L’insostenibile leggerezza del turismo dell’orrore

È sabato 14 gennaio e all’isola del Giglio c’è la classica temperatura invernale. La stazione meteo di Monte Argentario registra 5 gradi di minima, 10 di massima. Non il gelo siberiano, ma nemmeno una temperatura che invoglia alla balneazione o a lunghe passeggiate. Eppure, alla biglietteria di Porto Santo Stefano vengono staccati 1081 biglietti per il traghetto che porta all’isola toscana. Il sabato precedente erano stati appena 131. È agghiacciante pensare che questo peculiare incremento del flusso turistico non sia dovuto a un evento culturale, un concerto o una manifestazione, bensì a una tragedia. È il 14 gennaio 2012, il sabato successivo al naufragio della Costa Concordia.

Soccorritori e giornalisti, si potrebbe pensare. Certamente ci sono anche quelli. Ma tra loro ci sono anche moltissimi turisti, accorsi per ammirare la gigantesca nave che giace su un fianco, adagiata sulla costa. Poche ore prima, quello che ora sembra un ammasso di ferraglia, solcava il mare carica di 5mila passeggeri. 32 di loro hanno perso la vita in seguito a quello che è stato il naufragio più discusso dai tempi del Titanic, esattamente cento anni dopo. Ma è proprio questa una delle tante, presunte coincidenze, che hanno contribuito a trasformare lo scoglio di fronte al relitto della Concordia in un’attrazione. Laddove, poche ore prima, decine di persone perdevano la vita, ora altre scattano foto ricordo. Questa forma di voyerismo della tragedia non rappresenta il caso isolato di qualche mitomane o appassionato delle teorie del complotto, ma si tratta di un vero e proprio fenomeno: il turismo nero, “Il piccolo, sporco segreto del settore turistico.”

Secondo lo studioso Philip Stone, per tanaturismo (dal greco, thanatos, morte) si intende “L’atto di viaggiare e visitare luoghi associati alla morte, alla sofferenza o a ciò che è apparentemente macabro.” Ne esistono svariate sfaccettature, che vanno dall’assistere a ricostruzioni di guerre, omicidi o massacri, visitare i luoghi in cui sono avvenuti, fino alla voglia di presenziare personalmente a una pubblica esecuzione. Secondo l’ampia letteratura del genere, il partecipante medio può essere guidato dalla voglia di approfondimento di tipo storico e sociale, dalla volontà di rendere omaggio alle vittime o da una curiosità ossessiva. Si può discutere dell’opportunità di alcuni casi limite, come la decisione di riprodurre, come in una giostra di Gardaland, i suoni dei bombardamenti come dovevano averli sentiti i romani rifugiati nel Bunker di villa Torlonia, durante la seconda guerra mondiale. Ma quanto si tratta di episodi come quello della Concordia, si tratta semplicemente di una forma di morbosità che con lo studio e la conoscenza non ha nulla a che vedere.

Bunker di Villa Torlonia, Roma

A dimostrarlo sono diversi casi. Avetrana è una cittadina in provincia di Taranto, il cui interesse culturale o paesaggistico non è mai stato particolarmente rilevante. Eppure, nel 2010 si è riempita di ficcanaso che volevano piantare la loro personale bandierina nel luoghi dell’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi. Il pozzo dove è stato ritrovato il corpo, la villetta dello zio costituitosi come assassino – c’è addirittura chi citofona per chiedere un autografo a Michele Misseri –diventano così dei luoghi d’interesse per quelli che vengono definiti turisti dell’orrore, ma che in realtà incarnano solo la volontà di ficcanasare in vicende che i media hanno amplificato in maniera eccessiva, trasformandole in mangime per guardoni. Nel 2014, a dodici anni dall’omicidio di Cogne, La Stampa riportava ancora di visitatori che si erano recati in gita nel paesino valdostano per vedere dal vivo la villetta del delitto. La stessa immagine si ritrova in tempi ancor più recenti, qualche chilometro più a sud, a Perugia, di fronte all’abitazione di Meredith Kercher. Nessuna motivazione turistico-culturale può celarsi dietro una decisione di questo tipo.

Michele Misseri

L’attrazione del genere umano verso ciò che è ignoto, proibito o cruento, non è una cosa nuova. I romani hanno costruito un impero sul motto panem et circenses – laddove con giochi circensi si intendeva il massacro di schiavi, galeotti, cristiani e prigionieri di guerra sotto gli occhi affascinati e divertiti di centinaia di persone. Nel Diciottesimo secolo, durante la rivoluzione francese, le donne delle classi più agiate si posizionavano in prima fila a sferruzzare a maglia in occasione delle esecuzioni capitali, alzando lo sguardo soltanto di rado per gridare “A morte!” Per quanto possa sembrare un’abitudine malsana appartenente a epoche ormai lontane, tutt’oggi nei civilissimi Stati Uniti d’America, esiste la figura del testimone volontario, che assiste all’uccisione del detenuto pur non avendo alcuna relazione personale o professionale con il caso, ma solo per “assicurare che la tanto agognata giustizia venga compiuta.”

Nonostante le radici antiche della curiosità umana verso la sofferenza e la morte (perlopiù altrui), secondo gli studiosi il fenomeno del tanaturismo sarebbe strettamente connesso alla nostra epoca. Malcom Foley e John Lennon, gli accademici che hanno per primi coniato il termine dark tourism, sostengono che esso si posiziona a metà tra “gli atti inumani della storia recente” e “le rappresentazioni che di questi ne hanno dato i film e la stampa.” I turisti del nero sarebbero quindi guidati dalla voglia di andare oltre la rappresentazione fornita dai media, nel tentativo di sperimentare in prima persona emozioni forti, autentiche, dalle quali creare, in senso durkheimiano, nuovi precetti morali in una società altrimenti priva di capisaldi.

Dove c’è domanda, il mercato creerà un’offerta: i turisti interessati alla spettacolarizzazione del dolore, più che alla sua comprensione, trovano facilmente chi li aiuterà a trovare attrazioni di loro interesse. Sono diversi i pacchetti studiati appositamente per riprodurre, davanti agli occhi dei turisti, i teatrini che si aspettano di vedere. E così scopri di poter visitare “i luoghi famosi degli omicidi di mafia” lungo il tragitto che ti porterà verso un “tradizionale pranzo siciliano” (il tutto organizzato da un’agenzia di viaggi con sede a Londra); o di poter apprendere la storia della mafia (che spesso è concepita come equivalente Storia della Sicilia) in cinque ore di tour guidato attraverso i luoghi celebri delle scene de Il Padrino, famoso documento storico che con la finzione cinematografica non ha nulla a che vedere. C’è poi un’agenzia di viaggi di Boston, Stati Uniti, che per la modica cifra di 4mila dollari organizza un tour guidato che comprende un ospite del tutto eccezionale: Angelo Provenzano, figlio del Boss Bernardo. I suoi racconti ai turisti d’oltreoceano comprendono le difficoltà che ha dovuto attraversare nella sua vita da figlio di uno dei peggiori carnefici di Cosa nostra – che comunque lui non rinnega, anzi, gli riconosce delle “attenuanti.” È piuttosto raccapricciante leggere le testimonianze degli americani che vi hanno partecipato, commossi dalla storia da Libro cuore di Angelo Provenzano, scosso “dall’impossibilità di condurre una vita normale.” Non sembra invece che vengano altrettanto approfondite le sofferenze di chi ha combattuto la mafia, ed è morto per questo, ma è evidente che lo scopo dell’agenzia non è fare divulgazione storico-culturale. Certamente, queste vittime non sono da imputare ai figli di Provenzano, ma forse avrebbero il suo stesso diritto di essere menzionate in un tour che parla di mafia.

Bernardo Provenzano

Se da un lato ci sono dei guardoni che provano piacere nell’assistere alle tragedie altrui, dall’altro ci sono degli sprovveduti che pensano pure di tornare a casa più acculturati e degli opportunisti che glielo fanno credere, lucrandoci sopra. Se quando si tratta di omicidi e fatti di cronaca, il peggio che può accadere è insultare la memoria della vittima e della sua famiglia – oltre che il buon gusto – quando si tratta di temi complessi come la mafia è la storia di un intero Paese a venire ridotta a un bene materiale da commercializzare, piuttosto che un contenuto da approfondire. Come si chiede Nando dalla Chiesa sul suo blog: “Per quanto tempo la memoria delle vittime di mafia, il dolore dei loro familiari, il sangue versato negli anni, dovranno essere impunemente irrisi e svillaneggiati da una miriade di attività commerciali e turistiche che hanno trasformato il nome e l’immagine della mafia in un marchio felice per vendere beni e servizi?”

Nando Dalla Chiesa

I turisti che, in visita in Sicilia, faranno colazione nel bar dove è stato girato Il Padrino e scatteranno fotografie con la caricatura di un mafioso, con coppola e lupara, non torneranno a casa più arricchiti. Così come la Sicilia – e l’Italia intera – non trarranno alcun beneficio dalla diffusione di una storia ridotta a macchietta, vissuta come il prodotto tipico più rappresentativo spesso esportato all’estero, come fosse un brand.

Nell’epoca contemporanea, qualsiasi fenomeno – e così anche il turismo, che sia nero o tradizionale – tende ad andare incontro a due processi: la spettacolarizzazione e la commercializzazione. Ma anche in un mondo in cui tutto è bene di consumo o teatrino per spettatori curiosi, ci sono alcune cose che sarebbe meglio rimanessero materia di approfondimento, più che d’intrattenimento.

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