Dire "Non uscirei mai con una persona trans" è discriminatorio?

È giusto stabilire il grado di rispetto e apertura mentale di qualcuno sulla base delle persone con cui va a letto? Probabilmente no, ma la faccenda è più complicata di così. Lo si è visto di recente con una polemica scoppiata nella tv inglese e dilagata poi in rete. Tutto è nato al Grande Fratello UK versione Celebrity, quando una delle partecipanti al reality – la giornalista tv trans India Willoughby – durante una conversazione di gruppo, ha chiesto al cantante R’n’B Ginuwine se sarebbe mai uscito con una donna transgender. Lui ha risposto di no, provocando l’indignazione della giornalista. Alcuni inquilini della casa hanno poi preso le difese di Ginuwine, sostenendo che si tratta di “legittime preferenze”.

India Willoughby, poi, ha cercato di baciare Ginuwine, come per invitarlo a superare i suoi pregiudizi. Un gesto decisamente aggressivo, che se fosse stato fatto da un uomo nei confronti di una donna sarebbe stato giudicato in modo molto più duro. Il cantante si è sottratto al bacio e questo invece ha rinforzato in molti l’impressione che abbia davvero qualche problema con le persone transessuali. Sui social la discussione si è accesa e i commentatori si sono divisi tra chi ritiene la risposta del cantante comprensibile e chi invece l’ha bollata come transfobica.

India Willoughby
Ginuwine

È chiaro che sulle prime la questione non sembra poi tanto difficile: ognuno va a letto con chi vuole. Nell’accusare Ginuwine di transfobia c’è certamente un fraintendimento: il rispetto non si misura dai rapporti intimi che una persona sceglie di avere. Un omofobo non è uno che non vuole fare sesso con un gay e un razzista non è uno che non vuole avere rapporti sessuali coi neri. La sfera del dovuto e dei diritti riguarda in primo luogo il mondo sociale, il pubblico perché, come dice Hannah Arendt, l’amore “non appartiene al mondo”, abita lo spazio privato tra due persone, ha una sua giurisdizione altra e autonoma. Uscire con una persona in senso romantico o sessuale è anzi, se vogliamo, un’eccezione. La “normalità” sociale non è l’interazione di coppia e il discorso sui diritti interessa invece principalmente quella normalità: mondo del lavoro, della sanità, questioni anagrafiche, rappresentazione mediatica, ecc. Può interessare una coppia nel senso della tutela giuridica dei partner, ma quello è un altro piano. Insomma, non esiste e non può esistere un diritto a essere fatti oggetto di attenzioni sentimentali o sessuali, altrimenti scapoli a vita e zitelle godrebbero di interventi statali specifici.

C’è poi la questione del cosa si intende con “trans”. La modella e cantante inglese di origini nigeriane Miss Sahhara, riguardo alla polemica scoppiata, ha precisato: “Non è transfobia. È più che altro ignoranza”. Ignoranza perché il mondo trans è tante cose: alcune donne trans hanno il pene, altre no; alcuni uomini trans hanno il pene, altri no. Oggi il binarismo sessuale e di genere non può più esser dato per scontato, e non è detto si possano dedurre i genitali di qualcuno dalla percezione estetica immediata. Una donna trans che ha fatto la transizione molto presto, ad esempio, può essere identica a una donna cisgender, quantomeno a livello estetico. In un lungo articolo su Medium, l’attivista trans Sara C scrive: “Quando sei in discoteca, o su Tinder, o stai flirtando con qualcuno al lavoro, non puoi dire se è trans semplicemente guardandolo, non importa quanto tu pensi di essere in realtà in grado di farlo”. Già, spesso non resta che il nostro pregiudizio a far la differenza.

Miss Sahhara

Nel prendere una posizione del genere – “non uscirei mai con una donna trans” – entrano in gioco appunto una serie di stereotipi di cui sono responsabili in buona parte i media: le persone trans vengono ancora viste come dei crossdresser, ovvero dei travestiti, e questo è ridicolo. Se è vero che non è illegale o volutamente discriminatorio dire cose del genere, non significa però neanche che sia neutro o che non meriti di essere commentato. Anche perché non è detto che siano prese di posizione poi così libere. Ad esempio esiste certamente una preoccupazione per quello che la società può pensare di un uomo che esce con una donna trans: c’è una “mascolinità tossica” che rende violenti e aggressivi quando si discute di queste cose e che, di conseguenza, inibisce la libertà di espressione (e di sperimentazione).

Lo stesso modo di dire “andare a trans”, dall’indicare la frequentazione di prostitute transessuali, ha finito per descrivere genericamente il fatto di avere rapporti con persone transessuali, alludendo sempre e comunque a uno scenario degradante, grottesco, fatto di vizio e comportamenti borderline. Scenario di cui è diventato emblema Lapo Elkann, che resterà per sempre “quello col vizietto”. L’uomo che frequenta donne transessuali o transgender vede, per l’opinione dominante, la sua virilità abbassarsi, infangarsi. E infatti non è un caso che al Celebrity Big Brother lo scandalo sia scoppiato partendo da domande sulle preferenze maschili. Nella cultura sessista che ci governa l’uomo è molto più blindato dagli stereotipi. Almeno dal punto di vista dell’orientamento sessuale la donna è un po’ più libera, perché nell’assetto patriarcale è il maschio che comanda ed è quindi l’identità maschile che deve essere protetta e mantenuta al sicuro da ibridazioni e commistioni degradanti.

Lapo Elkann

È ancora molto pesante il pregiudizio sociale nei confronti dell’identità trans: basti pensare che in 48 Stati Usa è una difesa legale ancora ammissibile in tribunale quella della momentanea incapacità di intendere e volere causata dalla scoperta improvvisa che un/una partner è trans. Si può usare questa difesa – chiamata trans-panic defence – per evitare di essere condannati per la violenza usata contro persone transessuali e transgender, o almeno per ridurre la pena. È uno shock, un affronto, un trauma scoprire che una donna è transgender e la società, almeno per ora, pare riconoscere che si tratta di uno shock comprensibile. E che può portare a colpire, e magari a uccidere. Lo si ritiene legittimo anziché riflettere sul perché ancora oggi le persone trans si nascondono, evitando un probabile rifiuto iniziale, ma suscitando al suo posto esplosioni di rabbia e paura.

Concentriamoci più che altro sul linguaggio: è decisamente superficiale raccogliere tutte le persone trans in uno stesso gruppo. Ma, in questo senso, forse, è sbagliata anche la domanda “Usciresti mai con una persona trans?”, perché con un quesito del genere già si sta facendo agire l’etichetta. Forse sarebbe stato meglio chiedere una cosa come: “Esci con una che ti piace e scopri che è trans. Che fai?”, anche per sottolineare che l’identità trans non è qualcosa che emerge percettivamente per forza, al primo impatto. Credo che la maggior parte delle persone risponderebbe: “Non so, mi ci dovrei trovare”. O forse: “Dipende se operata o no”.“Dipende” è quello che dovremmo dire un po’ tutti sempre di fronte a queste richieste che chiamano in causa scenari ipotetici, perché nel reagire in modo frettoloso e lapidario rischiamo di farci promotori più che altro dei pregiudizi introiettati.

È sacrosanto che uno non sia attratto da una persona trans, ma è sospetto che lo decida prima, sulla base di un immaginario distorto. Ed è sbagliato che si usino espressioni come “mai”, o anche, come capita di sentire: “che schifo”, “ah no, non sono gay”, “no, a me piacciono le donne”, dando ancora una volta per scontato che una donna trans sia di fatto un uomo travestito. Non è discriminatorio non essere attratti da una persona transgender: discriminatoria è l’affermazione generale che esclude a priori sulla base di stereotipi, spinta dalla fretta di assumere una posizione per tutelarsi – ad esempio dalla paura e dalla vergogna di essere bollati come potenziali frequentatori di trans. Come ha scritto sempre l’attivista Sara C su Medium: “La scelta di tracciare una linea del genere è radicata nell’ignoranza, nella paura e nel disgusto per le persone trans”.

Dicevo del linguaggio: i gusti estetici e sessuali ricadono nella sfera personale, ma la loro messa in circolo, il modo in cui se ne parla e la loro espressione in pubblico hanno indubbiamente valore politico. Non è giusto stabilire quanto uno sia aperto e progressista sulla base dei suoi gusti, ma credo sia giusto stabilirlo a partire dalle sue parole, anche quando si discute di vita sentimentale. Le parole rispecchiano i gusti, qualcuno potrebbe controbattere: il punto è proprio distinguere la sfera intima fatta di decisioni concrete – che non hanno valore politico – dal modo di parlare di quella che resta una comunità non solo violentemente discriminata ma anche poco conosciuta nelle sue differenziazioni interne.

Come? Innanzitutto evitando di avallare i luoghi comuni e di immettere nel mondo giudizi tagliati con l’accetta. Dire “Non andrei mai con una persona trans” è un automatismo violento ma anche facilmente ingenuo, perché assume per buoni una serie di stereotipi su cosa sia una persona trans e sulla sua facile riconoscibilità. Le persone transgender che hanno fatto un percorso di transizione precoce e completo sono donne a tutti gli effetti. Ricorrere a espressioni più equilibrate – come “Non mi è mai capitato finora”, oppure “Lo farei se dovessi essere attratto” – sembra un buon modo per evitare di amplificare i pregiudizi e di propagare lo stigma, facendo prevalere la categoria sui singoli individui. Non si tratta di fingere di essere possibilisti, ma di scegliere da che parte stare. Sia che se ne parli pubblicamente sia che lo si faccia in privato, le parole possono servire a farci progredire o arretrare, a moltiplicare o ridurre le possibilità.

Non c’è bisogno di fare uscite romantiche con una trans per essere aperti e tolleranti, ma si è forse più aperti e tolleranti se, di fronte a una domanda come quella del Grande Fratello inglese, si sceglie di cogliere l’occasione per demolire un po’ lo stereotipo diffuso, evitando di rinforzare il sistema sociale oppressivo secondo il quale, ad esempio, le donne trans non sono vere donne. Un buon modo per smantellare la transfobia imperante può essere quello di rendere culturali e non semplicemente autoreferenziali le nostra parole, così da contagiare anche gli altri nell’adottare un punto di vista più aperto e indefinito, che non obblighi nessuno a far nulla ma che neppure blocchi le strade a priori a suon di banalità e cliché. I circuiti dell’attrazione sono pur sempre disseminati di sorprese, se si è sufficientemente liberi da ammetterlo. E la libertà che ognuno di noi riconosce è spesso frutto di un processo collettivo, di cui tutti siamo responsabili.

È discriminatorio, quindi, dire “non uscirei mai con una trans”? Io penso sia una forma di transfobia minore e spesso poco consapevole. Non sarei a favore della lapidazione mediatica di chi lo dice, anche se chi lo fa dimostra ampi margini di miglioramento in fatto di sensibilità di genere. Penso insomma che la comunità trans abbia tutto il diritto di reclamare questi aggiustamenti che, a partire dal linguaggio, possono poi irradiarsi anche in gesti e atteggiamenti concreti.

 

In copertina, Valentina Sampaio, modella brasiliana transgender.

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