Ronaldo, il populismo e la morte dei sindacati

“Ci sono cose più importanti di calciatori e cantanti.” È una frase che sento spesso quando, di domenica, vado a soffrire a San Siro. Chi potrebbe smentire un’affermazione del genere? Ci sono tante cose più rilevanti del pallone: la dignità delle persone è una di queste, il diritto al lavoro un’altra. Ci sono dei momenti però, in cui anche lo sport si fa politica ed entra nel dibattito pubblico. Questo, nel nostro Paese, è vero soprattutto per il calcio, lo sport di gran lunga più seguito e attorno al quale girano più interessi – e denaro. È proprio questo aspetto a essere messo in discussione, specialmente in un momento di crisi in cui è messo ancor più in evidenza il divario di benessere delle varie classi sociali.

Cristiano Ronaldo è diventato, ahimè, un giocatore della Juventus. Nelle 9 stagioni trascorse al Real Madrid, il “fenomeno” originario di Madeira ha collezionato 438 presenze, condite da 450 gol; è stato protagonista assoluto della vittoria di 2 campionati spagnoli, 2 coppe di Spagna, 2 supercoppe di Lega e 4 Uefa Champions League. Il tutto, sublimato da 5 palloni d’oro. Le ultime stagioni sono state letteralmente dominate dal talento portoghese, che ha trascinato la sua nazionale a una storica vittoria al campionato europeo di due anni fa, mentre in Russia, ai mondiali, si è dovuta fermare davanti all’Uruguay di Suarez e Cavani. Se sia o no il calciatore più forte di tutti i tempi, lo faremo decidere ai posteri.

L’arrivo di Ronaldo alla Juventus ha scatenato una miriade di reazioni entusiaste da parte dei tifosi bianconeri, che hanno sortito l’effetto di rendere i social network un posto invivibile per tutti i non-juventini, almeno per mezza giornata. Non tutti, però, hanno reagito bene. Gli operai degli stabilimenti Fiat (oggi Fca) di Pomigliano d’Arco e di Melfi, ad esempio, non hanno atteso molto prima di gridare tutta la loro indignazione.

Nella città di Luigi Di Maio sono stati appesi manifesti poco edificanti che mettevano in contrasto le cifre esorbitanti dell’operazione che ha portato Ronaldo alla Juventus, con le difficoltà che stanno attraversando in questo periodo i dipendenti – e gli ex – dello stabilimento di Pomigliano. A Melfi, l’Unione sindacale di base ha annunciato uno sciopero contro l’azienda che continua “a chiedere da anni enormi sacrifici a livello economico” ai suoi lavoratori, per poi spendere “centinaia di milioni di euro per l’acquisto di un calciatore.”

Alle vertenze sindacali si è aggiunta l’indignazione del Codancons, che ha definitivo il contratto di Ronaldo “immorale” e ha chiesto l’intervento della magistratura per verificare la sostenibilità dell’operazione.

La protesta si basa su un grosso equivoco di fondo: Juventus e Fca non sono la stessa cosa. È vero che la famiglia Agnelli controlla entrambe, ma si tratta di due società diverse, con due bilanci diversi, diverse linee di finanziamento e diverse prospettive di crescita. Gianluigi Buffon è stato acquistato dalla Juventus nel 2001, e fino all’anno scorso era il portiere più caro della storia. Il cartellino del portiere del Paris Saint-Germain era costato la bellezza di 105 miliardi di lire. Non ricordo scioperi e proteste sindacali in quell’occasione.

Cristiano Ronaldo è costato alla Juventus 112 milioni di euro, ai quali si devono aggiungere i 30 milioni netti che il giocatore riceverà annualmente per 4 anni. In termini di investimento complessivo si parla di circa 400 milioni di euro: sono cifre delle quali è difficile capacitarsi. L’errore da non commettere però, è quello di pensare che l’investimento sarà remunerato solamente attraverso le prestazioni sportive del calciatore – che comunque regala ai tifosi sempre un bello spettacolo, nonostante i suoi 33 anni.

Sarà retorica, ma la Juventus non ha comprato un calciatore, ha comprato un’impresa medio-grande. Cristiano, da solo, ha l’ottavo fatturato più alto della Serie A. E non sto parlando dei suoi colleghi, ma delle società della serie A. Economicamente, è più importante della Sampdoria o del Bologna nel loro complesso. Credere che l’investimento sia negativo, per la Juventus in prima battuta e per gli Agnelli di conseguenza, è un inno al pessimismo. Nel mio caso, una flebile speranza di vedere l’avversario di sempre sbagliare una mossa, cosa che purtroppo non capita da tempo, e temo non accadrà neanche questa volta.

La reazione dei sindacati riflette un evidente disagio sociale, che porta ad anteporre al pensiero razionale, in maniera sempre più diffusa, istinti e paure. Polemiche simili sono recentemente sorte in riferimento all’amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne, e al conduttore di Che tempo che fa, Fabio Fazio, aggrediti per i loro stipendi, ritenuti eccessivi.

Sergio Marchionne
Fabio Fazio

Si potrebbe obiettare che si attacca una persona per smontare il sistema. In realtà si critica il compenso di un professionista senza prenderne in considerazione il mercato di riferimento e le capacità professionali. Non è necessario provare particolare simpatia personale per Marchionne o Fazio per riconoscere che si tratta di professionalità che godono di un’elevata reputazione nel loro ambiente, e che operano in settori altamente remunerativi. Non esiste un nesso causale tra lo stipendio di un calciatore e quello di un operaio, nemmeno quando la famiglia proprietaria delle due aziende è la stessa. Lo stipendio dei dipendenti della Fca è basso per questioni che esulano completamente dalle dinamiche calcistiche. D’altra parte, il fatto che il Bayern Monaco strapaghi giocatori come Lewandowski o Vidal non impedisce agli operai tedeschi di guadagnare molto di più della manodopera italiana.

A mascherarsi dietro l’antica narrazione dello scontro tra il popolo e le élite è in realtà l’incarnazione dell’incapacità dei sindacati di indirizzare i loro rappresentati verso vertenze che possano portar loro un reale benessere, accontentandosi piuttosto di aizzare le classi operaie verso il capro espiatorio di turno.

E così, l’arrivo in Italia del calciatore più forte del mondo diventa l’occasione per rivendicare istanze che non hanno niente a che fare con il calcio. Lo sport, da sempre elemento di coesione sociale, è diventato anch’esso un mezzo per colpevolizzare la ricchezza in quanto tale, e tornare indietro di settant’anni almeno. In una società in cui sono venuti meno i principi fondamentali della democrazia liberale, in cui tutti i cittadini hanno pari possibilità di esercitare i loro diritti individuali e collettivi nel rispetto della legge, le classi più deboli sono spinte a provare ribrezzo verso il sistema stesso. Prevalgono così dei principi di morale populista, che conciliano a fatica la miriade di interessi particolari da cui sono composti.

L’acquisto di Cristiano Ronaldo non avrà alcun effetto immediato sulle prospettive dei dipendenti di Pomigliano d’Arco o di Melfi. Al più, si può immaginare che un investimento di tali dimensioni porterà i bianconeri alla definitiva consacrazione a club tra i più importanti al mondo, con evidenti ricadute positive in termini di bilancio. E con una Juve nel Gotha del calcio mondiale, chissà che non arrivino anche gli aumenti tanto attesi dai dipendenti della Fca. Probabilmente Ronaldo sarà il volto dell’azienda di auto per i prossimi anni. Armani, Nike e Samsung, per citarne alcune, si sono già avvalse dell’immagine del campione portoghese. Non sono un esperto di marketing, ma immagino che investire in un personaggio con 135 milioni di follower su Instagram – tra i più seguiti al mondo, secondo solo a Selena Gomez – non sia una cattiva idea e che qualche nuovo cliente potrebbe riuscire a portarlo.

La Juventus e la famiglia Agnelli hanno fatto un grande investimento per il futuro, con un profilo di rischio relativamente basso. La crescita economica dei propri azionisti dovrebbe suscitare nei dipendenti un nuovo entusiasmo, mentre siamo costretti ad assistere a rivendicazioni inconsistenti che sanno tanto di invidia sociale – se l’invidia sociale viene da un ricco è inaccettabile, ma non si trasforma comunque in sentimento nobile se proviene dalle persone in difficoltà.

Alle Olimpiadi di Berlino del 1936, in pieno regime nazista, Hitler fu costretto a salutare il vincitore afroamericano Jesse Owens, che dominò quell’edizione dei giochi. Lo sport serve a questo, serve a fare incontrare culture altrimenti inconciliabili. Il dialogo tra mondi diversi, all’apparenza incompatibili, è molto più importante del compenso pagato a un atleta. Gli eroi non hanno un prezzo, gli eroi hanno un valore. O, detto in altri termini, toglietemi il lavoro ma non toglietemi il triplete.

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