Perché non c’è nulla di “cristiano” nella politica di Matteo Salvini

Piazza Duomo, Milano. La folla brandisce gli ombrelli e grida sostenendo il proprio capitano. Lui, Matteo Salvini, sorretto dall’intero apparato sovranista europeo (almeno a parole; nei fatti nessuno di loro si prende la briga di aiutarlo quando si parla di migranti o di debito), decide che è giunto il momento del coup de théâtre. Prende un rosario, lo bacia e comunica alla piazza: “Ci affidiamo ai sei patroni di questa Europa: a San Benedetto da Norcia, a Santa Brigida di Svezia, a Santa Caterina da Siena, ai Santi Cirillo e Metodio, a Santa Teresa Benedetta della Croce. Ci affidiamo a loro, affidiamo loro il destino, il futuro, la pace e la prosperità dei nostri popoli”. Poi inarca le sopracciglia, fa una breve pausa alla Celentano e cala l’asso: “Io personalmente affido l’Italia, la mia e la vostra vita al cuore immacolato di Maria, che son sicuro ci porterà alla vittoria”. 

Tripudio. La scena non avrebbe sfigurato se fosse stato un sermone di Papa Urbano II ai tempi delle crociate. Nel 2019, invece, sancisce due verità: l’ipocrisia di Salvini sulla religione e l’impresa ardua di aver reso il Vaticano, per la prima volta nella storia, l’istituzione che spinge il governo a essere più aperto mentalmente. Il mondo ribaltato.

Non è la prima volta che Salvini si appella ai simboli cattolici. Durante la precedente campagna elettorale ha giurato sul Vangelo, lo scorso Natale ha imbastito la sua personale battaglia a favore del presepe e più volte ha dichiarato di agire da “buon cristiano”. Il paradosso principale riguarda la discrepanza tra le sue parole e i fatti: mentre Salvini si traveste da pontefice, infatti, e ammalia i suoi fedeli, l’ennesima nave viene respinta e l’Onu condanna il suo decreto sicurezza per violazione dei diritti del rifugiato.

“L’Europa che nega le proprie radici, non ha futuro,” spiega Salvini. “Io sono credente, il mio dovere è salvare vite e svegliare coscienze. Il confronto con le altre culture è possibile solo riscoprendo la nostra storia e i nostri valori”. In queste righe c’è tutto il pensiero contraddittorio di Salvini. L’incipit sulle radici europee non è altro che un messaggio sul pericolo delle altre culture, quindi l’intento è quello di demonizzare l’Islam, lo straniero, il migrante, qualunque individuo dipinto come “diverso da noi”. Quando poi parla di “salvare le vite”, si contorce su se stesso. Dichiara che nel 2019 ci sono stati soltanto due morti in mare, venendo smentito dall’Unhcr, che parla di 402 vittime nel Mediterraneo, un numero comunque non preciso essendoci molti meno controlli. E di certo l’accoglienza cristiana è ben lontana dalla politica delle navi respinte, degli esseri umani tenuti prigionieri su un’imbarcazione in mare aperto e poi trattati come oggetti per alimentare un odio buono per la propria campagna elettorale.

E infatti, quando dal palco di Milano Salvini nomina Papa Francesco, dalla piazza parte un brusio che si trasforma in fischi, come per un avversario calcistico in uno stadio. È da anni che il leader leghista lancia stilettate al Pontefice, reo di cercare quelle aperture che cozzano apertamente con la politica delle chiusure tanto cara a Salvini e ai sovranisti mondiali. Quando il vicepremier dichiara che “Chiedendo di dialogare con l’Islam, il Papa non fa un buon servizio ai cattolici,” riassume alla perfezione il suo modus operandi: mettere il becco sulle questioni non di sua competenza. D’altronde è su questo che ha basato la sua avventura politica: è il ministro dell’Interno che si crede factotum e agisce come un presidente del Consiglio o addirittura della Repubblica, il socio di minoranza del governo che con il 17% dei consensi detta legge e sottomette la compagine grillina, il tuttologo che detta la linea sui vaccini, sulla cannabis legale, sulla magistratura, sulla famiglia, sulla castrazione chimica, su ogni argomento. Indossando le divise da poliziotto, da pompiere o da guardia forestale, è come se portando quegli abiti ne assorbisse anche il ruolo. E così fa in ogni campo, attraverso un trasformismo che sembra mirare al potere assoluto. L’ultimo travestimento è quello di nuovo Pontefice, perché Salvini non pretende soltanto di rappresentare tutti, ma di essere tutti. Come Mussolini contadino o Berlusconi operaio, non si attiene al suo ruolo: sembra mirare a un esercizio egemonico del potere, ispirato al tiranno che fagocita il popolo e lo rigetta, dandogli le sue sembianze. È questa, per ora, la sua vittoria: aver trasformato gli italiani in tanti piccoli Matteo Salvini.

Il popolo di Salvini è quello che a Natale fa il presepe ma poi rifiuta l’accoglienza e tiene alla larga i migranti, verso i quali non sembra provare alcuna solidarità. Peccato che il presepe sia la rappresentazione di tutto quello che Salvini sta combattendo. Come ha detto Papa Francesco: “Sulla via dolorosa dell’esilio, in cerca di rifugio in Egitto, Giuseppe, Maria e Gesù sperimentano la condizione drammatica dei profughi, segnata da paura, incertezza, disagi”. Hanno trovato rifugio in una stalla, e il Papa ha sottolineato il parallelismo durante l’omelia natalizia: “Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza”. È inevitabile dunque che il vicepremier si schieri contro un Papa che ha sempre predicato l’accoglienza dei migranti, inserendolo nella sua cospicua lista di nemici. 

Salvini è il paradigma del cattolico a intermittenza. In prima fila quando porta avanti le battaglie sulla famiglia tradizionale, come al Congresso di Verona, si defila quando gli appelli del Papa riguardano tematiche a lui sgradite. Da un lato dimentica la laicità dello Stato, mischiando la politica con la religione durante i suoi comizi, dall’altro non rispetta quei valori cristiani che lui stesso tenta goffamente di difendere. È quantomeno cacofonico sentirlo difendere a spada tratta la famiglia tradizionale, l’unica possibile, da chi è divorziato e ha figli da compagne diverse, da chi insomma ha creato più famiglie. Il bacio del rosario è una stonatura quando viene sbattuta gente in mezzo alla strada e si contrastano quei preti che lavorano per l’integrazione aiutando gli ultimi. Don Luca Favarin, che a Padova gestisce diverse comunità per l’accoglienza, ha parlato di “schizofrenia pura”, spiegando che non ha senso “accogliere Dio solo quando non puzza, non parla, non disturba. Lo straniero che incontro per strada, invece, non lo guardo e non lo voglio. Ci sono migliaia di Gesù-bambino in giro per le strade, sotto i ponti”.

La politica di Salvini si riallaccia a quella degli altri sovranisti europei. Orbán in Ungheria segue la narrazione della difesa dall’Islam per difendere i valori cristiani, e per farlo costruisce barriere di filo spinato. In Polonia Kaczyński ha radunato al confine un milione di cristiani con il rosario in mano per “salvare la patria dall’islamizzazione”. In Italia i fascisti di Forza Nuova sfilano con striscioni con scritte come “Bergoglio come Badoglio”, descrivendolo come un traditore della patria. Avere al potere forze così retrograde riesce nell’inedita impresa di attribuire al Vaticano idee aperte, quando in realtà sono semplicemente i dettami della carità cristiana. Quella che Salvini non possiede.

Viktor Orbán
Jarosław Kaczyński

Quando il cardinale Konrad Krajewski ha riattivato l’energia elettrica in uno stabile occupato a Roma, compiendo un gesto di disobbedienza e oltrepassando la legge, l’ha fatto perché, parole sue, serviva “un gesto disperato e umanitario per aiutare famiglie che faticano a sopravvivere”. Un gesto che ha adirato Salvini, subito pronto a minacciare conseguenze per il gesto di Krajewski, avvenuto pochi giorni prima della pseudo-litania in piazza Duomo a Milano. Come se il leader leghista fosse nella costante spirale del colpo al cerchio e alla botte: un giorno è a Verona tra un nugolo di preti, quello dopo attacca il Papa; critica Don Ciotti e i centri d’accoglienza, per poi invocare l’aiuto della Madonna per la vittoria. Vittoria di non si sa cosa; probabilmente delle Europee, e risulta comica la richiesta d’intercessione divina per far vincere la Lega alle urne. 

Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha criticato Salvini dicendo che “Invocare Dio per se stessi è sempre molto pericoloso”. Il problema sorge quando Salvini raggiunge lo stadio successivo: smettere di invocare di Dio, per sentirsi l’Onnipotente. Ovvero il suo ultimo travestimento, l’abito finale da indossare per essere uno e trino, il dio di se stesso. È il tratto distintivo della sua ipocrisia, fa parte del personaggio e della persona e, a quanto pare, sta funzionando. Perché gli italiani hanno il vizio di cercare un politico che sia un duce, un giustiziere, un sergente e un dio. E Salvini sta provando a rappresentarli tutti.

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