La Raggi è stata assolta. La sua incapacità no.

“Il fatto non costituisce reato.” Con queste parole del Giudice Roberto Ranazzi cala il sipario sulla vicenda giudiziaria di Virginia Raggi, sindaca di Roma. Lei si commuove, bacia il marito e abbraccia i legali che l’hanno assistita in due anni difficili della sua vita. Ma mentre esce dal tribunale per parlare con i giornalisti, qualcuno inizia a interrogarsi sulla formula dell’assoluzione: perché, se manca l’elemento soggettivo, ovvero il dolo dell’imputata, evidentemente il fatto, nella sua oggettività, per quanto privo di rilevanza penale, resta.

Uno degli avvocati della Raggi, Alessandro Mancori, viene accerchiato dai reporter: bisogna sapere di più, fuori dagli slogan elettorali, dalle campagne d’odio che intanto si stanno diffondendo sul web e dalla giustificata emotività della sindaca. Lui risponde in tutta sincerità: “Il giudice si è accorto che nella nomina di Marra qualcosa di anomalo c’è stato. Però la sindaca non ne era a conoscenza.” La sentenza dunque doveva stabilire un fatto inappellabile: se la sindaca avesse commesso un reato, e quindi se la Capitale fosse governata da una delinquente, oppure se la Raggi non contasse nulla, e il Comune fosse in mano a loschi figuri che nemmeno le riferivano i loro movimenti. La sentenza è stata emessa: adesso sappiamo che la Raggi non è una delinquente, e che Roma non ha un sindaco. L’assoluzione, non intacca la fedina penale di Raggi, ma non alleggerisce però le sue responsabilità politiche.

La vicenda, ormai nota, riguardava la figura di Raffaele Marra, il suo braccio destro. Marra, così come Luca Lanzalone (il braccio sinistro), è stato arrestato e processato per corruzione. Scegliere come stretti collaboratori personaggi subito coinvolti in indagini della magistratura è stata una sfortuna, direbbe qualcuno; incompetenza, direbbero altri; o complicità, i più maliziosi. Quando il fratello di Marra, Renato, è stato promosso alla direzione Turismo da vicecapo della Polizia Municipale, qualcuno ha storto il naso. Un bel balzo nella sua carriera, e uno stipendio notevolmente più alto. Dopo interrogatori, difese in tribunale e in televisione della diretta interessata, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per il reato di falso, legato alla nomina di Marra. Il giorno prima della sentenza, l’aggiunto Paolo Ielo ha chiesto 10 mesi di condanna per la sindaca. Poi è arrivata l’assoluzione. Nel frattempo bisognava governare una città. E lì la Raggi non è stata assolta: Roma è collassata.

Tra aziende che sono scappate a Milano, rifiuti, topi, buche, sporcizia, autobus e metropolitane da terzo mondo, Roma sembra una discarica a cielo aperto. Non che prima se la passasse bene. I disastri di Alemanno, Mafia Capitale, Marino che veniva defenestrato dal suo stesso partito: c’erano tutti gli elementi per poter dire “Chiunque diventerà sindaco risolleverà Roma, fare peggio di così è impossibile.” E invece, evidentemente, il fondo non era ancora stato toccato. Ecco cosa accade quando viene messo al potere l’uomo qualunque, e l’incapacità prende il sopravvento.

Il leitmotiv di questi due anni è stato: “Vi meritate Buzzi e Carminati.” Come se i cittadini dovessero ringraziare di non avere dei mafiosi a governarli, ma solo degli inetti – circondati comunque da soggetti sottoposti a procedimenti penali. Gli stessi personaggi che hanno chiesto la testa di Marino per una Panda in doppia fila, che lo perculavano per i disagi durante i temporali o lo criticavano aspramente per i rifiuti. Adesso, dopo gli acquazzoni la città rimane paralizzata, e i rifiuti sono aumentati a tal punto da far sembrare la Roma di Marino una sorta di Zurigo. A questo si è aggiunto l’immobilismo totale, i disastri con lo stadio, una giunta che ha visto assessori scappare a gambe levate, Atac alla deriva e la città invasa dal degrado. Roma si è ribellata, è scesa in piazza, ma la sindaca ha associato quella protesta apartitica ai nostalgici di Mafia Capitale, con parole piene di arroganza e strafottenza. Che non avesse il polso della situazione era già palese, la sentenza l’ha solo confermato.

Luigi di Maio e Alessandro di Battista hanno cavalcato l’assoluzione della Raggi con brutalità preoccupante. Il vicepresidente del Consiglio ha definito i giornalisti “infami sciacalli”, invitando gli avversari a farsi una scorta di Maalox, seguendo l’ormai classico slogan che si ritrova nei commenti dei fanatici sotto gli articoli del Fatto Quotidiano. Ha poi continuato con toni minacciosi e termini preoccupanti: “La vera piaga di questo Paese è la stragrande maggioranza dei media corrotti intellettualmente e moralmente. […] Presto faremo una legge sugli editori puri.” Quest’ultima frase, che odora di fascismo anche per chi non ha mai voluto sentire parlare di derive autoritarie e nostalgie nere, rappresenta un pericolo per uno Stato democratico. Per Di Maio gli editori puri evidentemente sono i cani al guinzaglio del M5S. Di Battista, per non essere da meno, ha definito i giornalisti delle “puttane”.

La colpa dei giornalisti sembrerebbe quella di aver raccontato un processo. La Raggi è stata indagata dalla Procura, non dalla stampa. Gli unici commenti davvero sopra le righe sono riconducibili a quel paio di giornali già noti per la loro tendenza a ricorrere a espressioni misogine e denigratorie (leggi: Libero e Il Giornale), che hanno scagliato insulti sessisti contro la Raggi. Ma, appunto, non è una novità per quelle testate. Tutto il resto è rientrato nella narrazione di un processo o, al limite, nel sacrosanto diritto di critica. Quando i grillini e i loro organi di stampa hanno fatto campagne feroci contro i padri di avversari politici (Renzi e Boschi), Di Maio e Di Battista cosa dicevano? I soggetti in questione sono stati assolti, e Il Fatto Quotidiano è stato condannato a risarcire Tiziano Renzi. Nessuno ha parlato di puttane.

Quando Enrico Mentana, una carriera lunga e riconosciuta nel giornalismo, ha criticato questi atteggiamenti riprovevoli del M5S, Alessandro Di Battista ha avuto il coraggio di rispondere tra i vari commenti “Enrico non fare la verginella”, per poi proseguire con un post delirante in cui pretendeva di dare lezioni a un uomo che fa il giornalista da decenni. Proprio lui, l’uomo a libro paga di Berlusconi che parla dei poveri immigrati messicani, mentre il suo partito è alleato con Salvini e adotta misure in stile Trump. Al solito vige la logica dell’esasperazione, screditare una categoria sputando nel mucchio per aizzare un popolo che ha bisogno di sfogarsi. Popolo che vuole sentirsi parte di una falange, in un continuo accerchiamento, popolo che vuole individuare a tutti i costi un nemico, un capro espiatorio, piuttosto che assumersi le proprie responsabilità. E non fa niente se già i più grandi quotidiani non ricevono finanziamenti pubblici: i politici a cinque stelle continueranno a minacciare di bloccarli, anche se non ci sono, per gonfiare il petto davanti al loro pubblico. Non cittadini, pubblico.

Credo che l’assoluzione di Raggi, rinvigorisca la convinzione di avere ai piani alti della Capitale una persona del tutto incapace di gestire non solo la città più importante d’Italia, ma anche un qualsiasi condominio. Affidarsi alla magistratura, sin dai tempi di Berlusconi, non è altro che un modo di dichiarare la propria impotenza politica, l’assenza di armi per arginare la furia degli avversari.

Inizia una fase nuova per Roma. Per ora ha avuto una sindaca più attenta al consenso sui social che alle esigenze dei cittadini, che rimuginava sui fallimenti dei predecessori e nascondeva i propri. Magari ora comincerà a prendersi le proprie responsabilità, così come dovrebbero fare anche a scala nazionale i suoi colleghi, dato che dovrebbero rappresentare tutti gli italiani, e non solo i loro seguaci, rispettando anche chi ha idee diverse dalle loro e difendendo i diritti di tutti.

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