezia lo esemplificano perfettamente i tornelli installati all’ingresso del centro storico.

In questo modo la città, così come le tutti gli altri luoghi presi d’assalto dell’orda di turisti della giornata, si sta trasformando in una vetrina fatta di negozi di souvenir e ristoranti per turisti. Non si tratta solo di un discorso culturale, ma anche economico: nel lungo termine questo significherà chiusura di negozi di commercianti e artigiani locali, apertura di grandi catene di residence o hotel – o appunto case su Airbnb – aumento sconsiderato di servizi per visitatori e drastica diminuzione di quelli per residenti. Fabio Carrera, professore del Worcester Polytechnic Institute e direttore del Venice Project Center, ha plasticamente mostrato gli effetti del turismo di massa sulla demografia della città comparando i dati sui visitatori con quelli sui residenti. Dal 1540 al 2013, la popolazione della Serenissima ha registrato picchi positivi e picchi negativi. Questi ultimi, spiega Carrera, sono dovuti principalmente alle epidemie di peste: ad esempio, intorno al 1626, la popolazione è calata da 140mila a circa 100mila abitanti. A stupire però è la costante diminuzione che si è verificata tra gli anni Trenta e gli anni Settanta e che continua ancora oggi quando, nei giorni “normali”, la popolazione di Venezia è pari a quella di turisti. Nei giorni di punta questi arrivano a essere due o tre volte il numero dei veneziani.

Martedì scorso il ministro delle Infrastrutture Toninelli ha convocato la prima riunione di questo governo per individuare un percorso alternativo al canale della Giudecca per il passaggio delle grandi navi a Venezia. Oltre alle istituzioni, tra cui il Mit, erano presenti le compagnie crocieristiche e le società che gestiscono l’attracco. Non sono stati chiamati in causa invece presenti i rappresentanti del Comitato No grandi navi. Dopo l’incidente all’isola del Giglio, nel 2012, l’allora governo Monti emise un decreto, il Clini-Passera, che vietava alle navi superiori alle 40mila tonnellate il transito nelle zone più delicate della città, richiedendo che fosse trovata una soluzione alternativa. A distanza di 7 anni questa non c’è ancora. Se per Salvini le crociere dovrebbero attraccare al porto di Marghera accanto alle petroliere – un luogo dichiarato sito a rischio incidenti rilevanti –  Toninelli punta sugli attracchi diffusi “che permetteranno di non far passare più i colossi del mare a San Marco, ma di spostare da subito, già dalle prossime settimane, decine di navi sopra le 40mila tonnellate fuori dal canale della Giudecca” –  ma sempre in Laguna.

Nell’incapacità della politica di trovare una soluzione che accontenti gli interessi delle compagnie pur salvaguardando una delle città più uniche al mondo, Venezia sta lentamente morendo, sacrificata per il guadagno a breve termine di poche centinaia di persone.

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