Ecco perché Salvini è il perfetto sciacallo politico

Se c’è una qualità che Salvini possiede senza ombra di dubbio, è il tempismo. Dove c’è un disastro, c’è un selfie. Dove c’è una tragedia, c’è un tweet. Qualcuno potrebbe quasi definire “sciacallaggio” questo affanno di trovare in tempo zero l’hashtag propagandistico più efficace per commentare qualsiasi avvenimento, politico e non. Anche se, a quanto pare, stando alle ultime dichiarazioni del vicepremier Di Maio, gli unici “sciacalli infami” del Paese sono i giornalisti.

Qualche settimana fa, l’Italia è stata devastata dal maltempo. Da Nord a Sud, il Paese si è dovuto inginocchiare alla forza della natura ed è stato travolto: case crollate, alberi caduti, frane. E soprattutto vittime. Salvini, ministro degli Interni – anche se in realtà sembra si occupi un po’ di tutto – non poteva lasciarsi scappare una simile possibilità. La catastrofe è per lui un richiamo troppo forte, l’opportunità per indossare una divisa (dei Carabinieri o della Forestale) o una felpa che riporta il nome del luogo martoriato, e mostrarsi fiero davanti alle telecamere e al popolo ferito. Avrebbe potuto prendersela con i condoni selvaggi e scriteriati, con l’abusivismo galoppante e con le speculazioni edilizie, ma non sarebbe stata una trovata politica abbastanza efficace. E così, se l’è presa con “gli ambientalisti da salotto”, quelli che: “Non ti fanno toccare l’albero nell’alveo ed ecco che l’alberello ti presenta il conto.”

Tutto questo pochi giorni dopo aver votato l’ennesimo condono edilizio (Ischia e altre sanatorie), mentre l’intero pianeta si trova ad affrontare la piaga dei cambiamenti climatici – che a lui non sembrano interessare molto, visto che la Lega ha votato nel 2016 contro gli accordi di Parigi. A Salvini sembra interessare di più controllare le paure del suo popolo e trasformarle in voti. Ernst Jünger, nel suo saggio del 1951 Trattato del ribelle, scriveva che “Il semplice consenso non basta alle dittature: per vivere esse hanno bisogno altresì di incutere odio e, per conseguenza, di seminare il terrore.” Noi non siamo in una dittatura, non ancora, e Salvini non è un dittatore; eppure la propaganda dell’odio è il motore che alimenta questa stagione politica.

Quando Desirée Mariottini è stata barbaramente uccisa, Salvini si è presentato a San Lorenzo. Ha portato con sé una rosa da deporre nel luogo in cui la ragazza è morta. Telecamere al seguito, scorta e volto contrito, Salvini si è beccato, tra qualche timido applauso, una bella razione di insulti. L’epiteto che la maggior parte degli abitanti di San Lorenzo gli ha affibbiato, urlandoglielo in faccia, è stato “sciacallo”. Lui è rimasto imperturbabile: utilizzando come al solito il luogo della tragedia come una passerella elettorale, ha prima indossato i panni del salvatore della patria – “Vedrò di fare in un anno quello che gli altri non hanno fatto in venti” – per poi lanciarsi nell’ennesimo attacco politico contro “I centri sociali tristi che preferiscono gli spacciatori ai poliziotti.” È il suo modus vivendi, il tratto caratteristico di una politica che non mira alla costruzione o alla ricostruzione, ma all’avvelenamento.

Le speculazioni di Salvini sulle tragedie non si limitano alla sua esperienza nel governo giallo-verde. D’altronde, non sarebbe arrivato dove è adesso senza questa macabra propaganda. Il perno su cui si è retta – e continua a reggersi – la sua strategia, è la creazione di un nemico. Per modellarlo e renderlo “visibile” agli elettori, generando in loro un perenne istinto di difesa e un desiderio di protezione, è stato necessario cavalcare le catastrofi. Quando nell’aprile del 2015 un barcone di immigrati è affondato nel Canale di Sicilia, causando più di 800 morti in una delle più terribili stragi del Mediterraneo, Salvini si è affidato ai social per lanciare le sue invettive: “Altri morti sulle coscienze sporche di Renzi, Alfano e dei falsi buonisti. Blocco navale internazionale subito, davanti alle coste libiche!” Di fronte al cimitero del Mediterraneo, Salvini ha preferito impugnare il dramma come una qualsiasi altra arma per la sua campagna elettorale perpetua. E ha funzionato. Quando è iniziata la stagione degli attentati terroristici in Europa, ha continuato a raccattare voti. Nemmeno la strage del Bataclan ha portato Salvini nella direzione di un rispettoso silenzio e cordoglio. Ha scritto infatti: “Holland parla di chiudere le frontiere. E Renzi? Dorme.”Attraverso l’uso spregiudicato della propria visibilità politica e la cassa di risonanza dei social media, si è autoeletto difensore del popolo.

Salvini era a Bruxelles durante le esplosioni del 2016, una delle rare volte in cui ha messo piede all’Europarlamento. Le foto in cui viene ritratto a pochi passi dalle zone rosse degli attentati sono diventate virali: il classico sguardo “F4” degli sceneggiatori di Boris, un militare alle sue spalle parla al cellulare come se da quella telefonata dipendessero le sorti del mondo. Poi ha lanciato, sempre via social, le sue campagne: “È ora di reagire, ripuliamo le città” – da chi non è dato sapere, anche se risultava facilmente intuibile, visto che è sempre lo stesso, lo straniero. Ha poi chiosato dicendo: “Io sciacallo? Meglio che imbecille.”

Una cosa bisogna ammetterla: Salvini ha un talento fenomenale nel coinvolgere i migranti anche in quei discorsi in cui non c’entrano nulla. Serve ingegno per chiamare in causa certe dinamiche anche quando si parla del terremoto del Centro Italia o della mancata qualificazione della Nazionale di calcio ai mondiali. Eppure lui c’è riuscito. Nel primo caso, ha scritto: “Continue scosse di terremoto in Centro Italia, neve e gelo. Altro che “migranti”, che il governo aiuti subito questi italiani!” Nel secondo, ancora più complesso, se n’è uscito così: “Troppi stranieri in campo, dalle giovanili alla Serie A, e questo è il risultato. #STOPINVASIONE e più spazio ai ragazzi italiani, anche sui campi di calcio.”

La sua fortuna è stata la capacità di trasformare un’ossessione – perché non ci sono altri termini per definirla – in un’arma vincente. È tutta una questione di convenienza elettorale. Un comportamento insito nella sua natura e impossibile da estirpare, perché comporterebbe la morte politica del personaggio in questione. Prima o poi imploderà, ma finché questa strategia gli procurerà consensi, come i sondaggi dimostrano, continuerà ad attuarla. Tragedia dopo tragedia.

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