La politica pensa solo al presente. Ci serve disperatamente un piano per il futuro.

Presa in prestito dalla finanza, l’espressione inglese short-termism definisce l’eccessiva attenzione dedicata ai risultati a breve termine, a discapito di interessi maturati a lungo termine. Un classico esempio è la pressione che le imprese subiscono nel soddisfare le pretese degli azionisti, che le porta a concentrarsi sul raggiungimento di alti profitti a breve termine e a dedicare meno risorse per il conseguimento di obiettivi strategici di lungo corso. Il termine è stato poi adattato ad altri campi, a indicare come nella sfera individuale ciascuno di noi sia più propenso a compiere scelte legate al futuro più prossimo rispetto che agli anni a venire.

Soprattutto in Italia, l’espressione viene utilizzata per indicare la “miopia a breve termine” di cui si accusa il sistema politico italiano. In un recente editoriale de Il Corriere della Sera, Maurizio Ferrera evidenzia come nel nostro Paese “il futuro è trattato come una specie di colonia lontana e disabitata in cui scaricare i danni prodotti dalle attuali generazioni” e predice: “A furia di considerarlo come ‘tempo di nessuno’, il futuro rischia di trasformarsi in un tempo ‘senza nessuno’”.

Succede infatti che sui temi che richiedono un impegno a lungo termine – l’istruzione, il debito pubblico, l’innovazione tecnologica, l’ambiente – la maggior parte dei partiti promuova azioni contingenti, slegate da qualsiasi proposta di visione organica del futuro. Spesso, sia per la velocità dei nuovi canali di comunicazione, che ha modificato i tempi e le modalità della narrazione politica, sia per la sempiterna corsa all’efficienza dei mercati finanziari, le loro promesse sono di carattere prettamente ideologico, distaccate dalla realtà, utilizzate solo come mezzo per ottenere un più rapido e ampio consenso elettorale.

A ciò va aggiunto poi il divario di vedute fra una classe dirigente già nel pieno degli anni e le nuove generazioni, i cui interessi sono quasi sempre sacrificati, scoprendo un’importante mancanza nella realizzazione di una piena sostenibilità che non si limiti alla sfera ambientale o sociale ma comprenda l’umano nella sua interezza. Nella definizione di ‘sostenibilità’ si legge infatti: “Condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

Solitamente la spinta a considerare più attivamente temi importanti per il futuro parte dal basso, ingrandendosi fino a influenzare il sistema politico. Ne è un caso la questione ambientale incarnata nella figura di Greta Thunberg. La sua forza è stata proprio nella capacità di aver reso un problema, importante sì, ma per molti ancora lontano (anche se non è così), un’urgenza reale e concreta. “Quando si parla del futuro, oggi, non si va oltre il 2050. Nel migliore dei casi, fino ad allora, io non avrò vissuto nemmeno la metà della mia vita. Cosa succederà dopo? Quello che scegliamo di fare o meno adesso avrà conseguenze su tutta la mia vita e su quella dei miei figli e dei miei nipoti”. Così esordisce Greta nel suo primo discorso durante il TEDxStockholm. Ed ecco che quella insicurezza diventa l’insicurezza di tutti tutti, il suo io lo specchio di madri, fratelli, compagni di classe.

Greta Thunberg

Nell’Antropocene – in cui le colpe delle principali modifiche territoriali, strutturali e climatiche del mondo vengono attribuite all’essere umano e alla sua attività – le istituzioni, però, non devono e non possono più aspettare che la richiesta di azioni concrete arrivi dal basso, in quanto per ottenere i risultati necessari attraverso questo processo ci vorrebbe troppo tempo e sarebbe peraltro è già loro compito garantire a ciascun cittadino un futuro dignitoso. Si tratta di fare in modo che le decisioni su argomenti dal lungo orizzonte temporale siano sottratte al ciclo elettorale e delegate a un organo competente che non cada nell’obiettivo dominante di racimolare il maggior consenso elettorale, ma di valutare adeguatamente le conseguenze che le scelte di oggi hanno sul domani.

In alcuni Paesi occidentali sono in corso già da anni sperimentazioni interessanti. Dal 2014 al 2016, la Svezia ha istituito il primo “Dicastero del futuro”, il cui nome completo era “Ministero per le strategie future e per la cooperazione nordica” (Minister för strategi och framtidsfrågor samt nordiskt samarbete). Guidato da Kristina Persson e concentrato sul progetto Mission: The Future (Missione: Il Futuro), aveva lo scopo di sviluppare idee e politiche adatte ad affrontare le sfide e i cambiamenti futuri. “Il nostro governo ha pensato di creare una figura specifica, per individuare una visione complessiva sulle politiche economiche da sviluppare” ha spiegato la ministra a Il Corriere della Sera. “Proviamo a capire cosa sta per succedere, prima che si verifichi, per gestire i problemi prima che esplodano”. Puntando su fattori come la parità di genere, la fiducia nelle istituzioni e l’innovazione, il ministero ha creato tre gruppi, composti dai massimi esperti del Paese, per studiare tre grandi temi: il futuro del lavoro, le modalità di transizione a una società priva di combustibili fossili, e la cooperazione fra nazioni. Il dicastero è stato poi sciolto il 25 maggio 2016, con la consegna dell’ultimo report al Primo ministro svedese.

Kristina Persson

Similmente, il Regno Unito ha implementato l’Horizon Scanning Programme (“Programma per la scansione del futuro”) per investigare i trend futuri e migliorare le azioni del governo. Individuando potenziali rischi e debolezze e delineando temi e opportunità emergenti, il programma consente di comprendere e descrivere il futuro, esplorare le dinamiche del cambiamento e sviluppare politiche e strategie che grazie al supporto dei migliori studiosi siano resilienti ai diversi scenari futuri.

In Francia, invece, la Fondation pour la Nature et l’Homme (Fondazione per la Natura e l’Uomo) creata nel 1991 dal giornalista ed ex ministro dell’ecologia Nicolas Hulot – che nell’agosto 2018 si è dimesso in diretta radio per lo scarso impegno del governo francese nella questione ambientale – porta avanti già da diversi anni la proposta di creare una terza camera parlamentare: l’Assemblea a lungo termine o Camera del futuro.

Con l’interesse di creare un mondo equosolidale che rispetti la natura e il benessere dell’uomo, Dominique Borg, presidente del consiglio scientifico della fondazione, descrive nel saggio Pour une 6e République écologique (Per una sesta Repubblica ecologica) i poteri di cui sarebbe dotata la Camera: uno di iniziativa speciale su progetti relativi a problemi a lungo termine e uno di veto sospensivo, che permette cioè di far rivedere al Parlamento le leggi approvate ma non ancora promulgate che andrebbero contro i futuri interessi collettivi. Composta da 120 persone divise equamente in due collegi, uno di cittadini ordinari e uno di scienziati, verrebbe poi sottoposta alla sorveglianza di un’altra istituzione, con il compito di monitorarne costantemente il livello di conoscenze e di fungere da organo di informazione. “Ciò che vogliamo è una vera assemblea a lungo termine che abbia il potere di imporre, nella fabbricazione della legge, la presa in considerazione delle evoluzioni climatiche ed ecologiche”, ha sintetizzato Floran Augagneur, consulente scientifico dell’FNH.

Posto che ogni ministro dovrebbe essere nel proprio settore un ministro per il Futuro, riuscendo a conciliare urgenze presenti a scelte di più lungo respiro, anche per l’Italia sarebbe ora di ristrutturare le proprie istituzioni, guardando agli altri Paesi e istituendo nuovi organi o modernizzando quelli già esistenti. Biagio Bossone, ex direttore esecutivo della Banca Mondiale e membro del consiglio direttivo del Fondo Monetario Internazionale, ha espresso su la Repubblica l’idea di riformare la carica di “senatore a vita”, che, secondo la Costituzione, spetta agli ex Presidenti della Repubblica e ai cittadini, da loro scelti, che abbiano “illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Ai senatori a vita, scrive Bossone, andrebbe affidato il compito di “operare in nome e per conto delle generazioni future, interpretandone le esigenze, rappresentandone le istanze in Parlamento, e dando articolazione alle responsabilità che le generazioni presenti hanno verso di esse” e il loro operato sarebbe integrato da un organo che “avrebbe accesso a ogni fonte di sapere disponibile nel Paese”.

Si tratterebbe cioè di tornare a considerare la saggezza come il risultato delle competenze e delle esperienze della vita. È solo con la consapevolezza di obiettivi di lungo corso, infatti, che si può delineare un piano efficace per un Paese, al di là di ogni ideologia, trasformando gli investimenti in reali strumenti di crescita e trasformando  l’Italia in una democrazia finalmente matura.

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