Come i narcos albanesi sono diventati tra i primi trafficanti di cannabis d'Europa - THE VISION

In Albania l’ex ministro dell’Interno è stato espulso dal suo partito e rischia di finire in carcere perché accusato di essere colluso con un gruppo di trafficanti che riforniva Cosa Nostra nella Sicilia sudorientale. Una storia che in Italia non lo vede indagato, ma che a Tirana rischia di costargli molto cara. È l’inchiesta dell’anno, arrivata a provocare questo terremoto perché qualcuno, a Catania, ha fatto il suo dovere di giornalista.

Il caso scoppia a metà ottobre: un periodo particolarmente frenetico per la Guardia di finanza alle pendici dell’Etna. Sono giorni in cui i finanzieri scoprono anche un traffico di petrolio che da Catania porta fino a Malta. Sempre con le cosche etnee a farla da padrone. L’Operazione Rosa dei Venti porta in carcere 11 persone: l’accusa è traffico internazionale di droga, traffico di armi (kalashnikov), corruzione di alti funzionari alle dogane in Italia e in Albania. A metà dicembre  è stato emesso l’avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 15 indagati.

I finanzieri di Catania sequestrano, in più occasioni a partire dal 2013, 3.500 chili di marijuana destinati alle piazze della città etnea, di Siracusa e Ragusa. Profitto stimato da questi carichi: 20 milioni di euro. Perché Cosa Nostra va oltre Castelvetrano e Matteo Messina Denaro: sotto l’Etna, le famiglie Ercolano-Santapaola e Cappello sono diventate più potenti, anche grazie alla marijuana albanese. La droga diretta in Sicilia arriva per lo più via pescherecci: in Albania il gruppo criminale non teme i controlli della polizia.

La mafia albanese è considerata dall’Europol l’organizzazione criminale che più è cresciuta in questi ultimi anni, assumendo una pericolosità paragonabile a quella delle organizzazioni criminali italiane. Ha cambiato partner, stringendo, a partire dal 2012, alleanze sempre più strette con la Sicilia, saltando la Puglia. Ora che la ‘ndrangheta ha le sue piantagioni sulla Sila, i suoi acquirenti sono soprattutto nella Sicilia sud-orientale.

Nelle 416 pagine di ordinanza di custodia cautelare Rosa dei Venti c’è un nome albanese, non indagato, che compare una decina di volte: “Saimir Tahiri, un politico”. Alla redazione catanese di MeridioNews contattano un collega albanese di TopChannel, tv privata con la quale hanno lavorato in precedenza. È il finimondo: una storia di cronaca giudiziaria locale irrompe in Parlamento a Tirana. La maggioranza di centro-sinistra respinge la mozione per il suo arresto, ma l’immunità è parzialmente sollevata: la Corte per i reati reati gravi può continuare a indagare. Il delfino del primo ministro socialista Edi Rama qualche settimana dopo viene espulso dal suo stesso partito. Il 13 dicembre gli viene ritirato il passaporto. “La richiesta della procura e anche la decisione della Corte è ridicola. Non è stato presentato nessun elemento nuovo che lo possa giustificare”, ha dichiarato ai media albanesi Maksim Haxhia, legale di Tahiri. Nonostante questo, le prove raccolte a Catania non sono sufficienti perché venga perseguito in Italia.

La notizia dell’arresto dei fratelli Habilaj era ancora freschissima quando Tahiri si è rivolto al Parlamento albanese per dire che il suo unico errore era stato vendere una sua auto, una Audi A8, a questo cugino alla lontana: Artan Habilaj. I suoi due fratelli, Moisi (unico imputato) e Florian, dalle indagini risultano parte di questo gruppo di narcotrafficanti. Moisi ne è il capo indiscusso, secondo i finanzieri di Catania.

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Saimir Tahiri
Lulzim Basha

Sono le intercettazioni a mettere nei guai l’ex ministro. Florian e Moisi Habilaj, ad esempio, in una conversazione del marzo 2014 discutono i debiti che hanno con i collaboratori della gang criminale: “30 glieli devo portare a Saimir”, dicono. Secondo gli inquirenti si riferiscono a 30mila lek, la moneta albanese, dovuti proprio al ministro dell’Interno. In un’altra, citano due braccialetti da portare alla “moglie di Saimir”, dietro cui si celerebbe ancora una volta l’ex politico albanese.

Il materiale è tanto importante che a Tirana la Corte per reati gravi apre un fascicolo sulla banda degli Habilaj e su Tahiri. Nomi, quelli dei fratelli, già peraltro noti da tempo ai magistrati albanesi. Saimir Tahiri il 05.11.2013, si legge nell’inchiesta albanese, ha venduto il suo veicolo “alla persona indagata Artan Habilaj (non indagato in Italia, ndr), fratello dell’arrestato Moisi Habilaj”. Nelle date 16.08.2014, 30.08.2014, 29.08.2014, 08.08.2014, prosegue il testo, Saimir Tahiri viaggiava ancora in quell’auto, accompagnato da Artan Habilaj. L’ipotesi investigativa è che facesse parte del cartello criminale.

Edi Rama

A inizio novembre, l’inchiesta albanese ha avuto un ulteriore sviluppo. A Elbasan, nell’Albania centrale, un imprenditore non si ferma a un posto di blocco per un controllo.  La polizia lo raggiunge e lo blocca: comincia così l’ispezione della sua auto. Vengono ritrovati 860 mila euro in contanti e due patenti navali intestate a Saimir Tahiri. La macchina appartiene a Orest Sota, con la cui famiglia Tahiri ha rapporti da tempo. Il sospetto degli inquirenti è che quei soldi fossero destinati proprio a Tahiri. Pubblicamente,  l’ex ministro ha negato di possedere una barca. Il principale avversario politico del premier Edi Rama, il numero uno del Partito democratico (centrodestra) Lulzim Basha, sostiene che l’imprenditore e l’ex ministro avrebbero viaggiato più volte in Italia. “Tahiri e Sota usano e trafficano droga e stanno cercando di nascondere continuamente le prove su di loro”, afferma Basha citato dal giornale albanese Lapsi.al.

L’ex ministro dell’Interno era il delfino del primo ministro Edi Rama, il capo del Partito socialista. Ma il premier – dopo essere stato rieletto a giugno – non ha potuto dargli alcun incarico nel nuovo esecutivo. Tahiri a marzo, nel pieno delle contestazioni del governo socialista di Rama, è stato accusato di essere vicino a narcos e poliziotti “deviati”. Voci che si rincorrono insistenti fin dal 2015, quando il poliziotto Dritan Zagani, oggi rifugiato politico in Svizzera, lo ha per la prima volta messo al centro di una rete di relazioni con i più importanti criminali d’Albania. Era ancora primo ministro: tra il 2014 e il 2015.

Eppure Tahiri all’inizio del mandato aveva dichiarato guerra al “Kanabistan”. Gli albanesi chiamano  in questo modo la zona dei declivi intorno a Lazarat, tra le capitali della produzione di marijuana in Europa. Tutta l’economia locale ancora oggi si basa sul narcotraffico: si vive di poco in quella zona del Paese. “L’ironia della sorte è che ora che distruggiamo di più sembra che ci sia più marijuana. E invece i fatti dicono che il fenomeno [il narcotraffico, ndr.] preesisteva”, dichiarava a novembre 2016 l’ex ministro in un’intervista a Il Fatto Quotidiano. Fin dall’inizio, infatti, si è capito che quel grande dispiego di forze non aveva impedito che la droga (sia marijuana sia eroina) fluisse verso tutte le piazze d’Europa.

A marzo 2016, il deputato Arben Ristani (Partito Democratico), ha dichiarato ai media albanesi che i fratelli Habilaj, grazie alla loro parentela con Tahiri, avrebbero creato un contatto tra l’allora ministro e Klement Balili, “il Pablo Escobar dei Balcani”. Balili è la primula rossa dei narcos albanesi, nonostante su di lui gravi un mandato di cattura internazionale dal maggio 2016: in meno di due anni è accusato di aver trasportato quasi 4 tonnellate di cannabis e 83 chili di cocaina.

Il 9 maggio 2016 un’importante operazione della polizia greca porta al sequestro di 670 chili di marijuana e all’arresto di 15 persone: si tratta dei componenti di uno dei più importanti gruppi di narcotraffico dell’Europa. Il loro capo, secondo gli investigatori, è proprio Klement Balili, il quale, al momento, è ancora Direttore dei trasporti per la municipalità di Saranda. Una carica politica ottenuta nel 2014, quando al governo, come ministro dell’Interno, c’è proprio Tahiri. Balili ha perso il suo incarico solo una settimana dopo l’operazione e da allora è latitante. Il 13 maggio la polizia albanese non è riuscita a trovarlo e il 17 l’Interpol ha spiccato un mandato d’arresto internazionale nei suoi confronti. I media greci hanno accusato la polizia albanese di non aver arrestato Balili per i suoi legami politici.

Solo 18 mesi dopo, a Saranda, città costiera dove regna la speculazione edilizia che puzza di riciclaggio, le autorità albanesi hanno sequestrato diversi appartamenti appartenenti al Pablo Escobar dei Balcani, insieme ad un resort di lusso, il Santa Quaranta. Al taglio del nastro per la sua inaugurazione c’erano pezzi importanti di esecutivo schierati: il presidente del Parlamento Ilir Meta, il ministro delle finanze Arben Ahmetaj e l’ex deputato socialista Koço Kokëdhima.

Intanto la mafia albanese è diventata grande.

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