Come la Sicilia è diventata in silenzio la base da dove partono i bombardamenti dei droni Usa

Il governo tedesco dovrà intervenire a garanzia che gli Stati Uniti rispettino il diritto internazionale nell’utilizzo della base aerea di Ramstein. La storica decisione è stata presa lo scorso 19 marzo dal tribunale amministrativo superiore del Nordrhein-Westfalen (Renania settentrionale-Vestfalia), a Münster.

Il 29 agosto del 2012, tre civili yemeniti, membri della famiglia bin Ali Jaber, sono stati uccisi in un raid condotto da droni. Nell’ottobre 2014, sostenuti dal Centro europeo per i diritti costituzionali e i diritti umani (Ecchr), Faisal bin Ali Jaber e altri due membri della sua famiglia hanno intentato un’azione legale contro l’esecutivo tedesco, accusandolo di sostenere il programma statunitense di attacchi con i droni, e le violazioni dei diritti umani che ne deriverebbero, in nome della lotta al terrorismo. Anche se i tempi per ottenere giustizia potrebbero essere ancora lunghi, Faisal, Ahmed Saeed e Khaled Mohmed bin Ali Jaber hanno già raggiunto un traguardo fondamentale: per la prima volta, vittime di attacchi con droni sono state ascoltate da un tribunale in Germania, contribuendo così al dibattito politico sui limiti della guerra contro il terrorismo.

Faisal bin Ali Jaber

Non è sicuro che la sentenza dei giudici di Münster contribuirà a riportare l’attenzione pubblica del mondo sulla guerra asimmetrica fatta con i droni. Quello che è certo, negli Stati Uniti come in Europa, è che gli Uav sono sempre più spesso la soluzione individuata per far quadrare i bilanci dei ministeri della Difesa, con buona pace dei diritti umani. Infatti, mentre un aereo a pilotaggio remoto MQ-9 Reaper ha un costo unitario di 10,5 milioni di dollari, un singolo caccia Joint strike Fighter F35 vale 94,1 milioni di dollari statunitensi.

Con la sua azione legale la famiglia bin Ali Jaber ha chiesto che la Germania tenga fede alla responsabilità costituzionale di proteggere il diritto alla vita, garantito dall’articolo 2 della Legge Fondamentale per la Repubblica Federale di Germania, anche prevenendo le violazioni del diritto internazionale sul territorio tedesco. Gli yemeniti contestano dunque alla Germania l’aver permesso agli Stati Uniti di utilizzare la base aerea di Ramstein come punto di appoggio per la sua guerra con i droni. Il tribunale amministrativo di Colonia aveva respinto la denuncia contro il ministero della Difesa tedesco – che ha sede a Bonn – già nel maggio del 2015, al fine di garantire ampia discrezionalità all’esecutivo tedesco negli affari di politica estera. La famiglia bin Ali Jaber aveva quindi impugnato la decisione presso il tribunale amministrativo superiore della Renania settentrionale-Vestfalia, a Münster. L’appello si basa sull’assunto che la discrezionalità del governo tedesco in politica estera sia costituzionalmente limitata dall’illegittimità degli attacchi dei droni statunitensi. In base alle prove portate dall’Ecchr,  gli attacchi statunitensi non sarebbero “chirurgici”, ma spesso provocherebbero la morte di civili innocenti, anche al di fuori delle zone teatro di conflitto. Soprattutto, non sarebbero possibili senza Ramstein, ad oggi la più grande base al mondo (seguita da Sigonella) attiva con i droni nella guerra al terrorismo. 

Un drone MQ-9 Reaper

La Germania fornisce assistenza agli strike militari con droni statunitensi fornendo informazioni di intelligence e concedendo l’utilizzo di diverse basi militari e aeree sul suolo tedesco. In particolare, la base di Ramstein, nel Rheinland-Pfalz (Renania-Palatinato), gioca un ruolo determinante nel trasferimento di tutti i dati necessari per controllare i droni. I cavi in fibra ottica trasmettono i dati dagli Stati Uniti, dove si trovano i piloti, a Ramstein per poi raggiungere via satellite i droni già nell’area operativa. Allo stesso modo, attraverso l’hub di Rammstein, i dati raccolti dai droni, incluse le fotografie di sorveglianza in tempo reale, vengono indirizzati ai team operativi statunitensi. La curvatura della Terra, infatti, non rende possibile stabilire una connessione diretta tra gli Stati Uniti e i droni che volano in Yemen e nei Paesi limitrofi.

Nel corso degli anni Berlino è stata rassicurata più volte da Washington sul fatto che tutte le attività militari in corso a Ramstein “sono eseguite in conformità alla legge tedesca”. Ma la base aerea è di fatto il più grande hub per il programma mondiale di attacchi con i droni al di fuori degli Stati Uniti. Per ora. 

Stando ai dati forniti dal Pentagono, gli Stati Uniti dispongono ufficialmente di 686 basi in 74 diverse nazioni del globo. In Italia, tra basi e installazioni militari, le Forze armate statunitensi hanno in bilancio 113 siti. Nel febbraio del 2016 il Wall Street Journal ha reso noto che il governo italiano aveva autorizzato l’utilizzo di droni armati a Sigonella, in Sicilia, dove ha sede la Naval Air Station americana. Dopo Ramstein, la base in provincia di Catania è la seconda per importanza nella lotta a colpi di droni portata avanti dagli Stati Uniti contro il terrorismo. Secondo un’inchiesta di  The Intercept e La Repubblica, dal 2011 gli Stati Uniti hanno condotto più di 550 attacchi con droni in Libia, di cui la maggior parte dalla base di Sigonella. Questo numero supera il numero degli attacchi aerei condotti dal 2001 nei confronti di Somalia, Yemen o Pakistan. L’Ecchr ha inoltrato al ministero della Difesa italiano un’istanza di accesso agli atti, in base alla normativa del 2015 sulla trasparenza della pubblica amministrazione Foia (acronimo di Freedom of Information Act) per richiedere informazioni sulla presenza e regolamentazione dei droni armati in Sicilia. La richiesta, come ha sottolineato Chantal Meloni, – professoressa di diritto penale internazionale e consulente dell’Ecchr – è stata rigettata perché ritenuta “informazione coperta da segreto di Stato”

Donald Trump visita la Naval Air Station americana di Sigonella, Sicilia

Nel frattempo, il Muos è stato terminato in Italia a fine gennaio 2014, nella riserva naturale della Sughereta di Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Il Muos (Mobile User Objective System) è un sistema di comunicazioni satellitari militari ad alta frequenza e a banda stretta gestito dal dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Composto di quattro satelliti (più uno di riserva) e di quattro stazioni a terra in Australia, Virginia, isole Hawaii e Sicilia smista le comunicazioni militari destinate a forze navali, aeree e terrestri statunitensi in qualsiasi parte del mondo. Questo sistema permette di tenere in collegamento i centri di comando e controllo delle Forze armate degli Stati Uniti, i centri logistici e gli oltre 18mila terminali militari radio dislocati nel mondo, i gruppi operativi in combattimento, i missili cruise e i droni senza pilota (o Uav, acronimo di unmanned aerial vehicle). La Sicilia diventerà in breve il nuovo hub del controllo satellitare di mezzo mondo. Una miniera di dati attraversa già le sponde della Sicilia che sono diventate tessuto connettivo e fibra vitale di tutte le forze militari statunitensi dislocate nel pianeta. La Sicilia è destinata a diventare nel corso dei prossimi anni una regione di cruciale rilevanza geopolitica, non solo per l’area mediterranea, ma per i futuri conflitti in tutto il pianeta, data la sua collocazione geografica, che la vede ponte per l’Africa, per il Medio e anche per l’Estremo Oriente.

Segui Margherita su The Vision