Il nuovo petrolio si chiama coltan e il Venezuela ne è casualmente pieno

Da mesi ci viene descritto un Paese sull’orlo del collasso, eppure le ricchezze della Repubblica bolivariana del Venezuela sono invidiabili: il Paese sudamericano conserva nel suo sottosuolo cospicue quantità di oro (le riserve stimate sono intorno alle 15 tonnellate), possiede le più grandi scorte petrolifere del pianeta e negli ultimi anni ha scoperto di avere giacimenti ricchissimi di coltan, un minerale destinato a diventare il petrolio del futuro. 

Il coltan è una combinazione di columbite, manganesio e tantalite, e contiene un’alta percentuale di tantalio, un superconduttore che sopporta elevate temperature, resiste alla corrosione e possiede una grande capacità di immagazzinare cariche elettriche. Il coltan è il materiale fondamentale per la fabbricazione di condensatori, microchip, console per videogiochi, sistemi di posizionamento globale, satelliti, missili telediretti, apparati di microelettronica e nella chirurgia estetica viene utilizzato per gli impianti mammari. Per il suo utilizzo sempre più massiccio in diversi settori strategici, gli esperti prevedono un’impennata nella richiesta globale che potrebbe triplicare entro il 2025.

L’inaugurazione del più grande stabilimento per la lavorazione di Coltan dell’America Latina, Ciudad Piar, Venezuela

Fino all’anno scorso, si pensava che i giacimenti di coltan si trovassero in consistenti quantità solo in Congo, Ruanda e Burundi, ma nell’ottobre 2018 il Venezuela ha inaugurato il più grande impianto di estrazione di coltan di tutto il Sudamerica. Al momento dell’inaugurazione, il leader venezuelano Nicolas Maduro, ha dichiarato che l’impianto avrebbe prodotto 7,8 milioni di dollari al giorno di introiti a beneficio della nazione, rilanciando l’importanza del Paese bolivariano sullo scacchiere energetico globale. Coltan, petrolio e oro: sono materie prime che fanno gola e l’instabilità politica del Venezuela rende il Paese una preda appetibile.

Nicolas Maduro

L’11 gennaio 2019 Nicolas Maduro si è insediato per il suo secondo mandato come presidente del Venezuela. Maduro è in carica dal 2013, da quando il Presidente Hugo Chavez morì in circostanze per alcuni poco chiare, ed è un prosecutore della politica chavista, versione venezuelana della rivoluzione bolivariana: un socialismo del XXI secolo di ispirazione marxista, caratterizzato da uno spiccato anti-imperialismo e con il fine ultimo di realizzare un’esperienza socialista in senso democratico. La rielezione di Maduro è stata la conclusione di una campagna elettorale oggetto di numerose polemiche interne e internazionali, costellata di denunce di irregolarità. Questo clima di tensione ha portato l’Assemblea nazionale, il Parlamento unicamerale controllato dall’opposizione, a dichiarare nulle le elezioni e il suo presidente, Juan Guaidó, si è autoproclamato presidente del Venezuela ad interim mentre Maduro è ancora riconosciuto come legittimo leader dall’Assemblea nazionale costituente. 

Oggi Caracas ha due presidenti, mentre le violenze nelle strade si moltiplicano, il popolo è affamato a causa di anni di embarghi e il resto del mondo si schiera tra i due contendenti. Cina, Russia e Turchia riconoscono la legittimità di Maduro mentre la quasi totalità del mondo occidentale si allinea con le ragioni di Guaidó. In Europa, la maggioranza degli Stati membri dell’Unione appoggia la linea dell’opposizione venezuelana, tranne l’Italia che non si è ancora espressa a causa delle diverse correnti che attraversano il governo, diviso tra la Lega che vorrebbe uniformarsi alla presa di posizione dell’Europa e il M5S che non vuole riconoscere Guaidó. 

Juan Guaidó

Non è passato inosservato il tempestivo appoggio degli Stati Uniti all’autoproclamazione a presidente di Guaidó ve che tra le prime dichiarazioni pubbliche del giovane deputato sia comparsa l’intenzione di privatizzare la potentissima compagnia petrolifera statale, la Pdvsa, riscrivendo le leggi del Venezuela sugli idrocarburi e distribuendo contratti per consentire alle multinazionali di accedere alle più grandi riserve di petrolio del pianeta. Anche l’oro del Venezuela è stato oggetto di disposizioni immediate: la Banca di Inghilterra, dove sono custoditi una quantità di lingotti di proprietà dello Stato venezuelano pari a 8 miliardi di dollari, ha rifiutato a Maduro il prelievo di 1,2 miliardi. Negli stessi giorni è arrivato il supporto del governo britannico tramite il ministro per gli Affari europei Alan Duncan che ha detto: “Siamo fianco a fianco con gli Stati Uniti nel dire che l’Assemblea nazionale e il suo presidente Juan Guaidó sono nella posizione migliore per guidare il Venezuela al ripristino della sua democrazia, della sua economia e della sua libertà”. 

Alan Duncan

Anche il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha reso noto il suo appoggio a Guaidó dichiarando che utilizzerà tutti gli strumenti economici e diplomatici per garantire che qualsiasi transazione commerciale con il governo venezuelano avvenga solo in funzione del suo riconoscimento come presidente. Il dubbio che questa instabilità politica non sia causata da problematiche esclusivamente interne al Paese, ma sia il prodotto di interessi esterni molto lontani dal benessere del popolo venezuelano è legittimo. Non sarebbe la prima volta che un governo degli Stati Uniti influenza la politica interna di un Paese sudamericano – l’esempio più eclatante è il golpe cileno del 1973 – per trarne direttamente o indirettamente un vantaggio economico e politico.

In un mondo orientato all’abbandono del petrolio come fonte primaria di energia, la nuova ricchezza sono materiali come il coltan. Stati Uniti e Cina sono in aperta guerra commerciale anche su questo fronte: il colosso asiatico ha già conquistato posizioni di predominio in ogni fase della filiera produttiva, anche grazie ai suoi accordi commerciali con l’Australia. Dall’estrazione mineraria agli impianti di lavorazione dei metalli, dalle Gigafactories, che producono batterie per le auto e per le reti elettriche, fino alla commercializzazione dei veicoli a zero emissioni, la Cina ha distaccato di diverse lunghezze gli Stati Uniti nella corsa per il predominio dei settori strategici del futuro. La posta in gioco è talmente alta che gli Usa hanno preferito siglare un accordo di pace con i talebani in Afghanistan, pur di impedire alla Cina di mettere le mani anche sui giacimenti di coltan presenti sul territorio afghano.

Un soldato dell’esercito Venezuelano tiene in mano una pepita di Coltan

Senza cedere al cospirazionismo, molte dinamiche esterne influenzano le tensioni che oggi attraversano la Repubblica del Venezuela, instaurando un clima da guerra civile. È molto probabile che in Venezuela, così come in Afghanistan e in Congo, si stia giocando una partita fondamentale per il futuro delle nuove risorse energetiche. Con la quarta rivoluzione industriale sono cambiate le tecnologie, i poteri che se ne divideranno i guadagni e la fonte energetica che muoverà il suo motore. Ma che si tratti di oro nero o blu, il prezzo lo pagheranno sempre le popolazioni civili dei Paesi più ricchi di queste risorse. 

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