Curzio Malaparte ci insegna come difenderci da un colpo di Stato

In principio pubblicato esclusivamente in Francia nel 1931, Tecnica del colpo di Stato del giornalista Curzio Malaparte venne bollato come libro pericoloso, e nei principali Paesi europei venne censurato, tanto da vedere la luce in Italia soltanto nel 1948. Raramente un’opera letteraria è riuscita a dividere tanto nelle interpretazioni quanto a unire nelle reazioni, seccate e risentite, dei principali attori del panorama politico di inizio Novecento.

Curzio Malaparte, pseudonimo di Kurt Erich Suckert, ha avuto il pregio di compiere durante l’epoca degli avvenimenti, una disamina lucida e pressoché veritiera degli scenari socio-politici in corso nel vecchio continente, riuscendo a raccontare l’ascesa di Lenin e Mussolini, profilando con perizia il pensiero politico e strategico di dittatori come Hitler e Stalin.

Messo alla berlina dai regimi totalitari, criticato aspramente da Trockij, osteggiato da Mussolini, odiato da Hitler, che ordinò di metterlo al rogo nel 1933, Tecnica del colpo di Stato si distingue per la sua doppia valenza: un manuale che non solo suggerisce come rovesciare un governo, ma anche come difenderlo da eventuali attacchi. Un’opera quanto mai attuale che propone curiosi parallelismi con la repentina ascesa delle correnti populiste e sovraniste avvenuta recentemente in Italia ma non solo.

L’arrivo di Curzio Malaparte a Monaco di Baviera nell’aprile del 1952 e nell’ex Unione Sovietica nel marzo del 1957

Curzio Malaparte è stato un fervente interventista prima ancora di cominciare la carriera da giornalista. All’età di sedici anni, agli albori della Grande Guerra, è volontario presso la Legione Garibaldina, e in seguito si arruola nel Regio Esercito ottenendo, terminato il conflitto, la medaglia di bronzo al valore militare. Questa esperienza ispira la stesura del suo primo libro Viva Caporetto!, opera che lo introduce alla carriera da giornalista. Come Arturo Toscanini, Malaparte esalta i valori interventisti insiti negli ideali fascisti, ma a differenza del Maestro sposa totalmente il Fascismo, partecipando alla Marcia su Roma nel 1922, giustificando lo squadrismo radicale e invitando Mussolini a scuotere il Paese assumendone il controllo.

Progressivamente però si dissocia anche lui dalle idee mussoliniane, non riconoscendo più nel Duce una guida idonea a rappresentare i principi fascisti, denotando un camaleontismo politico che lo avvicina in futuro a posizioni antifasciste e successivamente filocomuniste. La delusione politica, unita a una capacità di analisi giornalistica meticolosa e alla necessità di raccontare i tumulti che scuotono l’Europa, spingono Malaparte alla stesura di Tecnica del colpo di Stato, avvenuta nel 1930, anno nel quale occupa il ruolo di direttore della Stampa.

Sin dalla sua genesi, il manoscritto lascia supporre che il contenuto possa rivelarsi problematico per l’autore per via degli interi capitoli dedicati a Trockij, Lenin, Stalin, Mussolini e Hitler, che ne esaltano le strategie sovversive ma mettono anche in luce le loro debolezze caratteriali. Non è un caso che Malaparte venga persuaso dall’editore Bernard Grasset a pubblicare Tecnica del colpo di Stato in Francia, Paese nel quale viene ufficialmente invitato, nel periodo precedente al lancio, per evitare ogni ritorsione da parte di Mussolini. “[A Mussolini] il libro piacque, ma non gli andò giù. E per una di quelle contraddizioni proprie del suo carattere, ne proibì l’edizione italiana, ma permise che i giornali ne parlassero ampiamente. Un bel giorno, all’improvviso, la stampa italiana ebbe l’ordine di non occuparsi più del mio libro, né in bene né in male”.

Tecnica del colpo di Stato inoltre è il primo libro in aperto contrasto con il Führer: ne profetizza l’ascesa e lo ritrae con severa efficacia, dando linfa alla propaganda antinazista. Al contrario del Duce, la reazione di Hitler, una volta divenuto cancelliere nel 1933, è furente e rabbiosa, tanto da chiedere la testa di Malaparte a Mussolini. Non tardano le manifestazioni di sdegno anche dall’Est-Europa, in particolare da Trockij e dai suoi sostenitori, che bollano Malaparte come fascista, reo di aver mischiato il nome di Trockij a quello di Lenin e Stalin.

Eppure Malaparte attribuisce gran parte dei meriti della rivoluzione d’ottobre a Trockij, che ha l’ardore di contrastare il seducente pensiero marxista di Lenin, volto ad abbracciare una rivoluzione popolare che coinvolgesse attivamente le migliaia di persone in povertà assoluta, con una rivoluzione blanquista.

In Tecnica del colpo di Stato l’approccio strategico di Trockij è esaltato e segna un precedente, per ottenere il controllo di un Paese moderno non è necessario un esercito, bensì è sufficiente un manipolo di uomini risoluti, coordinati, che assumano il controllo dei centri strategici di potere. La condizione necessaria affinché si compia il colpo di Stato, e abbia esito positivo, è evitare di creare delle rivolte in piazza, che ogni governo può fronteggiare con misure d’ordine pubblico, assumendo la gestione dei punti cruciali come stazioni ferroviarie, centrali telefoniche e telegrafiche, centri postali, negando ogni possibilità di collegamenti e comunicazione. Le strutture del potere, come il Parlamento, sono libere da ogni occupazione, ma inermi.

E secondo Malaparte, proprio la determinazione bolscevica ispira Mussolini nel seguire il percorso tracciato da Trockij arricchendolo di un’ulteriore sfumatura: l’inganno. L’autore è cronista del concitato colpo di Stato fascista che parte da Firenze nell’ottobre del 1922. Il capoluogo toscano occupa un ruolo strategico fondamentale, con Bologna e Pisa è il fulcro della comunicazione su rotaia tra Nord e Sud dello stivale. La conquista di Firenze è vitale per il trasporto delle forze fasciste dalla Lombardia al Lazio e poter così marciare su Roma. In Tecnica del colpo di Stato, si evidenzia come la metodologia adottata da Mussolini per rovesciare il Governo e appropriarsi del potere, sia molto simile a quella attuata da Trockij. Come avvenuto nella Repubblica russa cinque anni prima, i punti strategici locali – centrali dei telegrafi e dei telefoni, la centrale elettrica, la direzione delle poste, la stazione ferroviaria e i ponti – sono occupati dalle camicie nere.

Vincenzo Pericoli, prefetto di Firenze, non può comunicare la situazione né al governo né alle autorità provinciali. La situazione è delicata, le forze dell’ordine sono dislocate per la città, ma non possono intervenire, al contempo i fascisti non hanno ancora il pieno controllo di Firenze. Il quadrumviro Italo Balbo dà ordine a una squadra di camicie nere, di intimare al direttore de La Nazione, Aldo Borrelli, di lanciare un’edizione straordinaria del giornale. La volontà è di comunicare una fantomatica trattativa tra Mussolini e l’Aiutante di campo del Re, il Generale Arturo Cittadini, a seguito del quale il Duce ha accettato di formare un nuovo ministero.

La notizia apparentemente vera è falsa, ma la diffusione del giornale in tutta la provincia – avvenuta nel giro di poche ore – ha sortito effetto, ammorbidendo la posizione delle forze dell’ordine che reputano veritiera l’edizione de La Nazione e fraternizzano con le camicie nere, credendo si fosse giunti a un compromesso tra il Re Vittorio Emanuele III e Mussolini. Malaparte evidenzia l’evoluzione della strategia fascista rispetto a quella trockista, introducendo il concetto di fake news, evidenziando l’effetto dirompente del bluff e offrendoci uno spunto di riflessione legato alla dinamica delle notizie mendaci.

Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini decorano un soldato, Roma, 1 gennaio 1943

Il progresso tecnologico a cui siamo andati incontro dalla pubblicazione di Tecnica del colpo di Stato a oggi offre uno spunto di riflessione legato al testo di Curzio Malaparte che lo rende estremamente moderno e ancora efficace. Grazie alla digitalizzazione crescente (con oltre 4 miliardi della popolazione terrestre che ha accesso a internet) e l’analfabetismo funzionale, le fake news – ma non solo – si rivelano sobillatrici e difficili da arginare. Ed è difficile, nello schema proposto da Malaparte, non guardare alla diffusione e l’utilizzo dei social media come a un nuovo mezzo per rovesciare i governi impreparati. Basti pensare alla progressiva affermazione del populismo e di come si è insediato nei principali Paesi industrializzati.

Escludendo le democrazie illiberali, nelle quali la comunicazione è poco limpida o in casi estremi controllata – come ad esempio Russia, Turchia e Ungheria – risultano a oggi eclatanti i casi degli Stati Uniti e del Brasile, Paesi nei quali, rispettivamente, Trump e Bolsonaro sono partiti come underdog alla corsa per le presidenziali, salvo poi risultare vincitori grazie al supporto del web. Seppure non sia documentato che Trump e Bolsonaro siano i principali mandanti delle fake news, entrambi hanno dimostrato un’abilità concreta nell’approfittare di queste notizie per ottenere maggiori consensi. Donald Trump è andato contro i media tradizionali, scatenando anche diatribe con le emittenti nazionali CNN e NBC, preferendo gestire la comunicazione mediante social network come Twitter, Periscope e Instagram, canali che lo hanno fatto apparire vicino agli elettori statunitensi garantendogli la vittoria. Questa strategia ha premiato Trump ed è stata seguita da Bolsonaro, che con il presidente degli Stati Uniti condivide una tendenza al politicamente scorretto. Il neo-presidente brasiliano, grazie a un linguaggio diretto, al ricorrente uso di Facebook, YouTube e WhatsApp, ha giovato maggiormente delle fake news, facendo breccia nelle aree del Paese nelle quali la connessione a internet è migliore.

La tecnica del colpo di Stato si è evoluta e vede adesso in internet e nei social network quei punti strategici che secondo Malaparte sono fondamentali per il sovvertimento di uno Stato. Se per Trockij, all’epoca, si è rivelato cruciale avere pochi uomini ma capaci per rovesciare lo status quo, per i politici di nuova generazione è sufficiente non avere il consenso di tutti, bensì avere il consenso di quelli giusti.

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