L’errore umano è lo sfruttamento dei camionisti

Autostrada A14 tra Bologna e Borgo Panigale: sono le 14 di un assolato lunedì 6 agosto, le macchine scorrono lente e gli automobilisti sono rassegnati alle file. Un’autocisterna si dirige a velocità sostenuta verso il traffico congestionato, non accenna a fermarsi, fino a schiantarsi contro un camion in coda. Un boato riempie l’aria, risuonerà per tutta Bologna. Le fiamme sono alte e la colonna di fumo emana un odore acre, qualcuno filma la scena, si mormora la parola attentato. Poco dopo una seconda esplosione, più forte: le fiamme avvolgono l’asfalto, il tratto di strada crolla. In prossimità dell’incidente c’è un concessionario, l’incendio si estende alle auto parcheggiate, che esplodono una dopo l’altra. Sembra una scena del film Duel, ma qui non servono effetti speciali. La conta del terribile incidente è di un morto – il conducente dell’autocisterna che trasportava Gpl – e 145 feriti, un autoconcessionario distrutto, decine di vetrine frantumate dall’onda d’urto dell’esplosione e molta paura. Si stima un danno per dieci milioni di euro e cinque mesi di lavoro per riaprire quel tratto di autostrada.

L’autista deceduto nell’impatto si chiama Andrea Anzolin, quarantaduenne vicentino. Non è ancora chiara la dinamica che lo ha portato verso questa tragica fine, ma la Procura di Bologna ha aperto un’inchiesta per disastro colposo. Inizialmente gli inquirenti sospettavano un colpo di sonno, ma i colleghi del camionista assicurano che non fosse stanco, visti i due giorni di riposo che aveva avuto prima di quel lunedì. Si parla allora di distrazione, forse con il telefonino. Certo è che quella che stava affrontando Anzolin era una giornata impegnativa: al momento dell’impatto il camionista aveva alle spalle già dieci ore di lavoro. Era partito prima dell’alba dal deposito di Alonte, un paesino in provincia di Vicenza, arrivando a Livorno intorno alle otto per caricare 23mila chili di Gpl. Da lì sarebbe dovuto tornare in Veneto. Un viaggio che si è interrotto a metà strada.

Il presidente Conte si è recato all’ospedale di Cesena in visita agli ustionati – di cui quattro sono in condizioni gravi. Un’apparizione lampo, istituzionale, in cui non si è fatto cenno ai rischi che il trasporto su gomma può comportare. Lo stesso sindaco di Bologna, Virginio Merola, si è limitato a esaltare la prontezza dei soccorritori nel limitare i danni, e la capacità della sua città di reagire, ma non ha detto nulla sul contesto in cui è avvenuto l’incidente. Solo il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli si è spinto in una riflessione, affermando che “è necessario alleggerire il traffico merci su gomma e renderlo così più fluido, garantendo al tempo stesso condizioni di lavoro più umane agli autisti dei mezzi pesanti,” e auspicando che il trasporto sulle strade possa fornire standard di sicurezza massimi, “per ridurre al minimo le possibilità dell’errore umano.”

Giuseppe Conte in visita all’ospedale di Cesena

La verità è che, qualsiasi siano le cause del disastro bolognese, i turni di lavoro dei camionisti sono massacranti. La legislazione in merito si muove in senso contrario a quanto affermano le fonti istituzionali. A giugno 2018 la Commissione europea ha dato il via libera alla normativa per la modifica dei tempi di percorrenza del trasporto stradale. L’effetto della riforma, secondo quanto denunciano i sindacati, è un aumento del carico di lavoro dei camionisti: con le norme vigenti i  conducenti di automezzi pesanti devono effettuare 45 ore di riposo ogni due settimane di lavoro, mentre la riforma dei tempi di percorrenza raddoppierebbe questo termine, portandolo a un mese. La novella legislativa, che renderebbe più pericoloso un lavoro in cui i conducenti siedono fino a 18 ore consecutive al volante, è stata discussa a luglio dal Parlamento europeo e non è passata, ma la commissione competente sta ancora apportando modifiche al testo. Per Maurizio Diamante – sindacalista Cisl – il problema è il “dumping sociale”, ovvero la concorrenza sleale tra aziende europee. Sono a favore della liberalizzazione le imprese dell’Est, e se la legge passasse anche quelle italiane dovrebbero adeguarsi per mantenere un buon livello di competitività. Le possibili conseguenze di una diminuzione della sicurezza le abbiamo avute sotto gli occhi solo qualche giorno fa. Nel 2017, inoltre, è aumentato il volume dei trasporti di materiale infiammabile: 3 milioni e mezzo di viaggi, solo per i tir registrati in Italia, senza contare i veicoli stranieri.

L’Autostrada del Brennero

Ma c’è anche chi viola le normative vigenti, costringendo i propri dipendenti a imbrogliare sui chilometri percorsi o sul turno di lavoro. L’ultimo caso è stato scoperto l’anno scorso: il titolare di un’azienda dell’hinterland milanese obbligava i camionisti a bloccare i cronotachigrafi digitali con appositi magneti, in modo che potessero accumulare anche venti ore di lavoro per turno. Gli stessi autisti che hanno denunciato il caso si sono definiti, senza mezzi termini, “bombe vaganti”.  Un altro caso del genere, venuto alla luce lo scorso marzo, ha coinvolto tre aziende del piacentino: si anche qui, si imponeva ai dipendenti l’uso del magnete – e, conseguentemente, non venivano pagati gli straordinari. I camionisti sono tenuti a fare 45 minuti di riposo ogni 9 ore di lavoro, ma i cronotachigrafi bloccati permettono di eludere gli eventuali controlli.

La tecnologia è l’unico mezzo per rendere le strade più sicure: le normative europee hanno reso obbligatori 15 nuovi sistemi di sicurezza fra cui telecamere che sorveglino la parte posteriore del camion, assistenza intelligente al controllo della velocità e dispositivi che prevengano la sonnolenza. Anche l’Italia ha provato ad apportare piccole modifiche alla sicurezza del trasporto pesante: dal 20 maggio sono entrati in vigore controlli più stringenti sugli automezzi, come il corretto fissaggio del carico, un impianto di frenatura, un sistema elettrico che tiene in funzione i dispositivi di sicurezza e aiuti una corretta visibilità del conducente all’interno del veicolo. Le politiche di Europa e Italia nell’ambito del trasporto su gomma, però, si muovono in modo contraddittorio: da una parte aumentano i parametri di sicurezza, dall’altra – per tenere fede al dogma della competitività – permettono alle aziende di aumentare i tempi di percorrenza e dilazionare i periodi di riposo. Il camion diventa più sicuro e l’autista sempre più stanco: ciò che si guadagna in sicurezza tecnologica lo si perde aumentando la possibilità di errore umano.

Come spesso accade in Italia, serve una tragedia per attirare l’attenzione su un problema e mobilitare le parti in causa. In questo caso la palla di fuoco che ha avvolto l’A14 è la punta di un iceberg che vede una categoria bistrattata come quella dei camionisti rischiare la vita ogni giorno, e rendersi pericolosi per chi viaggia con loro. Anche se le autorità italiane affermano che faranno qualcosa in merito, non è un problema che può essere risolto solo in ambito nazionale. Occorre un concertato europeo che imponga controlli più stringenti, un maggiore uso delle nuove tecnologie, e soprattutto una regolamentazione ferrea in materia di concorrenza sleale: modifiche che andrebbero apportate seguendo un orizzonte comune, perché solo operando in tal senso possono sortire effetti positivi. Il compito della politica non è quello di prevedere gli eventi fatali, ma di agire in modo che le possibilità che accadano siano ridotte in maniera sostanziale.

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