Pandora Papers. In un mondo devastato, l’impunità concessa a ricchi e potenti non è più tollerabile. - THE VISION

L’Icij, l’International Consortium of Investigative Journalists, ha appena reso noti i dettagli di una delle più grandi operazioni di giornalismo investigativo della storia. In un altro tempo le vicende emerse dal lavoro di più di 280 giornalisti provenienti da tutto il mondo avrebbero scosso governi e cambiato la storia, ma ora sembra che non ci saranno grandi conseguenze per i protagonisti dell’inchiesta: miliardari, affaristi, grandi evasori, celebrità di ogni tipo con conti e società offshore, che operano cioè nei cosiddetti paradisi fiscali.

Nell’inchiesta Pandora Papers il team investigativo ha infatti analizzato quasi 12 milioni di documenti confidenziali per un totale di 2,9 terabyte di dati provenienti da quattordici studi internazionali offshore. Nell’elenco risultano 35 capi di Stato e più di 300 politici di 90 Nazioni diverse, insieme a molte personalità del mondo dello spettacolo e dello sport. Tra gli italiani, secondo i giornalisti dell’Espresso che hanno partecipato all’inchiesta, ci sarebbero anche Flavio Briatore, il boss della camorra Raffaele Amato, l’ex consulente del Vaticano Enrico Crasso – già coinvolto nel processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato di San Pietro –, l’allenatore Carlo Ancelotti e Delfo Zorzi, ex militante del movimento di estrema destra Ordine Nuovo e oggi imprenditore nel settore della moda. All’estero risaltano figure istituzionali come il re della Giordania Abdullah II, il premier della Repubblica Ceca Andrej Babis, il ministro dell’Economia olandese Wopke Hoekstra o l’ex premier britannico Tony Blair con la moglie Cherie, oltre a cantanti e vip, tra cui Shakira, Ringo Starr ed Elton John

Flavio Briatore
Tony Blair
Shakira
Carlo Ancelotti
Elton John

Le scoperte dell’Icij non sono di certo una novità: già nel 2016 il consorzio realizzò l’inchiesta sui cosiddetti Panama Papers, dal nome di uno dei tanti paradisi fiscali in cui i super ricchi registrano le proprie società. Le società offshore sono un modo legale di evadere le tasse: la residenza fiscale di proprietà e società viene fissata in Paesi con imposizioni fiscali basse, se non del tutto assenti, evitando che le tasse vengano regolarmente riscosse nei Paesi di origine. Come scrissero più di 300 economisti – tra cui Thomas Piketty, l’ex segretario generale delle Nazioni Uniti Ban Ki-Moon e il premio Nobel per l’Economia Angus Deaton – in una lettera aperta del 2016 dopo lo scandalo dei Panama Papers: “L’esistenza dei paradisi fiscali non si aggiunge alla ricchezza o al benessere complessivo globale; non ha alcuno scopo economico utile. Mentre queste giurisdizioni indubbiamente avvantaggiano alcuni individui ricchi e società multinazionali, questo beneficio va a scapito di altri e contribuisce così ad aumentare le disuguaglianze”.

Ban Ki-Moon

Il danno causato alla collettività dall’esistenza dei paradisi fiscali è incalcolabile, eppure, nonostante l’avversione populista contro le élite della finanza, casi come quelli raccontati dall’Icij raramente riescono a fare presa sull’opinione pubblica. Come scrive il professore di economia politica Richard Murphy nel suo libro Dirty Secrets. How tax havens destroy the economy, “Coloro che utilizzano i paradisi fiscali – e i professionisti che li aiutano – vogliono vivere in un mondo in cui la legge non si applica a loro, ma limita le azioni di tutti gli altri. Il chiaro successo che hanno avuto nel raggiungere questo obiettivo ha danneggiato la fiducia nella capacità dei governi di mantenere le loro promesse, portando a un calo della partecipazione degli elettori e ad un aumento delle richieste di soluzioni alternative ed extraparlamentari ai problemi politici. Questo processo è enormemente destabilizzante per quello che i più considerano il normale stile di vita in gran parte del mondo. Ma tale instabilità è tutt’altro che casuale: i paradisi fiscali e i loro clienti intendono questo risultato, e si sta facendo troppo poco per affrontarlo”.

Secondo Murphy, l’esistenza dei paradisi fiscali e delle società offshore non è un’anomalia del sistema economico globale, ma ne è una parte integrante e comunemente accettata. Esistono anzi alcune personalità che non si limitano a usufruire dei vantaggi che questa evasione fiscale offre, ma ne difendono il ricorso, ritenendolo un modo legittimo per limitare il potere dello Stato sull’economia. Tuttavia, la concorrenza fiscale sleale ha l’unico effetto di concentrare la ricchezza nelle mani di pochi, impedendo di ridistribuire ciò che è dovuto alla collettività. Secondo l’ultimo report del Tax Justice Network, nel mondo ogni anno spariscono 427 miliardi di dollari in evasione fiscale. Di questi, 182 miliardi sono riconducibili a persone fisiche che hanno spostato le loro ricchezze offshore, come quelle scoperte dai Pandora Papers. Anche se il ricorso ai paradisi fiscali, che quest’anno ha raggiunto un picco mai visto prima, è più frequente nei Paesi ad alto reddito, sono i Paesi a basso reddito a soffrirne le conseguenze peggiori. 

Non sono solo le entrate pubbliche a essere penalizzate dai paradisi fiscali e dall’offshore. Il Tax Justice Network parla infatti delle “4 R”: revenue (entrate), redistribution (ridistribuzione), repricing (sanzioni) e representation (rappresentanza). Con meno tasse, i servizi pubblici peggiorano; le disuguaglianze economiche aumentano per la mancata ridistribuzione; i governi non sanzionano beni o servizi dannosi per la comunità e per le prossime generazioni, come le emissioni di carbonio; e la rappresentanza politica e democratica peggiora. 

Alcune istituzioni, dall’Unione europea all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), hanno provato senza successo a contenere l’abuso fiscale, ma come denunciano organizzazioni come Oxfam o lo stesso Tax Justice Network l’impressione è che i paradisi fiscali non vengano mai davvero combattuti, dal momento che le politiche fiscali sono pesantemente condizionate dalle stesse grandi aziende e dai ricchi a proprio vantaggio. L’inchiesta sui Pandora Papers, a soli cinque anni di distanza dai Panama Papers, dimostra non soltanto il fallimento delle azioni intraprese finora a contrasto dell’abuso fiscale, ma anche la totale mancanza di responsabilità di chi ne ha usufruito. Dopo la pubblicazione dei Panama Papers, 24 Stati sono riusciti a recuperare 1,36 miliardi di dollari (l’Italia ne ha recuperati 33,7 milioni) e sono ancora in corso diverse cause, ma si stima che dalle mani dello studio legale Mossack Fonseca siano passati 2 migliaia di miliardi di dollari.

Questa non è solo una questione di soldi: ciò che ancora manca è una vera e propria mobilitazione popolare contro i grandi evasori e le disuguaglianze economiche estreme che fanno sì che l’1% della popolazione possieda da sola più della metà della ricchezza posseduta da 6,9 miliardi di persone. I miliardari si sono arricchiti durante la pandemia e in ciascuno degli undici minuti che Jeff Bezos ha trascorso nello spazio, undici persone sono morte di fame sulla Terra. Tutti i dati che abbiamo a disposizione ci dicono che questa forbice – per la quale non sembra esistere altro aggettivo che “immorale” – si sta allargando sempre di più. Non esiste alcuna giustificazione per un simile accumulo di ricchezze – che una persona con il salario minimo negli Stati Uniti impiegherebbe decine di migliaia di anni a guadagnare – e ancora meno all’esistenza di sotterfugi legali per non restituire nemmeno un centesimo di quella cifra spropositata alla collettività. Spesso, come ha fatto notare l’economista Mariana Mazzucato nel suo libro Lo Stato innovatore, le tecnologie che hanno arricchito i miliardari sono state messe a punto grazie ai soldi pubblici che le tasse servono a raccogliere. 

È probabile che dopo l’indignazione iniziale e l’elenco di quelli che in Italia vengono chiamati “furbetti” e non criminali, ci saranno processi e conseguenze negative almeno per i politici coinvolti nei Pandora Papers; ma è altrettanto probabile che ci si dimenticherà presto della più grande inchiesta giornalistica della storia che ha dimostrato, ancora una volta, che il sistema in cui viviamo non funziona.

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