Con “Orlando”, Virginia Woolf ci insegna la libertà di essere noi stessi

Fu a una cena organizzata a Londra dal cognato Clive Bell che Virginia Woolf incontrò per la prima volta Vita Sackeville-West, il 14 dicembre del 1922. “Non un granché per i miei gusti più severi, florida, baffuta, variopinta come un pappagallino, con tutta la disinvolta grazia dell’aristocrazia, ma priva del genio dell’artista”, annotò Woolf sul proprio diario, mentre Vita scrisse al marito Harold Nicolson di essere rimasta stregata dalla scrittrice: “Semplicemente adoro Virginia Woolf, e lo faresti anche tu. Cadresti stecchito davanti al suo fascino e alla sua personalità”.

Il mese dopo, Woolf invitò Vita nella sua casa a Richmond per mostrarle la Hogarth Press, la piccola casa editrice che aveva fondato insieme al marito Leonard attraverso la quale stampava brevi opere, come La terra desolata di T. S. Eliot. Fu dopo averle chiesto di contribuire con un testo inedito e aver ricevuto Seduttori in Ecuador, che l’autrice cominciò a considerarla con un’ammirazione e un rispetto del tutto nuovi. A parte qualche lettera e sporadiche visite reciproche, l’amicizia tra le due esplose però solo nel dicembre del 1925, quando il marito di Vita venne inviato dal Foreign Office alla Legazione Britannica di Teheran e Woolf soggiornò per tre giorni a Long Barn, dall’amica.

Vita Sackeville-West

“Per favore, in mezzo a tutto questo caos, continua ad essere una stella, luminosa e stabile. Proprio poche cose rimangono, a indicare la strada: la poesia, e tu, e la solitudine”, le scrisse Vita in una lettera i primi di gennaio. “Ma pensare a te è un grande conforto, quando non sto bene – chissà perché. Ancora più gradevole – meglio vederti”, rispose Woolf. Ben presto, l’amicizia si trasformò in qualcosa di più profondo. Woolf era rimasta affascinata dalle gambe di Vita, slanciate come betulle, dalla sua opulenza, dalla carnagione color pesca, dai vestiti sgargianti, dalle collane di perle, dalle “viole degli occhi”, dal suo istinto da cacciatrice. “Adorata Creatura”, le scriveva.

Vita si allontanò spesso da Londra per accompagnare il marito nelle sue missioni diplomatiche, viaggiando soprattutto in Persia, dove scrisse Passaggio a Teheran e il poema The Land. Nonostante l’amore, tradì Woolf, ferendola più volte nel corso della loro relazione. Vita seduceva le donne esercitando un potere al tempo stesso materno e mascolino: con alcune amanti, come Violet Trefusis, si travestiva da uomo, facendosi chiamare Julian. La sua carica sessuale aveva risvegliato Woolf, che a quarant’anni si scopriva finalmente capace di poter godere a pieno del proprio corpo. Né Harold né Leonard si intromisero nella loro relazione: il primo perché trovava nel matrimonio con Vita una copertura per le sue stesse passioni omosessuali; il secondo perché l’amore per Virginia superava qualsiasi altra cosa.

Virginia e Leonard Woolf

Fu all’inizio dell’ottobre 1927 che, quasi per gioco, Woolf annunciò a Vita di aver deciso di scrivere un libro su di lei, intitolato Orlando. “Supponi che Orlando si riveli essere Vita; e che sia tutto su di te e sulla sensualità della tua carne e sulle lusinghe della tua mente (cuore non ne hai, tu che corteggi la Campbell per i vialetti)… Ti darebbe fastidio? Dì sì o no”. Vita ne fu elettrizzata e così il romanzo divenne per Woolf un modo di indagare il passato dell’amica e trascorrere più tempo insieme, a Long Barn. L’estate successiva Woolf terminò Orlando, che fu pubblicato  l’11 ottobre 1928, ottenendo il plauso unanime dei critici e facendo subito riconoscere in Vita il modello su cui era stato ideato il protagonista. “Ho vissuto in te per tutti questi mesi – ora che ne esco, tu chi sei in realtà? Esisti? Ti ho inventata io?”.

Il giovane Orlando è un nobile inglese, prediletto della regina Elisabetta I, amante della solitudine e della poesia. La sua storia si snoda attraverso i secoli ed è destinata a trasformarsi: dopo aver vissuto più di cent’anni senza invecchiare, il giovane si sveglia d’improvviso, dopo un sonno lungo sette notti, nel corpo di una donna e come tale vivrà per altri due secoli, fino agli inizi del Novecento. Se nelle recensioni dell’epoca l’opera brillava soprattutto per l’uso innovativo che Woolf faceva dell’elemento temporale, oggi Orlando brilla nel suo essere un manifesto per la parità e la fluidità di genere.

Nel 2018 la scrittrice britannica Jeanette Winterson, sul Guardian, definiva Orlando come il primo vero romanzo inglese trans per “la capacità del/la protagonista di gestire la propria transizione con grazia e profonda consapevolezza”. Lasciando che Orlando si guardi allo specchio e si scopra per la prima volta donna, Woolf non fa altro che rimarcare un’oggettività tanto banale quanto centrale nell’attuale questione della disforia di genere, eliminata solo lo scorso giugno dall’elenco dei disordini mentali e comportamentali ma che paradossalmente deve ancora essere certificata per ottenere la rettifica dei documenti: “Orlando – vano sarebbe stato negarlo – era diventato donna. Ma sotto ogni altro rapporto, Orlando rimaneva tale e quale quello di prima”.

Orlando è sempre Orlando, il suo essere non è definito dal suo genere sessuale. In tal senso Orlando si costituisce come una critica alle etichette e alle limitazioni stabilite dai pregiudizi di genere, e anzi promuove l’idea che l’identità di genere non debba essere determinata dal sesso biologico, eleggendo la realtà androgina allo stato più naturale delle cose. Oggi nei Paesi anglofoni è comune utilizzare il pronome plurale “they” (loro) per riferirsi al singolo individuo non binario – che non si identifica cioè soltanto nel genere maschile o femminile, ma in una identità fluida, in continuo divenire, oscillante da un genere all’altro. Se Merriam-Webster, il più antico dizionario americano, ha aggiunto questa definizione solo due mesi fa, Woolf utilizzò il pronome con quest’uso già nel 1928, nelle prime pagine della trasformazione di Orlando, con la chiarezza che “in ciascun essere umano avviene un’oscillazione da un sesso all’altro”.

La forza del romanzo sta proprio nella capacità di Woolf di raccontare la vita – e quindi l’amore, l’orgoglio, la famiglia, la sessualità e la politica – unendo la prospettiva maschile e quella femminile in unico personaggio, risultato della condensazione delle differenze e degli opposti. Due nature considerate spesso a causa di diversi pregiudizi inconciliabili tra loro trovano un loro punto d’incontro, sfidando le convenzioni sociali della morale bigotta di allora, ma anche di oggi. Woolf faceva infatti parte del Bloomsbury Group, un circolo anticonformista e liberale di cui erano membri anche i fratelli Thoby e Adrian, la sorella Vanessa, il marito Leonard e altri intellettuali dell’epoca, come John Maynard Keynes ed E. M. Forster. Si parlava di arte, letteratura, sesso e al centro dei dibattiti finivano le definizioni di concetti come la bellezza, la verità e il bene. Spesso si metteva in discussione la morale corrente, in quanto il gruppo non tollerava la monarchia e, soprattutto, combatteva ogni discriminazione sull’orientamento sessuale e ogni distinzione tra uomo e donna.

In questa luce, questo romanzo rappresenta anche una satira della società e delle discriminazioni perpetrate sulla base del sesso biologico. La trasformazione di Orlando ha infatti implicazioni sociali e legali ben precise: divenuta donna è costretta alla condiscendenza con gli uomini e al matrimonio, e tutta la sua vita viene messa in discussione, perché una donna non può avere i privilegi di un duca, né far da portavoce con i Turchi e nemmeno ereditare la casa di famiglia. In quanto donna, Orlando scopre quanto siano ristrette le sue libertà e scomodi gli abiti che deve indossare, “i quali hanno una funzione più importante che mantenerci al caldo. Quella di cambiare la nostra visione del mondo e il modo in cui il mondo ci vede”. Woolf non fa che sottolineare come ciò che rende un uomo tale agli occhi della società sia il potere che possiede dalla nascita, mentre una donna è caratterizzata solo dalla mancanza di quel potere, economico, culturale e fisico.

Nonostante le norme, però, Orlando ha la forza di rifiutare qualsiasi tipo di  costrizione: storica, fantastica, sociale. Il tempo diventa irrilevante. Invecchiare diventa irrilevante. Persino il sesso biologico diventa irrilevante. È come se accettare pienamente che non v’è una forma perfetta permetta di vivere come si è sempre voluto. Con tutto il mondo da rivendicare, senza alcun limite.

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