Salvini gridava “prima i terremotati”. Ora è al governo e li ha abbandonati.

Lo scorso gennaio, un post raffigurante una distesa di tende ricoperte di neve è diventato virale sui social. “Queste sono le condizioni dei nostri fratelli italiani ad Amatrice”, ha commentato qualcuno, “…e i migranti al caldo pagati dagli italiani”, sentenziavano altri. In realtà si trattava di una bufala, dato che il campo immortalato si trova nella valle della Bekaa in Libano, che ospita una parte del milione e più di rifugiati siriani presenti nel Paese mediorientale.

Per quanto questo ennesimo tentativo da parte dei sovranisti italiani di creare una contrapposizione tra un noi – gli italiani – che vive in condizioni deprecabili e un loro – i migranti – che si godono la pacchia sia naufragato sotto i colpi del fact-checking, diversi reportage hanno però mostrato come anche nelle casette per terremotati del Centro Italia non nessuno se la passi benissimo. In una serie di servizi a Propaganda Live, Diego Bianchi e Pierfrancesco Citriniti hanno raccontato l’odissea che ancora vivono migliaia di persone tra l’Abruzzo, le Marche, il Lazio e l’Umbria, spesso ancora isolate e impossibilitate anche solo a comprare un giornale. Le case in cui si trovano, per quanto migliori delle tende innevate dei campi profughi libanesi, presentavano infiltrazioni e muffa già pochi mesi dopo la loro assegnazione. Come poi sottolineato da Emergency, presente con diversi mezzi soprattutto nelle zone marchigiane colpite dal terremoto del 2016, nella popolazione è frequente riscontrare casi di stress post-traumatico, alterazioni comportamentali, difficoltà di concentrazione e rendimento, ansia, frequenti attacchi di panico, agorafobia e depressione. Insomma, non solo i sovranisti del web hanno preso una cantonata con la foto del campo profughi libanese, ma per di più il tema delle precarie condizioni in cui vivono migliaia di sfollati nel centro Italia da loro utilizzato in chiave “prima i terremotati dei migranti” esiste e loro non stanno facendo nulla per risolverlo. Gli interventi necessari nelle regioni colpite dal sisma vanno talmente a rilento che lo scorso 14 marzo il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, si è dimesso per protestare contro l’inefficienza del governo nel distribuire i fondi per la ricostruzione della città, dopo dieci anni dal terremoto che uccise più di 300 persone. 

Pierluigi Biondi

Matteo Salvini, uno che nel 2009 cantava “Senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani, o colerosi, terremotati, voi col sapone non vi siete mai lavati”, nella sua eterna campagna elettorale ha dato grande attenzione ai territori colpiti dal sisma, promettendo interventi decisivi una volta al governo. Nel 2017 si presentò a Otto e Mezzo di La7 in doposci, dicendo di arrivare direttamente da una visita ai terremotati. Lo scorso anno, quello dei terremotati che non hanno ancora una casa mentre l’Italia accoglie migranti e versa soldi alle istituzioni europee è diventato un pilastro dei suoi comizi di piazza. Nelle Marche si è fatto vedere con felpe personalizzate con i nomi dei paesi più colpiti, per dichiarare il suo sostegno alla popolazione locale. 

Nei primi mesi all’esecutivo, il ministro dell’Interno è tornato spesso sul tema dei terremotati, dimostrando a parole grande sensibilità per loro e rassicurandoli di averli sempre al centro della sua agenda. “Dopo anni ci sono ancora migliaia di italiani terremotati fuori dalle loro case. Io mi voglio occupare prima di loro. Sbaglio? #primagliitaliani“, ha twittato Salvini a gennaio. “Non smetto di pensare a voi”, ha poi scritto nelle stesse settimane in una lettera rivolta alle popolazioni colpite, mentre a febbraio ha girato in lungo e il largo l’Abruzzo, riaccendendo i riflettori sul tema, anche e soprattutto in vista delle imminenti elezioni regionali.

Peccato che a queste dichiarazioni non sia seguito un impegno concreto. Già nel contratto di governo firmato con il Movimento 5 Stelle sembrano essersi dimenticati dei terremotati. “Se questo dovrà essere il ‘Contratto per il Governo del Cambiamento’, cominciamo bene!”, ha dichiarato nel maggio scorso Piero Celani, vicepresidente del Consiglio Regionale delle Marche e consigliere di Forza Italia. Una svista forse, ma nei mesi a seguire le cose non sono andate meglio. A oggi, l’unico intervento del governo in favore dei terremotati è il decreto Genova, seguito al crollo del ponte Morandi nel capoluogo ligure, che al suo interno contiene anche una mini sanatoria per le case abusive costruite nei territori colpiti dagli eventi tellurici. Nella legge di bilancio di fine 2018, il governo aveva deciso di non prorogare la legge del 2016 con le disposizioni in materia di trattamento e trasporto del materiale derivante dal crollo parziale o totale degli edifici. Un aspetto solo apparentemente irrilevante, perché come sottolineato anche dal vicesindaco di Arquata Del Tronto, Michele Franchi, bloccando la possibilità di trasportare altrove le macerie si blocca anche la ricostruzione. La “svista” ha suscitato grandi polemiche, fino al dietrofront del governo che ha inserito quelle disposizioni nella nuova legge di bilancio. 

Al di là di queste piccole misure, il governo gialloverde non ha fatto altro per i terremotati del Centro Italia. “A oggi nessuna delle promesse che Salvini e Di Maio ci avevano fatto in campagna elettorale sono state rispettate”, ha spiegato Francesco Pastorella, coordinatore dei Comitati Terremoto Centro Italia. “Nessun incentivo per l’occupazione nelle aree terremotate, nessuna No Tax area come avevamo richiesto, non è stato approvato un ‘reddito di cratere’ per sostenere le persone più in difficoltà, nessuna misura per supportare il turismo nelle regioni coinvolte dai terremoti e nessun aiuto psicologico alle persone colpite dal sisma, tranne quello volontario di associazioni e terremotati stessi. Non è stato neppure suddiviso il cratere in aree a cui dare la priorità in base ai danni subiti”. Il 5 marzo scorso anche i tecnici privati che lavorano alla ricostruzione hanno protestato per la situazione con uno sciopero. Il loro ruolo è ricostruire le case a chi le ha perse per il terremoto, ma le mancate coperture finanziarie e i tempi troppo lunghi delle burocrazia li costringono a lavorare gratis da mesi. “Un anno di niente dal governo del cambiamento, cinque mesi di niente del nuovo commissario. Se la politica ha dimenticato i terremotati, i tecnici no. Non ci resta che contestare”, hanno dichiarato.

Come accadeva prima di formare il governo, in questi mesi le forze dell’esecutivo sono comunque andate avanti a selfie e tweet sul tema terremoto, senza però dare un seguito concreto al loro attivismo online. Gli slogan, le promesse, i proclami sono proseguiti, in una campagna elettorale che sembra non essere mai finita, dimenticando che ora il potere esecutivo del Paese è in mano loro. Nel tentativo di riportare la realtà al centro del dibattito, Pierluigi Biondi, sindaco dell’Aquila eletto con Fratelli d’Italia, ha rassegnato le dimissioni, per protestare contro la latitanza del governo nell’ambito della ricostruzione. L’ormai ex sindaco ha lamentato il fatto che i 12 milioni di euro necessari per il riequilibrio del bilancio comunale non sono stati erogati in toto, mentre altri 1,2 milioni di euro con cui si dovrebbe assumerere personale da destinare alla ricostruzione pubblica sono congelati. Anche parte dei fondi contenuti nella legge di stabilità del 2014 sarebbero bloccati. “Il governo nazionale, ma anche le forze politiche locali, sembrano non dare la giusta attenzione alla città e al suo territorio. Questo nonostante il decennale del sisma sia alle porte”, ha dichiarato Biondi.

Da più parti si è sottolineato che la decisione di Biondi di dimettersi sia dovuta più a tensioni con i consiglieri di maggioranza che non alla questione del sostegno ai terremotati, ma la sua denuncia non è isolata. Da tempo la politica locale e la cittadinanza sono accomunati dal malessere relativo alla scarsa attenzione del governo per la ricostruzione tanto propagandata durante le campagne elettorali per le elezioni politiche del 2018 e le regionali dello scorso febbraio. Anche il sindaco di Amatrice, Filippo Palombini, lo scorso gennaio aveva mosso a Lega e Movimento 5 Stelle le medesime accuse che hanno portato alle dimissioni del suo collega aquilano: “Il governo si è dimenticato di noi. La ricostruzione non è mai partita, mentre il governo è distratto sulla questioni migranti”. 

Le zone terremotate sono state dimenticate, ma non perché le risorse a loro destinate sono state convogliate sull’accoglienza degli stranieri. I migranti non fanno “la pacchia” sulle spalle dei terremotati italiani. La realtà sembra piuttosto che il governo, concentrato sul rendere un inferno la vita dei primi, si sia dimenticato di aiutare i secondi. L’esecutivo si trova così impegnato nella dialettica dei porti chiusi (che in realtà non sono chiusi) e dell’invasione in corso (che in realtà non è in corso), da aver messo da parte la questione del terremoto. A denunciarlo sono gli stessi comitati cittadini, i politici locali e i tecnici della ricostruzione delle zone del Centro Italia colpite dalla calamità naturale.

Nei giorni scorsi, comunque, in Parlamento si è finalmente tornati a parlare di terremotati. Il 12 marzo è stata presentata dal Pd una proposta di legge sui risarcimenti ai parenti delle vittime del terremoto dell’Aquila del 2009 e di quello di Amatrice del 2016 che prevede anche il collocamento obbligatorio per orfani e coniuge. La risposta di Vito Crimi, sottosegretario pentastellato alla Presidenza del Consiglio con delega alla ricostruzione post terremoto, non si è fatta attendere: “Mi fa piacere che dopo dieci anni e troppi governi, il Pd si sia accorto di non aver mai preso in considerazione le vittime dei terremoti e i loro familiari superstiti. Sul dolore delle persone è spregevole farsi campagna elettorale”. Eppure è lo stesso Crimi a essere stato additato dal dimissionario sindaco dell’Aquila come il responsabile dei ritardi nello stanziamento dei fondi. Sempre Crimi in campagna elettorale prometteva una soluzione al problema dei territori colpiti già dal giorno successivo all’entrata in carica del governo, ma dopo dieci mesi quello che si è visto sono solo gli scioperi, le dimissioni e le proteste di chi quel territorio lo vive nella quotidianità. 

Vito Crimi

Il Centro Italia disastrato è al momento fuori dai radar del consenso del governo, ma ancora per poco: tra due mesi ci saranno le elezioni europee e le popolazioni sfollate torneranno a vestire i panni dell’elettorato. Prepariamoci a nuove passerelle politiche sui luoghi della perenne ricostruzione.

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