Dovremmo insegnare yoga al posto di educazione fisica a scuola? - THE VISION

Dopo la sua visita in India, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha annunciato che “cercherà di capire se sia possibile inserire questa disciplina a scuola, nelle ore di ginnastica, coinvolgendo anche istituzioni qualificate indiane”.

A parte che non si capisce cosa intenda con “cercherà di capire”, a quale “possibilità” faccia riferimento, ma soprattutto fa sorridere il fatto che abbia dichiarato di voler coinvolgere addirittura presunte“istituzioni qualificate indiane” quando in Italia, da decenni, sono ormai attive realtà che non hanno niente a che invidiare ai centri di Mysore (una delle città indiane diventate ormai simbolo dello yoga). Non so voi, ma noi, al liceo, le ore di ginnastica le passavamo a darci lo smalto in sala pesi o a limonare in fondo al campetto da calcio, rigorosamente asfaltato – ed eravamo tra le poche scuole che almeno il campetto ce lo avevano. L’altra opzione era che il professore  – diplomato Isef – ci facesse guidare a rotazione sessioni di stretching e potenziamento mentre faceva battute “divertenti” sulle forme di noi studentesse. Ecco, partendo da questi presupposti si potrebbe pensare che con lo yoga a scuola andrà sicuramente meglio.

Ma il Movimento 5 Stelle riesce sempre a fare polemica anche dove la polemica, per una volta, non sembra esistere. Simone Valente, capogruppo del movimento alla Camera, interviene infatti sulla questione, e se ne esce dicendo che “le parole del presidente Gentiloni sullo yoga a scuola sono da maestro della confusione che ignora lo scenario drammatico che si trovano oggi davanti gli studenti. Quello che ha fatto il governo per l’educazione fisica è nullo, tanto che oggi nelle scuole primarie non è prevista la presenza di diplomati Isef o di laureati in Scienze Motorie. Prima di fare annunci spot nelle sue visite all’estero forse […] farebbe meglio a informarsi di cosa succede nel suo Paese”. Parole che dimostrano come probabilmente non abbia la più pallida idea di cosa si intenda con “yoga”, se non qualche luogo comune su radical chic, ricchi e yippie.

Purtroppo – non solo per Valente, ma per molti – lo yoga è ancora un’attività stravagante. Probabilmente perché ignorano che, secondo diversi studi pubblicati su riviste scientifiche, questa disciplina ridurrebbe effettivamente lo stress e potenzierebbe le capacità di apprendimento. Possono stare tranquilli: non è poi una disciplina così eretica come pensava il Papa.

Uno dei benefici che oggi vanno più di moda tra i tanti che apporta lo yoga è la produttività. È così che spesso si vende nelle aziende, e anche nelle scuole. Ma questa leggendaria produttività nasce dal benessere, e dalla riduzione dei livelli di ansia. Sarebbe fondamentale introdurre lo yoga nelle scuole, fin dagli asili, per evitare che i bambini disimparino progressivamente a respirare, arrivando all’età adulta già posturalmente compromessi. Non c’è bisogno che sia un insegnante di yoga a dirci che la vita sedentaria faccia male – o forse sì, visto che ormai per noi è diventata la condizione di normalità. Stare seduti per tante ore costipa una serie di organi, che se non sono ossigenati da un corretto movimento respiratorio finiscono a lungo andare per arrivare a situazioni di intossicazione, inattività e sofferenza. Smettiamo quindi di pensare che lo yoga sia una cosa da alternativi snob. Per fare yoga non serve niente, solo se stessi e la propria attenzione. Non è così necessario nemmeno il tappetino, ma uno stipendio per l’insegnante sì. E forse è per questo che la maggior parte delle scuole italiane dove si è iniziato a praticare yoga per il momento sono private.

Detto questo, Valente, da un punto di vista squisitamente politico, può anche avere ragione. Nel nostro Paese abbiamo università che, teoricamente, formano professionisti specializzati a insegnare ai ragazzi discipline sportive all’interno delle istituzioni, dal salto triplo a rubabandiera; professionisti che spesso e volentieri fanno fatica a trovare il loro posto nel mondo del lavoro. Perché dovremmo dedicare fondi ad altre figure professionali formatesi in realtà private e al momento ancora fluttuanti in un enorme gap legislativo? In Italia, ad oggi, non esiste nessuna normativa che contempli lo yoga, da un qualche punto di vista. Non si sa cosa sia, non si sa a che leggi risponda. Non si sa come inquadrare i centri dove si pratica che non siano “palestre”: regna un vuoto normativo su regole igieniche, norme di sicurezza eccetera. Non si sa come certificare chi lo insegna. Non si sa nemmeno se sia uno sport o meno, anchese ormai viene usato sempre più spesso come parte integrante della preparazione atletica.

Chi insegnerà allora nelle scuole pubbliche? Chi mi garantisce che il“Maestro” dei miei figli non sia un ciarlatano o un addetto marketing pentito che ha raggiunto l’illuminazione grazie a dei video di rilassamento su YouTube? Uno dei tanti maestri improvvisati che sfornano sempre più spesso i teacher training di due settimane e da migliaia di euro? Non è rischioso riempire la testa di un adolescente con storielle sui sette chakra che qualche ragazza sensibile, senza alcuna preparazione filosofica sulla storia del pensiero indiano, ha letto su internet? Vero è che, purtroppo, a scuola le sciocchezze non siano rare e che, purtroppo, nelle scuole secondarie – dove per la gioia di Valente a differenza delle primarie insegnano diplomati Isef e laureati in Scienze Motorie – la situazione non sia esattamente idilliaca. Molte scuole non hanno nemmeno le attrezzature e le strutture necessarie, così, quelle due ore a settimana si trasformano in due ore di nulla, di chiacchiere, o nella migliore delle ipotesi nel ripasso di altre materie.

Il punto è che ci vorrebbe un reale percorso di educazione, dove si impari a padroneggiare per step la fisiologia applicata, magari affiancato a corsi di nutrizione e biologia. Anche nella migliore delle ipotesi, quando ben fatta, l’educazione fisica che si insegna oggi nelle scuole italiane non fornisce una vera consapevolezza del corpo, non è uno strumento che ci può tornare utile in altri aspetti della vita come lo studio, le relazioni sociali, la gestione dello stress durante gli esami o i colloqui lavorativi. Lo yoga, se ben fatto, invece sì. Giocare un’ora a settimana a pallavolo, partecipare ai campionati nazionali di atletica, o fare le gare di sci con la scuola, avranno sicuramente tanti aspetti positivi – come insegnare a lavorare in team senza far emergere troppo tua personalità – ma restano attività di svago, che non sostengono e non rappresentano un percorso educativo a tutti gli effetti. Anche perché chi è che di solito passa le selezioni ai campionati? Gli studenti che praticano sport in orario extracurricolare seguiti da allenatori specializzati.

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Esiste però una Federazione Italiana Yoga (FIY), che è riuscita araggiungere da qualche anno la scuola pubblica ed è stata interpellata, a questo proposito, pochi giorni fa da Vanity Fair.

La FlY si vanta di essere la migliore realtà a fornire insegnanti, la più riconosciuta in Italia e all’estero – e d’accordo che è una questione ancora aperta – eppure ad oggi non è riconosciuta dal CONI. Infatti la FIY non è esattamente ciò che si intende per “Federazione”, sembrerebbe essersi semplicemente battezzata così. A ben guardare è un’associazione come molte altre, con un albo soci come tutte le altre, solo che lo scrive con la A maiuscola. Eppure, come si legge sul sito è l’unica associazione di insegnati di yoga in Italia ad avere il riconoscimento ministeriale riguardante lo yoga per l’educazione, avendo firmato nel corso degli ultimi vent’anni diversi Protocolli d’intesa con il MIUR (il primo risalente al 1998 e i successivi al 2000, 2003 e 2007). Ma andando a consultare non c’è grande chiarezza, dato che online si trova solo un Protocollo del 2007, che fa riferimento a un altro Protocollo del 2000 – sottoscritto però da MPI e dalla Confederazione Nazionale Yoga (CNY), da non confondere con la Confederazione Ufficiale Italiana Di Yoga(CUIDY), che suona un po’ come il nome che date all’ennesima copia del salvataggio del vostro curriculum aggiornato – e a uno effettivamente del 1998, che però fu stipulato tra MPI e vari altri enti: Istituto di Ricerche Yoga, Ricerca Yoga dell’Educazione, Associazione Viniyoga in Italia e Federazione Nazionale Yoga (FNY). Chissà se e quale di questi enti si è trasformato nella FIY (forse la FNY?), che in altra sede parla anche di un altro protocollo, siglato nel 2003, ma non reperibile in rete.

Nel protocollo del 2007 – rinnovato nel 2015, secondo quanto riporta la FIY – si afferma che il Ministero dell’Istruzione “riconosce che la disciplina yoga, al di là dei presupposti filosofici e religiosi, rappresenta un sistema dinamico di esercizio fisico da cui i giovani possono trarre benefici quali l’armonia, il coordinamento e l’elasticità del movimento; lo sviluppo delle capacità di attenzione e di concentrazione, di gestione delle emozioni e di autocontrollo”, mentre la CNY “ritiene che lo yoga sia una disciplina atta a favorire la crescita globale dei giovani, migliorandone la capacità di relazione con gli altri e con l’ambiente e sviluppandone il senso di responsabilità individuale e sociale, la tolleranza, il rispetto e la solidarietà”, “si impegna a farsi promotore di iniziative volte alla definizione giuridica della figura dell’insegnante di yoga e al suo riconoscimento”.

Eppure sono passati dieci anni e non è successo niente, il progetto non è mai partito davvero. Era necessario che qualche nostro politico, nuovo John Lennon, andasse in India per capire quanto fosse importante?

La FIY ha anche ideato il titolo di “Insegnate Federale”, che mi fa pensare un po’ a Men in Black e a X-Files. Sul loro sito si legge: “La FIY è ccreditata con Protocollo dal Governo Indiano, e dal Minsitero dell’Istruzione e i suoi diplomi sono riconsociuti dall’Unione Europea di Yoga e da Sarva Yoag International”. Nonostante vincano il primato mondiale dei refusi per singola frase, leggendo il programma, i loro corsi di formazione a prima vista si collocano tra i più seri in cui mi sia imbattuta. La loro formazione prevede infatti un periodo di tre anni, più uno di specializzazione, in un panorama in cui ormai vanno di moda i corsi intensivi, che sfornano dal nulla insegnanti certificati, che poi sanno a stento cosa sia e dove si trovi il calcagno. Il problema, però, è che, procedendo nella lettura del piano formativo, si evince che in un anno siano previsti da calendario solo 4 giorni di lezione, più 2 d’esame.

Resta però il dubbio sulla necessità di un titolo. Se io, con 700 ore di formazione certificata alle spalle (per una durata di quattro anni) e con esperienza nell’insegnamento volessi iscrivermi al loro “Albo” per poter insegnare in una scuola media pubblica, dovrei rifrequentare i loro corsi e fare altri quattro anni di formazione? Pare che la risposta sia sì, se il mio diploma non è riconosciuto dalla UEY(European Union of Yoga). Ma, guarda un po’, in Italia il loro diploma è l’unico riconosciuto. Inoltre, per rimanere iscritti all’Albo, si è costretti a frequentare un corso di aggiornamento all’anno fra quelli riconosciuti da loro.

Aprendo l’Albo vedo però che gli iscritti sono notevolmente inferiori a quelli che mi aspetterei per un’associazione che vanta di essere la prima organizzatrice di corsi di formazione di yoga in Italia – dal 1974. In Lombardia 23, in Emilia Romagna 10, in Liguria 12, il Lazio è una delle regioni più forti, con 31 iscritti. Non sono esattamente numeri che fanno girare la testa. Non è strano? E non venitemi a dire che sono pochi perché la selezione è molto rigida, con tutti gli insegnanti validi che ci sono in Italia, basta fare due conti. Eppure i dati e le ricerche mancano.

Il punto è che purtroppo lo yoga, pur avendo sempre più riconoscimenti e pur ampliando il suo bacino di utenti anno dopo anno, in Italia versa nella più totale confusione amministrativa, peggiore solo a quella delle scuole di scrittura, di teatro e di osteopatia. Ormai, per ottenere una certificazione basta frequentare i più disparati corsi di aggiornamento a pagamento, che si rivelano nella maggior parte dei casi workshop sostenuti e pubblicizzati per scopi meramente commerciali. È il capitalismo, bellezza.

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Forse, se lo yoga riuscisse a inserirsi stabilmente all’interno del CONI si potrebbe avere qualche certezza in più, ma si attende ancora il verdetto finale sulla questione. Per il momento tutti continuano ad approfittarsi di una delle discipline più antiche e teoricamente benefiche del mondo, pestandosi i piedi a vicenda in una furiosa gara a chi arriva prima a ritagliarsi il proprio piccolo regno, il proprio francobollo accademico, come se bastasse una certificazione, un pezzo di carta con decori pixelati, a fare un maestro. Speriamo che i nostri politici si chiariscano in fretta le idee e capiscano realmente quanto sia importante questa disciplina, soprattutto se praticata fin dall’infanzia, ma soprattutto che lo yoga è una disciplina che va controllata e certificata – non soltanto etichettata – evitando che finisca in mano a qualche lobby per mera pigrizia amministrativa. Per il momento sembra che abbiano semplicemente intuito che lo yoga è un po’ come la donna, un bacino politicamente utile a cui attingere, una terra su cui spostare le proprie battaglie più grandi.

Viva la spiritualità.

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