La Resistenza suscita da sempre una solidarietà transnazionale per chi combatte l’oppressore - THE VISION

Dall’inizio della guerra russa contro l’Ucraina, 20mila cittadini provenienti da 52 Stati diversi si sarebbero fatti avanti per arruolarsi nelle “brigate internazionali” che Kiev vuole costituire per affiancare il suo esercito contro quello russo; la cifra è riportata dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba e non riferisce quanti siano stati effettivamente ritenuti idonei, ma resta una cifra considerevole, se si pensa che le forze armate del Paese sono costituite da circa 245mila uomini, oltre a 220mila riservisti. 

Ucraina 2022

In realtà, in Ucraina sono presenti volontari internazionali, tra cui qualche centinaio di combattenti europei, già da prima dell’invasione russa iniziata a febbraio. Come riporta Linkiesta, però, le ultime vicende hanno cambiato l’approccio nei loro confronti: il sistema che è stato allestito più di recente in Ucraina è fondato su un arruolamento centralizzato che organizza l’insieme caotico degli anni scorsi. Il governo ucraino si è mostrato, infatti, disposto a rafforzare la propria Difesa in tutti i modi: secondo le agenzie, il Presidente Zelensky, per esempio, avrebbe firmato giovedì una nuova legge per consentire ai civili – ucraini e stranieri immigrati legalmente nel Paese – di usare armi, anche di loro proprietà, a sostegno dell’esercito, con la possibilità di ricevere munizioni dal governo, da riconsegnare alla fine del conflitto. Da parte russa, le guerre degli ultimi decenni – dalla Cecenia all’Ossezia del Sud (in Georgia), al Donbass – hanno visto la cooptazione di una varietà di criminali locali e organizzazioni paramilitari di cui il Cremlino in alcuni casi ha rischiato di perdere il controllo, mantenuto attraverso omicidi mirati dei comandanti di queste formazioni, diventate troppo autonome e pericolose per le politiche di Mosca. 

Separatisti della regione di Donetsk
Separatisti della regione di Donbas
Soldati ceceni
Ramzan Kadyrov leader militare ceceno recentemente coinvolto nella guerra in Ucraina

Pur con cautela, uno studio basato sulle interviste ai volontari stranieri che hanno combattutto in Donbass e Crimea negli ultimi otto anni, poi rientrati a casa in Caucaso ed Europa orientale e settentrionale, sottolinea come il conflitto in Ucraina possa diventare la palestra di formazione di estremisti, sia di destra che di sinistra, mossi dal desiderio di regolare i conti di ingiustizie storiche, reali o percepite, delusi dal sistema globale e dallo stile di vita occidentale e ideologicamente radicalizzati. 

In linea generale, comunque, i volontari che nei prossimi giorni si uniranno ai “battaglioni internazionali” sono spinti dalla volontà di sostenere un Paese che agli occhi di gran parte della comunità internazionale è vittima di una aggressione pretestuosa. Secondo gli esperti, le motivazioni più diffuse e più forti hanno a che fare con l’identificazione e la vicinanza emotiva con il popolo ucraino e con il rifiuto di sentirsi impotenti davanti a una guerra percepita come ingiusta sulla base di una cornice di valori condivisi. 

Alcuni tra gli stranieri che sono già arrivati in Ucraina o ci arriveranno nei prossimi giorni, per esempio, sono mossi dall’idea di fermare un attacco ingiustificato e prendere parte alla difesa della democrazia contro uno stato autoritario dai tratti sempre più dittatoriali. Tra loro ci sono sia persone senza nessuna esperienza militare che veterani, in particolare statunitensi e britannici.

Il gruppo SNA, organizzazione paramilitare ucraina
Separatisti a Lugansk, Ucraina

Di certo oggi, anche grazie ai media e alla possibilità di mettersi in contatto con chi è sul posto, è più facile empatizzare con le lotte degli altri, al punto da decidere di partire per rispondere ai loro appelli, sia coordinarsi sul campo. In realtà, questo avviene da ben prima della diffusione massiccia dei mass media e dei moderni sistemi di comunicazione: secondo il politologo statunitense David Malet, fra il 1815 e il 2005 circa la metà dei conflitti non etnici nel mondo ha visto la partecipazione di soldati stranieri, anche se con modalità e numeri molto diversi a seconda del conflitto. 

Il caso più celebre, anche per la rilevanza che ricopre nell’immaginario e nella storia dell’arte europea, è quello dell’adesione internazionale alla lotta greca per l’indipendenza dall’Impero Ottomano tra il 1821 e il 1832; la partecipazione fu nutrita soprattutto tra gli intellettuali, ai cui occhi la Grecia era la culla della democrazia, della filosofia e della poesia europea, e che restarono in parte delusi nel constatare quanto il mito della Grecia classica stridesse con la realtà dei pastori e contadini greci che divennero i loro compagni di lotta e guerriglia. Ma siccome a volte le parole e le immagini possono suscitare sentimenti più forti di ogni razionale valutazione, il movimento filellenico ebbe facile presa nell’Europa attraversata dagli ideali illuministi e gli artisti romantici di tutto il continente si entusiasmarono per la guerra di  indipendenza greca, immortalata, tra gli altri, dal pittore francese Eugène Delacroix; tra loro, a partire per la Grecia furono anche il conte e rivoluzionario italiano Santorre De’ Rossi di Santarosa e il poeta inglese George Byron, che all’ideale della libertà greca sacrificarono la loro stessa vita. 

“Episodio della guerra d’indipendenza greca” di Eugene Delacroix, Olio su tela, 1856

Solidarietà e senso di appartenenza e fratellanza da secoli superano i confini grazie a valori condivisi che vanno oltre la nazionalità dei singoli. Gli aiuti internazionali possono essere un contributo decisivo, sia pratico che d’immagine. Oggi le capacità di coordinamento, grazie alla globalizzazione delle comunicazioni e alle più diffuse conoscenze linguistiche, sono sicuramente più efficaci che in passato, anche se le difficoltà logistiche restano da non sottovalutare. Secondo diversi storici, per esempio, ebbero un ruolo rilevante nelle divisioni interne al Fronte Popolare che portarono alla sconfitta della fazione repubblicana nella guerra civile spagnola. Quando questa scoppiò, in seguito al colpo di stato militare del luglio 1936, alle forze politiche e sindacali del Fronte Popolare impegnate in difesa della Repubblica si unirono volontari da tutto il mondo – anche per effetto di campagne e iniziative promosse in Europa e in America. Nelle Brigate Internazionali – in cui si arruolò, tra gli altri, lo scrittore britannico George Orwell – organizzate dall’Internazionale comunista, si arruolarono 40mila volontari di 52 Paesi. Le fratture interne al Fronte Popolare, in particolare per le divisioni ideologiche tra comunisti, anarchici, socialisti e gli altri movimenti antifascisti furono probabilmente aggravate dalle difficoltà di coordinamento tra nazionalità, modi di pensare e lingue diverse, oltre all’ingerenza dell’Unione sovietica di Stalin. 

Marina Ginestà, la prima donna a combattere durante la Guerra Civile in Spagna

Spostandosi in uno scenario più recente, non si sa esattamente quanti combattenti stranieri si siano uniti nella guerra contro l’Isis in Siria al fianco delle forze curde, ma gli analisti vi individuano tre principali gruppi: uno è formato dagli indipendentisti di diverse regioni europee – bretoni, catalani, baschi, nordirlandesi e sardi – che sostengono l’indipendenza curda, vista come specchio della sorte comune. C’è stato, invece, chi – prevalentemente  militanti di estrema destra – è partito per difendere l’Occidente contro la minaccia jihadista; ma la categoria più numerosa è quella dei militanti di sinistra e anarchici partiti per solidarietà internazionale e condivisione degli ideali rappresentati dal Confederalismo Democratico curdo. Tra questi, molti sono attivisti libertari e ambientalisti, soprattutto francesi, tedeschi, britannici, ma anche italiani, come Lorenzo Orsetti – ucciso mentre combatteva con le Unità di protezione del popolo (YPG) – e Maria Edgarda Marcucci, unitasi nel 2017 alle Unità di Protezione delle Donne (YPJ) in Rojava e, una volta tornata in Italia, considerata dalle autorità come socialmente pericolosa, anche per la sua passata militanza come femminista e No Tav. 

Maria Edgarda Marcucci

Ciascuno di questi casi è a sé, ma presenta una costante: dimostra, al netto di chi va in guerra per il gusto di farlo, che gli ideali – siano la democrazia, la difesa contro l’invasione straniera o i fondamentalismi, oppure la costruzione di un modello alternativo di società – sanno essere più forti dei chilometri di distanza e della paura per la propria vita. È una dimostrazione radicale del fatto che da sempre, la solidarietà è uno dei valori più radicati dentro di noi, capace di spingerci a sentire e combattere per le battaglie di altri fino a farle diventare le nostre.

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