L’opera di Stan Lee è una formidabile lezione umanista contro l’egoismo di oggi

I fumetti sono la mitologia moderna, la nostra letteratura popolare, come nell’Ottocento lo era il romanzo d’appendice. Attraverso le storie a fumetti stilizziamo i modelli di comportamento umani, le passioni o le tendenze distruttive. Il fumetto nasce come mezzo di intrattenimento, ma riesce anche a essere uno strumento di riflessione. Se ne accorse tra i primi Umberto Eco che, negli anni Sessanta, dedicò brillanti analisi al medium. “Il personaggio mitologico del fumetto si trova ora in questa particolare situazione: esso deve essere un archetipo, la somma di determinate aspirazioni collettive,” scrisse in un seminale saggio su Superman, oggi contenuto nella raccolta in Apocalittici e integrati. Creare fumetti significa operare sull’immaginario collettivo, è un lavoro delicato, in cui è difficile lasciare il segno. Se i comics sono diventati così incisivi per la nostra cultura lo dobbiamo anche – o sarebbe meglio dire soprattutto – a Stan Lee, artista in grado di portare il mezzo al livello più alto, creando un universo in cui ognuno può riconoscere se stesso.

Stan Lee con la moglie e la figlia, 1958

Se Stan Lee può essere definito “il re dei fumetti” lo si deve alla sua incredibile prolificità, sostenuta da un’invidiabile inventiva, e dalla passione che ha messo in ogni singola storia. Fin dagli inizi alla Timely Comics – quella che poi, grazie al suo contributo, diverrà la Marvel – il suo obiettivo è stato rendere reali i personaggi delle sue storie. Lee esordisce nel 1941 sulle pagine di Capitan America, ma è solo dopo la guerra che esplode il talento creativo dello sceneggiatore. In coppia con Jack Kirby, inventa i volti più noti del fumetto americano: I Fantastici 4 nel 1961, Thor e Hulk nel ’62 e in – in coppia con Steve Ditko – Spider-Man, Iron Man e gli X-Men nel ‘63, nel ’64 Daredevil, nel ’66 Pantera Nera. Impossibile citare tutti i personaggi creati negli anni d’oro di quella che lui ribattezzò “Casa delle idee”.

Come ha scritto Michael Chabon all’indomani della scomparsa di Lee: “ll contributo creativo e artistico di Stan Lee al pantheon Marvel è stato discusso all’infinito, ma basta guardare l’opera solista di Kirby per vedere cosa Stan ha portato alla partnership: un umanesimo incrollabile, una fede nella nostra capacità umana di altruismo e sacrificio, l’eventuale trionfo del razionale sull’irrazionale, dell’amore sull’odio, era un perfetto controbilanciamento del quasi-nichilismo oscuro e sudato di Kirby.” Se Kirby era più attento alla sfondo sociale delle sue storie, Lee ha intuito che il successo dei supereroi non sta tanto nel loro carattere di eccezionalità, ma al contrario in ciò che essi condividono con il quotidiano. Il fumettista ha interpretato il desiderio di riconoscimento del lettore: ciò che affascina dei personaggi Marvel è il lato umano, il complesso spettro di emozioni con cui si approcciano e interpretano il proprio potere. O ancora la percezione della diversità all’interno di una società, la riflessione sulle responsabilità di chi ha mezzi fuori dal normale.

Ogni personaggio di Lee si fonda sui desideri che tutti noi conosciamo, con le loro conflittualità, innescando nel lettore la partecipazione emotiva: nonostante gli eventi dal sapore straordinario, condivide con i personaggi le stesse paure e i medesimi problemi nel mondo di tutti i giorni. Il dissidio interiore che spesso caratterizza i personaggi, permette loro di mostrare una psicologia complessa, o di mutare nel tempo: in questo modo si mantiene la longevità di un character che può adattarsi a migliaia di storie. I Fantastici Quattro, ad esempio, mettono in scena le dinamiche del contesto familiare: seguiamo la storia d’amore fra Mr. Fantastic e la Donna invisibile, ci immedesimiamo nella sbruffoneria giovanile di suo fratello, la Torcia umana, o nel carattere burbero de La Cosa. Hulk, invece, pone l’attenzione sul conflitto fra il nostro comportamento nella società e le pulsioni ataviche con cui dobbiamo fare i conti.

Stan Lee e Bob Kane, 1992

L’eroe cieco Daredevil parla di disabilità come nessuno prima aveva fatto, trasformandola in un valore che dà un nuovo significato alla categoria di “diverso”. Di stigma sociale e diversità ci parlano anche gli X-Men, i mutanti emarginati, così come l’eroe afro Pantera Nera, ambientato in un continente africano all’avanguardia e non necessariamente schiavo del colonialismo.

Persino da Iron Man, un personaggio a prima vista poco in sintonia con gli ideali del suo creatore, si possono trarre degli insegnamenti sulla natura umana. Tony Stark è un magnate che ha costruito la propria fortuna sull’industria delle armi, e nonostante tutto, fra eccessi di protagonismo e dimostrazioni di altruismo, cerca in tutti i modi di spendersi per l’umanità. Iron Man riflette sul mandato sociale di chi ha più possibilità d’azione, in questo caso non solo grazie a un superpotere ma anche attraverso la propria posizione sociale. È una figura in chiaroscuro che trova corrispondenze nel reale: c’è chi paragona Stark ai magnati della Silicon Valley e chi – come Elon Musk – sembra ispirarvisi.

Il personaggio che incarna meglio la corrispondenza fra supereroe e lettore, specialmente se giovane, è Spider-Man: Peter Parker non è altro che un ragazzo qualunque, abbastanza chiuso e sfigato, un sognatore che preserva la sua ingenuità e non riesce a uniformarsi al piccolo mondo di cui fa parte, fatto di bulli e pupe, o compagni più ricchi di lui. Peter Parker è il primo nerd a cui viene conferito un potere straordinario, da ciò scaturisce la domanda principale del fumetto: come usare un mezzo del genere? Per semplice rivalsa personale oppure per un più ampio servizio alla comunità? Al giorno d’oggi la massima “Da grandi potere derivano grandi responsabilità” è inserita così bene nella cultura pop che pochi si soffermano a riflettere sul suo significato, ma è in essa che si scorge – ancora una volta attraverso una sintesi fulminante – l’eredità morale di Stan Lee. Il lettore attento saprà entrare in connessione con le preoccupazioni di Parker e trarvi un grande insegnamento contro l’egoismo.

L’opera di Lee non è solo fondata sul realismo: l’attenzione al singolo si interseca con una visione fantastica dal sapore epico. Se si parla di “Universo Marvel” è proprio perché Lee ha creato una mitologia sfaccettata, un universo ampio e multidimensionale retto da forze misteriose, divinità potentissime e popolato da entità fantasiose quanto variegate. Pur nella sua vastità, l’universo di Lee ha il pregio di mantenersi coerente, ramificandosi in centinaia di storie che interessano gli angoli più sperduti dell’universo. Fra popolazioni aliene o entità la cui potenza si misura su scale non più umane, si muovono supereroi amatissimi dai fan, come Silver Surfer e il Doctor Strange. I cicli epici che interessano questi personaggi hanno la capacità di farci sognare e dare libero sfogo alla fantasia. Senza dimenticare che l’infinità dell’universo Marvel risveglia in noi non solo la fascinazione per l’ignoto, ma anche l’insignificanza dell’essere umano nella vastità del cosmo.

Una lezione contro la vanagloria dell’individuo, perché neppure il supereroe più forte può dirsi al centro del cosmo, o evitare di rapportarsi con l’Altro. Ci sarà sempre qualche nuova sfida da affrontare, un altro mondo da conoscere, e qualcuno che lo può sconfiggere.

Come un poeta dell’antichità, Stan Lee ci ha donato del materiale mitico da interpretare, modificare, sconfessare o incarnare. Una materia viva perché in grado di rispecchiare ogni sfumatura dell’agire umano. La sua chiave di lettura è stata quella della lotta all’egoismo, dell’apertura verso ciò che è diverso, dell’umiltà come mezzo per gestire grandi responsabilità o superare i problemi di tutti i giorni. Lee non ha mai smesso di preoccuparsi dell’umanità, come testimoniano le storie che ideava ancora da ottantenne. Dietro il suo proverbiale sorriso non si nascondeva la soddisfazione per avercela fatta, ma la comprensione e la curiosità verso il prossimo. Fra tante narrazioni ciniche e facilmente disilluse proprio questo ci mancherà del padre dei fumetti: il suo incrollabile e sentito ottimismo.

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