Le disuguaglianze non finiranno mai se non eliminiamo evasione e paradisi fiscali - THE VISION

Lo scorso luglio a Venezia si è tenuto il G20, il summit che coinvolge i rappresentanti delle 20 economie più industrializzate del Pianeta, per discutere di vari dossier, dalla questione ambientale al rischio di nuove pandemie fino al nodo della tassazione dei grandi gruppi multinazionali. L’incontro ha messo al centro del dibattito i temi economici ed è stata una vetrina importante per l’Italia, che ha la Presidenza di turno dell’organizzazione. I governatori delle banche centrali e i ministri delle Finanze dei Paesi responsabili del 75% delle emissioni globali sono stati accolti anche dagli attivisti di Extinction Rebellion che hanno animato le strade di Venezia con tre giornate di protesta non violenta, con atti di disobbedienza civile e azioni dimostrative. La protesta puntava il dito contro l’ipocrisia di chi afferma di occuparsi di temi ambientali e sociali continuando però a finanziare le imprese che operano in settori come i combustibili fossili o il commercio di armi.

La questione della sostenibilità ambientale è un nodo centrale per il futuro del nostro Pianeta. Il rispetto delle risorse naturali di cui disponiamo però non basta a garantire un’esistenza dignitosa alle prossime generazioni. Tra gli obiettivi più importanti che dobbiamo raggiungere c’è quindi un cambiamento radicale nella gestione delle grandi aziende multinazionali. Il tema della governance dei gruppi societari e delle imprese quotate nei mercati regolamentati deve essere affrontato con la stessa urgenza con cui chiediamo di affrontare la crisi climatica. Una gestione più responsabile delle imprese è possibile soltanto con un quadro di regole uniforme a livello internazionale. Fenomeni come il dumping fiscale – la competizione fiscale al ribasso tra imprese – danneggiano le persone colpite dalle decisioni di manager che si sentono al di sopra dei governi. Le delocalizzazioni  – ossia la scelta di spostare la produzione industriale in Paesi che abbiano un minor costo del lavoro o politiche più permissive verso le imprese – che, anche di recente, sono state proposte in Italia sono l’esempio concreto dei danni provocati dall’avidità dei grandi gruppi multinazionali. Il G20 di Venezia, seguendo le indicazioni e gli input provenienti da diversi enti e istituzioni, tra cui l’Ocse e l’Unione europea, ha siglato un accordo storico per porre un argine alle condotte irresponsabili delle multinazionali attraverso l’introduzione di una global tax internazionale.

Il “Patto di Venezia” è stato sottoscritto dai Paesi che rappresentano il 90% del prodotto interno lordo del G20 e ha recepito la proposta dell’Ocse che mira ad applicare un’aliquota minima del 15% a livello globale per tutte le grandi imprese che operano in diverse giurisdizioni. La proposta richiede alle multinazionali di pagare un’aliquota minima in ogni Paese in cui generano ricavi, indipendentemente dalla sede legale, troppo spesso stabilita in Stati che adottano un regime fiscale di favore per attirare capitali stranieri e investimenti. L’introduzione della global tax è soltanto uno dei due pilastri economici dell’accordo. L’intesa, infatti, prevede anche l’impegno a redistribuire il gettito fiscale delle multinazionali con un fatturato superiore a 20 miliardi di dollari annui sulla base della redditività effettiva che queste imprese hanno nei singoli Paesi dove operano. Attraverso questo meccanismo l’Ocse stima di ottenere una redistribuzione globale del gettito fiscale intorno ai 100 miliardi di euro l’anno.

La strada, però, non è affatto in discesa. Paesi come la Francia e la Germania vorrebbero innalzare la percentuale del 15% prevista come aliquota minima di tassazione. Inoltre non è ancora chiaro come saranno calcolati o distribuiti i ricavi e gli utili generati in ogni Paese. Restano poi da convincere gli Stati più riluttanti all’adozione della tassa globale, ossia i Paesi dove si applicano aliquote molto basse sulle imprese come l’Estonia, l’Irlanda e l’Ungheria. Il comunicato pubblicato al termine dei lavori del G20 invita l’Ocse a dialogare con i diversi Stati membri per appianare le divergenze esistenti in vista del prossimo incontro in programma a Roma per la fine di ottobre. L’obiettivo è comunque quello di raggiungere un accordo definitivo entro la fine dell’anno per adeguare i sistemi legislativi dei vari Paesi entro il 2023.

Oltre all’impegno degli organismi pubblici, le banche e le società di investimento dovrebbero supportare le iniziative per garantire una maggiore equità fiscale. Un fisco più trasparente e responsabile, infatti, conviene a tutti, investitori compresi. Una tassazione più giusta assicura maggiori entrate per lo Stato e una maggiore offerta di servizi a favore dei cittadini e delle imprese private. Secondo una ricerca guidata dall’economista premio Nobel Michael Spence, investire in infrastrutture, garantire lo stato di diritto e assicurare la possibilità di fruire dei servizi pubblici di base assicurano a ogni Paese delle performance economiche migliori rispetto a Stati meno attenti alle esigenze dei cittadini. Per raggiungere questi obiettivi i governi hanno bisogno di entrate fiscali coerenti con la quantità di ricavi generati nel proprio territorio. Per questo gli operatori dei mercati finanziari non possono più ignorare i benefici a lungo termine di un fisco più giusto, rafforzando le azioni messe in campo dagli organismi internazionali.

Michael Spence

La finanza etica conduce da tempo una battaglia a fianco di organizzazioni internazionali come l’Ocse per la pubblicazione su scala globale dei cosiddetti report country-by-country da parte delle grandi multinazionali che operano in diversi Stati. Si tratta di documenti attraverso cui le imprese sono obbligate a pubblicare i dati relativi ai ricavi e agli utili generati in ogni Paese in cui operano. Questa non è l’unica richiesta che proviene dagli operatori finanziari attenti al tema della governance delle imprese. Etica Sgr, per esempio, è tra i firmatari di una lettera che chiede al Congresso degli Stati Uniti la pubblicazione di una legge, il Disclosure of Tax Havens and Offshoring Act, in grado di stabilire parametri chiari per garantire maggiore trasparenza e informazioni sulle risorse trasferite nei cosiddetti paradisi fiscali attraverso le società offshore. Anche in questo caso la legge ha l’obiettivo di fissare una rendicontazione da applicare a tutte le società quotate a Wall Street. La trasparenza fiscale di grandi aziende che operano su più mercati, infatti, agevola gli investitori e gli operatori di mercato nel processo di valutazione dell’impresa e nella valutazione legata ai rischi connaturati a un possibile investimento in realtà più o meno responsabili da un punto di vista fiscale.

Panama City, Panama

Molte imprese stanno mostrando un’attenzione crescente verso un sistema di tassazione più giusto. Secondo una ricerca effettuata nel giugno 2018 da Engagement International in 13 città della Danimarca, le aziende ritengono che l’elusione fiscale non sia soltanto un rischio da un punto di vista legale, ma che rappresenti una questione con un impatto profondo sulla reputazione delle imprese, con conseguenze importanti sull’ambiente, sui lavoratori e sul loro indotto. In questo contesto, le banche e le società di investimento hanno una grande occasione per confrontarsi con i consigli di amministrazione delle società per promuovere l’adozione di strategie fiscali attente e responsabili. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale stabilire un dialogo con i manager delle grandi società, per assicurare una gestione prudente e sostenibile nel lungo periodo. In quest’ottica giocano un ruolo fondamentale i gestori del risparmio che evitano di finanziare società registrate nei paradisi fiscali, offrendo possibilità di investimento meno esposte a rischi di natura reputazionale e finanziaria coniugando buoni rendimenti alla sostenibilità di lungo periodo.

Negli ultimi anni i Ceo delle società più influenti del mondo hanno dovuto affrontare una lunga serie di questioni con un ampio impatto sociale e reputazionale, come il numero di donne ai vertici delle aziende, la riduzione delle emissioni e di utilizzo della plastica, il lavoro da remoto dei propri dipendenti per un corretto bilanciamento tra vita privata e attività professionale. A questi si è unita la riforma dei sistemi fiscali su scala internazionale, non più rimandabile. La finanza etica può essere la chiave grazie alla quale le imprese riescono ad aprire la porta della sostenibilità fiscale in anticipo rispetto ai concorrenti sul mercato. Un’occasione per avere un vantaggio competitivo virtuoso che si fonda sul rispetto delle regole, ottenere migliori performance economiche e un maggior benessere diffuso. Un’opportunità che investitori e imprese non possono permettersi di farsi sfuggire. 


Questo articolo nasce in collaborazione con Gruppo Banca Etica, banca popolare costituita in forma di società cooperativa per azioni che opera in Italia e in Spagna, nel rispetto delle finalità di cooperazione e solidarietà. Impegnata su temi come cambiamento climatico, mobilità sostenibile, accoglienza, inclusione e molti altri, il Gruppo Banca Etica si impegna a misurare in modo accurato e credibile gli impatti delle attività finanziarie sull’ambiente, la società e la vita delle persone con metodologie proprietarie innovative, per permettere a tutte le persone e organizzazioni socie e clienti, e a chi desidera diventarlo, di scegliere consapevolmente gli intermediari finanziari cui affidare i propri risparmi e investimenti.

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