Come l’Occidente ha insegnato a odiare al resto del mondo

6 settembre 2018, una giornata storica per l’India. La Corte Suprema ha depenalizzato l’omosessualità, vista per 157 anni come offesa contro natura e per la quale erano previste pene fino a dieci anni di reclusione. Il giudice Dipak Misra ha definito la criminalizzazione della sessualità come “Indifendibile e irrazionale.”

Questo passo avanti compiuto dall’India in ambito di diritti civili è una svolta importante per tutto il continente asiatico. Soprattutto se si pensa che in gran parte dei Paesi che ne fanno parte, come ad esempio l’Iran, l’Afghanistan e l’Arabia Saudita, non solo la tutela dei diritti della comunità LGBTQ+ non è contemplata, ma ci sono leggi che criminalizzano le persone a essa appartenenti con condanne che vanno dalla reclusione fino alla pena di morte.

Gli iraniani Ayaz Marhoni, 18 anni, e Mahmud Asgari, 16 anni, prima dell’esecuzione a Mashhad, Iran, nel 2005. I due adolescenti, condannati per aver stuprato un ragazzo, hanno dichiarato di non sapere che gli atti omosessuali fossero punibili con la morte.

Come mostra la mappa dell’Internal Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association, esistono ancora nazioni – molte delle quali nel continente africano – in cui vi è una forte intolleranza nei confronti dei diversi orientamenti sessuali. Oggi, gran parte del mondo occidentale vive questi luoghi come retrogradi e incapaci di garantire pari diritti alla popolazione, ma si dimentica di quanto loro stessi abbiano influito nel portarli a questa situazione.

Dal 1860 fino alla decolonizzazione, l’Impero Britannico ha acquisito e mantenuto il suo potere non solo grazie alle armi e allo sfruttamento dei possedimenti coloniali, ma anche attraverso l’evangelizzazione dei popoli alla religione cristiana, imposta tramite la British Rule. Questa consisteva in una serie di leggi che stravolgevano gli usi e costumi autoctoni dei Paesi conquistati. Cristianizzazione e occidentalizzazione non avevano come fine la sola conversione delle popolazioni al credo dei colonizzatori, ma, soprattutto, il loro controllo ai fini di uno sfruttamento economico.

La piantagione e la produzione di indaco in India, Calcutta, 1857
Membri della nobiltà indiana intrattengono gli ufficiali inglesi, 1907
Lord Louis Mountbatten assume l’incarico di viceré dell’India, Nuova Delhi, 1947
Un tenente inglese a pranzo nella villa del viceré
Edoardo VIII, Re di Gran Bretagna, recluta soldati indiani durante una visita a Bombay, 1921 circa
Servitore indù offre il tè ad una colonialista europea, India

Ciò è stato possibile anche a causa dei leader presenti in Paesi come la Nigeria, che intravedevano nei coloni possibili vantaggi dal punto di vista degli scambi commerciali, e dunque mostravano una certa curiosità e apertura nei loro confronti. Questa eccessiva interiorizzazione, da parte dei colonizzati, del nuovo ordine fondato dai britannici, ha creato più danni che benefici, cosa che risulta chiara specialmente se si guarda alla storia delle persecuzioni nei confronti degli omosessuali.

La Nigeria ad esempio è tra Paesi più “occidentalizzati” dell’Africa dell’Ovest – almeno nella sua parte meridionale, in cui la religione cristiana è molto sentita – ed è anche uno di quei Paesi in cui l’omosessualità è ancora proibita per legge. E ciò è paradossale perché, di nuovo, si fa appello a un credo esterno per condannare come eresia qualcosa di preesistente, e che i coloni non hanno voluto comprendere in nome della propria visione eurocentrica. Nel 2014, l’allora presidente Goodluck Jonathan ha firmato il Same Sex Marriage Prohibition Act, legge che non solo proibisce il matrimonio tra persone dello stesso sesso – una coppia omosessuale rischia fino a 14 anni di prigione se si unisce in una qualsiasi forma di matrimonio o di unione civile – ma anche l’organizzazione di movimenti e gruppi a sostegno della comunità LGBTQ+. Ciò ha dato maggior libertà alle forze dell’ordine, le quali hanno portato avanti violenze e persecuzioni nei confronti degli omosessuali. Secondo le statistiche del governo inglese, la Nigeria è uno dei Paesi da cui arrivano più richieste di asilo per protezione umanitaria, proprio a causa del rischio che si corre per il proprio orientamento. Esemplare è il caso di Adeniyi Raji, che è dovuto fuggire in Inghilterra a causa della sua omosessualità dopo che in Nigeria aveva rischiato in linciaggio insieme al suo partner ed era ricercato dalla polizia.

L’ex presidente della Nigeria Gooluck Jonathan con Angela Merkel, 2012

Io stessa ho origini nigeriane. Una frase che sento spesso pronunciare sull’argomento da altri nigeriani e da africani in generale è “Non è nella nostra cultura.” Questo modo di dire mi ha sempre sorpreso, portandomi a indagare di più sulle mie origini, le quali mi sembrano essere state dimenticate da molti di noi, persino da chi vive ancora in Africa. In luoghi come la Nigeria o il Ghana ad esempio, si fa spesso uso della retorica secondo cui certi atteggiamenti non fanno parte della “Cultura africana.” Eppure non ci si rende conto che altrettanto spesso la “Cultura africana” a cui si fa riferimento è la cultura coloniale che è stata imposta con la forza secoli e secoli prima, la white Western culture dei coloni britannici, fatta di un’intolleranza e un proibizionismo che hanno stravolto ciò che vi era in precedenza.

Ololade Rabiu, 46 anni, madre di 6 figli, posa in un pozzo vicino Lagos, 2014. È l’unica donna che di professione esegue la perforazione per la ricerca dell’acqua potabile, un’attività considerata prettamente maschile.

L’omosessualità non è stata importata dagli occidentali durante il colonialismo, e nemmeno è nata in tempi recenti, ma è sempre esistita, in ogni parte del mondo. In epoca pre-coloniale non era strano o anomalo il fatto che ci fossero persone con orientamenti sessuali diversi: in yoruba, uno dei dialetti principali della Nigeria, l’omosessuale veniva indicato con il termine adofuro; il gruppo etnico dei Khoikhoi dell’Africa sudoccidentale identificava con il termine koetsire gli uomini attratti da altri uomini e con soregus un’amicizia – che implicava autoerotismo reciproco – tra persone dello stesso sesso. Anche svariate forme di matrimonio omosessuale erano ben presenti in epoca pre-coloniale. All’interno del gruppo etnico Igbo, in Nigeria, l’unione tra donne era una pratica comune, anche come forma di indipendenza e di ribaltamento dei ruoli di genere: chi praticava la poligamia, a prescindere dal sesso, veniva visto come persona di prestigio. Per questo, anche le donne che se lo potevano permettere avevano diverse mogli.

Alcune soldatesse nigeriane e una poliziotta a Lagos

Analogo discorso può essere fatto per l’India, Paese che solo dopo 157 anni sembra essersi reso conto che la tolleranza dei diversi orientamenti ha sempre fatto parte degli indiani. Lo si deduce anche dalla mitologia Hindu, ricca di riferimenti all’omosessualità e alla fluidità dei sessi delle divinità. Testimonianza ancora più tangibile sta nel fatto che l’omosessualità, o la sessualità in generale, non fossero in passato qualcosa di cui avere vergogna o da condannare: si pensi ai numerosi templi le cui mura sono caratterizzate da bassorilievi che rappresentano scene di erotismo, o, ancora, a uno dei più famosi testi Hindu, il Kamasutra. Tutto ciò è stato gravemente condannato dai coloni britannici, in particolare dalle nuove leggi imposte durante il colonialismo di epoca vittoriana. Proprio quella che è stata abolita nelle scorse settimane, e che condannava chiunque avesse rapporti sessuali “contro natura”, è la sezione 377 del Codice penale indiano, emanata negli anni ’60 dell’Ottocento durante la colonizzazione.

Festeggiamenti e parate per l’abolizione della legge 377, Mumbai, India

Perciò oggi molti Paesi sono talmente assuefatti a un modo di pensare imposto dall’esterno da dimenticare le caratteristiche stesse della propria società e dei diritti che garantiva. Ciò che personalmente mi fa sperare in un cambiamento sono le nuove generazioni, soprattutto quelle nate in Occidente ma con origini diverse, le quali si documentano sempre di più sulla storia del Paese dei loro genitori, nonni, parenti. Nonostante le difficoltà, c’è chi sta cercando, nel suo piccolo, di cambiare le cose. Bisi Alimi è un importante attivista omosessuale nigeriano che, benché sia dovuto fuggire in Inghilterra, continua a cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica tramite campagne e workshop. Ha fondato la Bisi Alimi Foundation, un’organizzazione che ha come scopo quello di favorire l’accettazione delle comunità LGBTQ+ in Nigeria, contrastando le leggi vigenti. E sono molte altre le realtà che cercano di fare la differenza, come The Initiative of Equal Rights, una no-profit nigeriana che lavora per promuovere e proteggere i diritti umani delle minoranze con orientamenti sessuali diversi.

Bisi Alimi

In questo caso ritengo che sia fondamentale cercare di mettere da parte la visione eurocentrica dell’uomo e della religione, interiorizzata in gran parte del mondo per troppo tempo. Ci si dovrebbe impegnare a documentarsi sul proprio passato e vedere se effettivamente ciò che siamo oggi corrisponde alla realtà da cui siamo partiti molto tempo fa; sarebbe un passo ulteriore verso il riconoscimento delle proprie origini. Il che non significa chiudersi nel proprio contesto, rifiutando con intolleranza tutte le novità che vengono dall’esterno. Ma nemmeno rinnegare la propria storia, pensando che libertà e diritti siano solo prerogativa dell’Occidente. È un cambiamento possibile: come ha fatto notare l’importante attivista nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie durante la conferenza We should all be feminists, “La cultura non fa le persone, ma sono le persone a fare la cultura.”

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