Chi era Rossana Rossanda, esempio di libertà e anticonformismo che non dobbiamo dimenticare

Da quando esiste Internet e in particolare i social sono cambiate diverse cose, una di queste è il modo in cui si dice addio alle persone scomparse. Non più solo i famosi coccodrilli nei giornali, in tv e alla radio, ma un cordoglio collettivo in cui spesso, purtroppo, prevalgono l’egocentrismo e la mania di protagonismo sull’affetto e sul desiderio di ricordare. Ne è un chiaro esempio l’usanza di personaggi pubblici come Matteo Renzi, puntualmente preso in giro dal web per questa sua irrefrenabile mania di condividere una foto di se stesso con la persona appena morta, a testimoniare la conoscenza e la vicinanza.

Non credo si tratti di un sentimento nuovo o estraneo, ma semmai la conseguenza dell’esasperazione di un naturale senso di partecipazione collettiva a un momento di lutto dettata dall’iper-comunicazione a cui siamo esposti – e spesso anche insofferenti, per quanto mi riguarda almeno; del resto, se il silenzio per alcuni può essere il modo migliore per vivere la scomparsa di una persona, la condivisione di momenti vissuti insieme e le testimonianze personali possono aggiungere qualcosa al vuoto che lascia. La differenza sta nel modo in cui si sceglie di commemorare qualcuno, specialmente se si tratta di una persona che si conosce indirettamente, solo attraverso il suo lavoro e i suoi pensieri. Il 20 settembre del 2020 è morta Rossana Rossanda: non ho foto con lei, non ho ricordi di incontri, non ho nessun tipo di legame diretto con questa donna, eppure nella mia vita è entrata, così come in quella di tante persone, persino quelle più distanti dalle sue idee, al punto che persino Berlusconi le ha dedicato un pensiero.

Sapevamo tutti che prima o poi avremmo letto questa notizia, dal momento che non è strano morire per una donna di novantasei anni, e sappiamo tutti che i prossimi giorni e i prossimi anni saranno quelli dedicati ai ricordi, alla costruzione di una galleria di impressioni e riflessioni postume sulla vita di un personaggio che definire importante per la storia del nostro Paese è riduttivo. Come dicevo, non ho foto con lei, non ho libri autografati, non ho mai visto una sua conferenza di persona, non ho mai visto questa donna se non in foto – al contrario di tutti i colleghi che hanno collaborato con lei in quasi un secolo di attivismo e giornalismo e che in questi giorni avranno una storia da condividere – ma la mia esperienza con Rossanda è emblematica del perché in effetti, per molti versi, non morirà mai.

Rossana Rossanda, infatti, è la donna che mi ha fatta sentire stupida, è la donna che, per una ragazza o un ragazzo pieno di dubbi, domande senza risposte, disorientamento e senso di spaesamento per via del caos del mondo – come potevo essere, e come sono ancora per molti versi, io, e come siamo un po’ tutti non appena diventiamo abbastanza maturi da farci delle domande – arriva quando hai bisogno di uno scappellotto che ti faccia sobbalzare sulla sedia. Questa sensazione, il mio ricordo più speciale di Rossana Rossanda, l’ho avuta per la prima volta alcuni anni fa, quando ero su un aereo e per l’ennesima volta un attacco di panico stava avendo la meglio su di me e ho provato a calmarlo prendendo in mano un suo libro.

Non so perché io abbia paura di volare, e rimango sempre stupita quando scopro che molte altre persone hanno fobie simili, altrettanto ridicole per molti aspetti ma non per questo meno invalidanti, e l’unico momento in cui io abbia sentito una sospensione totale di questo terrore immotivato è stato mentre leggevo La ragazza del secolo scorso. Il romanzo autobiografico di Rossanda, che è diventato anche l’epiteto con cui spesso la si descrive, è un ceffone in piena faccia: ero su un aereo, pronta a lanciarmi in un ennesimo pianto da turbolenza, quando ho letto un capitolo del libro in cui Rossanda racconta di quella volta in cui venne mandata in Unione Sovietica come parte di una delegazione del Pci, di cui era responsabile della politica culturale. Erano gli anni Cinquanta, lei e gli altri membri del partito erano stati infilati su un aereo militare senza cinture né personale di bordo; arrivano sani e salvi a Mosca, fanno ciò che devono fare, ma il viaggio di ritorno sarà in treno. Il commento di Rossanda è che le mogli degli altri dirigenti del Pci non avevano gradito l’approssimazione di quel volo militare e per non spaventarle avevano optato per le rotaie, molto più lunghe e noiose. Poche cose funzionano bene come la vergogna per fare imparare una lezione di vita, e in quel momento io mi sono sentita peggio di una ladra. Con quella frecciatina nemmeno troppo velata allo spirito poco coraggioso e avventuroso delle mogli del Pci Rossanda è stata in grado di generare non solo un moto di disprezzo nei confronti della mia inutile fifa, ma anche di farmi rendere conto di quanto sia fondamentale nella vita avere una figura di riferimento che ti sproni a chiedere di più da te stesso per il semplice fatto di farti sentire un po’ scema.

Rossana Rossanda e Alberto Asor Rosa

L’episodio dell’aereo e della paura di volare è un mio ricordo personale e vivido legato a una persona che non sapeva neanche lontanamente che io esistessi, ma il senso della letteratura, del giornalismo e della militanza politica – le tre attività centrali della vita di Rossanda – è proprio quello di riuscire a farti ascoltare, e se va bene anche comprendere e apprezzare nei loro risultati, le parole di qualcuno che molto probabilmente non incontrerai mai. Nessuno nasce consapevole e provvisto di tutto ciò che serve per interpretare la realtà, abbiamo tutti bisogno di un maestro o di una maestra che condivida – volontariamente o involontariamente – la sua conoscenza e la sua esperienza con noi, facendoci magari anche sentire ignoranti e spronandoci a sapere di più. Leggere un romanzo come La ragazza del secolo scorso non fa altro che stimolare quel nervo di orgoglio fondamentale per qualsiasi impulso al miglioramento: la storia della vita di Rossana Rossanda è una cartina tornasole per chiunque senta di voler capire il Novecento, per chiunque abbia qualche dubbio sul fatto che il mondo e le sue questioni “importanti”, come ad esempio la politica, possano alle volte sembrare prerogativa degli uomini. Leggere Rossanda nei suoi articoli, nelle pagine dei suoi saggi e ascoltarla nelle sue interviste, anche quelle più recenti – in cui emerge tutta la fragilità della vecchiaia di una donna nata nel 1924 – è davvero come sentire una secchiata d’acqua gelida versata in tesa, proprio tutto ciò che serve a chi si sente annichilito dal presente o scoraggiato dalla mancanza di un punto di riferimento valido, qualcuno che possa darti un input giusto per sapere dove andare a cercare risposte.

Luciana Castellina – amica di una vita e compagna di militanza di Rossanda, anch’essa parte del gruppo che fondò il manifesto dopo la radiazione dal Pci – non a caso l’ha descritta come “Una giraffa all’interno del comunismo”. E, in effetti, ricostruendo la vita di questa donna, si scopre che non era solo una giraffa all’interno del comunismo, ma una giraffa all’interno del Novecento, una persona che ha fatto della propria intelligenza e curiosità un’arma efficace e appuntita con cui costruire un’esistenza all’insegna della lotta al miglioramento della collettività. Ed è così che rimbomba la sua voce nella testa di chi la legge: studia per te e per rendere il mondo un posto migliore, leggi più libri che puoi, informati su qualsiasi cosa ti metta una pulce nell’orecchio, non avere paura di chiedere chiarimenti, come fece lei stessa da giovane studente alla Statale di Milano quando ebbe l’ardire di domandare in pieno fascismo al suo professore, il filosofo Antonio Banfi, “Mi dicono che lei è comunista, è vero?”. Perché è così che piano, piano, con l’umiltà di chi sapeva di non contare nulla, Rossanda ha cominciato a muovere i suoi primi passi nella sinistra, diventando staffetta per i partigiani milanesi, imparando sulla sua stessa pelle e con la sua stessa esperienza il valore della teoria, della formazione e della cultura, ma anche quello della pratica. Una caratteristica che l’ha resa una mente tanto acuta da essere al contempo una grande alleata e una temibile avversaria persino per le persone con cui condivideva idee e principi: basti leggere anche solo un suo articolo per cui fu molto contestata, specialmente dalla sinistra, per aver sollevato una questione gigantesca come quella delle Br e della critica alla Dc nella celebre metafora dell’album di famiglia.

Rossana Rossanda è ciò che serve a chiunque abbia bisogno di un po’ di conforto e di ottimismo, nonostante il disastro che lei stessa ha confessato di aver trovato in Italia al suo ritorno da un esilio volontario a Parigi; è la ragazza del secolo scorso che dà un barlume di speranza a quello presente, non solo perché lei e i compagni de il manifesto hanno dimostrato che la dissidenza, l’anticonformismo e la testardaggine – anche all’interno del proprio stesso partito – sono fondamentali per la libertà di pensiero e per il valore di qualsiasi lotta, ma anche perché Rossanda è la prova che la conoscenza e lo studio – specialmente quelli umanistici, che vengono sempre meno valorizzati – non sono solo velleità, astrazioni o vuoti intellettualismi, ma la solida base su cui affondare le radici della battaglia per il miglioramento della società. E anche quando lo stesso partito che ti ha cresciuto ti volta le spalle, non c’è mai fine alla lotta se i principi in cui credi sono universali, proprio come quelli di chi come lei sogna ancora in una versione del mondo in cui a prevalere siano l’uguaglianza e la cooperazione sociale, invece della predominanza del singolo sulla massa.

Leggere oggi Rossana Rossanda – specialmente per chi come me nel secolo scorso ci è nato per un pelo – vuol dire sentirsi spronati a non farsi prevaricare da paure stupide, da dubbi idioti sul perché valga la pena o meno studiare materie “inutili” come la letteratura, liberarsi dal senso di solitudine e ingiustizia generato dal sentire che il mondo, così com’è, per qualche motivo, non va bene. Rossanda mi ha fatto sentire stupida per tutte le volte in cui ho pensato che una donna non potesse essere all’altezza di un uomo solo perché la storia e i libri che la tramandano sono strapieni di parole dette da uomini, quando invece bastava solo ascoltare lei, e di questo le sarò eternamente grata, anche se ancora adesso ogni tanto mi torna la paura di volare.

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