Quando 2 studenti italiani aiutarono 29 persone a oltrepassare il muro di Berlino

Nel 1983 i Rolling Stones tennero un concerto a Berlino Ovest, ormai diventato iconico, non lontano dal Muro, durante il quale a un certo punto vennero liberati centinaia di palloncini che attraversarono la barriera invalicabile. Quella sera, il chitarrista dei Nena, Carlo Karges, era tra il pubblico e si chiese cosa avessero pensato i concittadini dell’altra parte alla comparsa dei colorati invasori. L’idea lo affascinò al punto da dargli lo spunto per una canzone: “99 Luftballons” (nota anche nella versione inglese “99 Red Balloons”) diventò una hit mondiale, raccontando di palloncini scambiati per ufo, “uccisi” appena dopo aver superato il confine. Il pezzo era una chiara metafora dell’impossibilità per i tedeschi di superare il Muro. La barriera (anzi, le due barriere, divise da una striscia di terra di nessuno) erano state alzate il 13 agosto del 1961 e, da quel momento in poi, di anno in anno, l’attraversamento era diventato sempre più difficile, anche per chi era apparentemente innocuo come un palloncino.

Dal giorno della creazione del Muro, i tentativi di passaggio – principalmente da Est a Ovest, ma anche il contrario, a volte pur di ricongiungersi con le proprie famiglie – erano stati tanti, e in alcuni casi avevano dato vita ai più svariati e fantasiosi piani, dettati dalla disperazione: Heinz Meixner e Margarete Thurau ad esempio elusero il check-point con un’auto modificata, in modo da poter passare a tutta velocità sotto la sbarra, mentre Wolfgang Engels riuscì a fuggire dall’altra parte dopo essersi riuscito a impossessare niente meno che di un carro armato. Una delle storie più affascinanti e meglio documentate rimane però quella del cosiddetto Tunnel 29 o “Tunnel della libertà”, pensato da due studenti italiani per aiutare un amico.

Domenico “Mimmo” Sesta e Luigi “Gigi” Spina erano come fratelli: si erano conosciuti a Gorizia, dove Mimmo, di origini pugliesi, aveva fatto le superiori, e da quel momento in poi non si erano più persi di vista. Quando la madre di Mimmo morì e la famiglia non poté più aiutarlo negli studi, Gigi gli suggerì di raggiungerlo a Berlino, dove erano arrivati in cerca di fortuna tanti altri italiani, soprattutto dal Meridione. Dopo un breve periodo a Düsseldorf, in cui Sesta imparò il tedesco lavorando alla Henkel, i due amici si ricongiunsero alla Technische Universität di Berlino dove entrambi iniziarono gli studi, ancora oggi una delle più prestigiose università tecniche d’Europa.

I due non ci misero molto a integrarsi, anche se l’atmosfera in città aveva iniziato a farsi sempre più pesante: circa 30mila persone ogni mese abbandonavano la Germania Est per andare all’Ovest. Anche se iniziava a serpeggiare il sospetto che qualcosa sarebbe accaduto per interrompere questo flusso, nessuno si aspettava che il governo dell’Est, la DDR, avrebbe innalzato da un giorno all’altro quella che definiva una “barriera di protezione antifascista”. Intere famiglie vennero divise dal Muro, senza alcun preavviso: anche chi per caso si trovava quel giorno di passaggio a Berlino Est non potè più tornare a casa per anni. Tra i ragazzi bloccati, c’era anche un collega universitario di Mimmo e Gigi: Peter Schmidt.

Nel febbraio del 1962, Sesta e Spina decisero di andare a trovare l’amico nella parte orientale, dato che chi era in possesso di passaporto straniero poteva spostarsi liberamente attraverso la barriera. Peter viveva con la famiglia a Wilhelmshagen, dove soffriva per le privazioni del regime. Scappare però era diventato ormai impossibile senza un buon piano e alcuni complici o conoscenze nelle alte sfere: così, al limite della disperazione, Peter chiese aiuto ai due studenti italiani. Mimmo e Gigi promisero di dargli una mano, pur non avendo idea di come fare e pur essendo ben consci della difficoltà dell’impresa: per fare fuggire Peter insieme a moglie, figlia e madre adottiva serviva progettare tutto nei minimi dettagli e soprattutto essere molto prudenti, in gioco c’era la vita.

Domenico Sesta

La loro idea di far passare tutti attraverso un tunnel sotto il Muro non era nuova ma, dopo diversi tentativi precedenti risultati completamente vani, era ormai considerata una soluzione impraticabile anche dalla stessa polizia dell’Est, che quindi aveva abbassato la guardia su nuovi possibili tentativi del genere: la vicinanza della Sprea, il fiume che attraversa Berlino, rendeva in tempi brevissimi qualunque galleria di fortuna inutilizzabile, per il pericolo di allagamento. Grazie al loro passaporto straniero, i due italiani avevano però il vantaggio di poter attraversare il confine senza problemi, alla ricerca del punto perfetto da dove iniziare e finire il tunnel, analisi possibile anche grazie alle loro competenze tecniche. Dopo svariati sopralluoghi, decisero di iniziare a scavare la galleria all’altezza di quello che oggi è il civico 80 di Bernauer Straße: Sesta e Spina presero in affitto uno stabilimento industriale abbandonato dopo la guerra e iniziarono a scavare una galleria che doveva sbucare in una cantina di Rheinsberger Straße, dall’altra parte.

Presto si resero conto di quanto questa follia fosse irrealizzabile senza l’aiuto di qualcun altro e così iniziarono a coinvolgere altre persone fidate: al caffè universitario Am Steinplatz, conobbero Hasso Herschel e il suo migliore amico Uli Pfeiffer. Hasso aveva lasciato Berlino Est grazie a un passaporto svizzero, ma sua sorella era rimasta lì con la famiglia; mentre Uli voleva ritrovare sua moglie, catturata mentre provava a scappare insieme a lui attraverso il sistema fognario. Gigi e Mimmo si accorsero che molte persone necessitavano di far passare qualcuno e così in breve tempo riuscirono a raccogliere un gruppo di più di quaranta volontari, uniti per la stessa causa.

Ulrich Pfeiffer e Hasso Herschel, 2017

Come ricorda uno di loro, nessuno aveva mai scavato un tunnel prima di allora, ma la necessità aveva instaurato un clima di fiducia reciproca, e la disperazione unita all’entusiasmo e al sostegno reciproco rendeva quell’impresa possibile. Non si trattava di un dettaglio di poco conto in un Paese dove la Stasi, il potente Ministero per la Sicurezza di Stato, aveva informatori dovunque: scherzando, ma neanche troppo, si diceva che i tassisti dell’Est fossero i più veloci del mondo perché, quando salivi sul taxi, loro sapevano già dove dovevi andare. In un contesto simile, era fondamentale poter fare affidamento su persone leali.

Un altro aspetto da considerare, non secondario, era che per completare il tunnel c’era bisogno di denaro: i ragazzi investirono tutti i loro risparmi e anche la madre di Peter diede il suo contributo, ma i fondi iniziali bastarono a malapena per arrivare a metà del percorso. Sfogliando i giornali, Mimmo e Gigi scoprirono che stava per uscire un film di Hollywood intitolato Il tunnel e gli venne una grande idea: iniziarono a contattare le televisioni americane per chiedere se fossero interessate a finanziare il progetto. In cambio dell’aiuto economico, i ragazzi offrirono le riprese dei loro scavi: il tunnel sarebbe diventato un documentario unico nel suo genere. Nel suo libro dedicato all’impresa, il giornalista americano Greg Mitchell definisce il risultato di quell’accordo tra gli studenti e la NBC: “una sorta di reality ante litteram girato sul fronte della guerra fredda”. Il network offrì 50mila  marchi e innescò una “corsa al tunnel” che convinse la concorrente CBS a stanziare un budget ancora maggiore per finanziare un’altra impresa simile, ma dall’esito meno felice.

Temendo che i lavori iniziassero ad attirare l’attenzione, per evitare rischi, si decise di accorciare il percorso in modo da far uscire al più presto tutti dall’altra parte, in Schönholzer Straße. A quel punto, mancava solo qualcuno che facesse da staffetta: il compito di questa persona consisteva nel recarsi in alcuni locali di Berlino Ovest e, da lì, dare in codice il segnale di via libera. Il caso volle che qualche giorno prima fosse arrivata a Berlino la fidanzata di Mimmo, conosciuta a Düsseldorf. Ellen non fece neanche in tempo a scendere dall’aereo che già i due amici avevano deciso che sarebbe stata lei: dopo essersi preparata tre giorni, il 14 settembre, giorno del suo compleanno, Ellen Shau prese la metro a Friedrichstraße, nonostante ne avesse la fobia, e andò in tutti i luoghi prestabiliti dal piano. Attraverso il tunnel, che era arrivato a essere lungo 123 metri, riuscirono alla fine a fuggire 29 persone tra parenti e amici dei volontari. Il primo a uscire fu Peter con la sua famiglia. La galleria si allagò completamente poco dopo il passaggio dell’ultima persona, ma a quel punto non importava più a nessuno. Oggi una targa in Schönholzer Straße ricorda la folle impresa orchestrata da due ragazzi italiani. Anche Uli e Hasso, i primi ad aiutarli, riuscirono a portare in salvo i loro cari: Hasso avrebbe continuato a far scappare quasi 10mila persone nella parte occidentale per i successivi dieci anni. The Tunnel, il documentario che la NBC trasse da questa storia, fu un grande successo, al punto da diventare il primo di questo genere a vincere l’Emmy come programma televisivo dell’anno.

Domenico Sesta e Luigi Spina hanno ricevuto la Medaglia d’oro al valor civile e sono rimasti sempre amici. A tener viva la memoria della loro impresa ci ha pensato Ellen, che ha scritto il romanzo Il tunnel della libertà, da cui sono stati tratti due film per la tv, uno tedesco (Der Tunnel) e uno italiano, Il tunnel della libertà. Dal 1989 il Muro di Berlino non esiste più, ma trent’anni dopo i suoi omologhi nel mondo sono aumentati: da allora le barriere fisiche sono passate da sedici a settanta e tutti i giorni qualcuno promette di edificarne di nuove. Il giornalista Antonio Polito, che aveva trent’anni quando il Muro cadde, oggi ne ha il doppio e su Sette, l’8 novembre ha scritto un articolo che conclude così: “Siamo forse troppo stanchi trent’anni dopo per far rivivere quell’evento con la stessa forza propulsiva che le celebrazioni di un evento storico di tale portata dovrebbe avere”.

Il tunnel della libertà (2004)

Se le vecchie generazioni sono ormai sfiduciate, tocca a chi ha oggi l’età di Gigi e Mimmo recuperare lo spirito di quegli anni: i due studenti italiani rischiarono tutto per aiutare qualcun altro, lo fecero perché avevano ben chiari valori come solidarietà, lealtà, generosità e libertà. Rischiarono tutto senza alcun tornaconto per trovare un modo per superare un muro che li divideva dagli altri e, forse, è quello che dovremmo imparare a fare anche noi, esercitando il nostro coraggio per ciò in cui crediamo, non solo con le parole, ma con le azioni.

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