La presa in giro di Fedez ha mostrato tutto ciò che non funziona nella politica e nei media italiani - THE VISION

Qualche giorno fa, attraverso la sua società Zdf Srl, Fedez ha acquistato sul web il dominio fedezelezioni2023.it, mandando in tilt la stampa italiana, seguita a ruota da diversi politici. Si sono susseguiti articoli sulla possibilità di una sua discesa in politica, riflessioni indignate da parte di chi è capace, per qualche click, di pubblicare pezzi dal titolo “Chiara Ferragni, Fedez e Leone mostrano i piedi, i fan si scatenano”, e proseguire con mantra del tipo “La sinistra riparta da…”, limitandosi a proporre nomi che nulla hanno a che fare con la politica. Questa vacuità è esplosa insieme alla bolla creata dallo stesso Fedez per smascherare l’inadeguatezza della politica e di gran parte dei media.

In realtà era un’operazione di marketing, e Fedez l’ha svelata con un video in cui ha  scimmiottato la discesa in campo di Silvio Berlusconi del 1994. Per promuovere il suo nuovo disco – Disumano, in uscita il 26 novembre – l’artista e imprenditore è partito dalla frase che ha dato il via al populismo e all’antipolitica della Seconda (in seguito Terza) Repubblica (“L’Italia è il Paese che amo”), per poi parodiare quel messaggio con frasi come: “Ho scelto di scendere in campo e frodare la cosa pubblica, perché non voglio vivere in un Paese civile, governato da forze mature e da uomini legati a doppio filo a un passato di conquiste sindacali e diritti per tutti”.

La trollata dell’anno ha funzionato perché, a meno che i media non credessero a una mossa alla Kanye West, tutti si sono affrettati a commentare una non-notizia soltanto per restare aggrappati al trending topic del momento e in qualche modo quello di Fedez è stato un esperimento sociale volto a spiegare le dinamiche del giornalismo italiano, ovvero la ricerca della viralità e il tuttologismo da tastiera. L’enorme cassa di risonanza di Fedez ha fatto sì che un po’ tutti ci cascassero e tra questi non poteva mancare un avvezzo cavalcatore di bufale: Matteo Salvini.

Il leader leghista ha commentato il fatto sui social dicendo di essere pronto a confrontarsi con Fedez sull’Italia che verrà, perché “è il bello della democrazia”. Solitamente Salvini tratta gli avversari politici aizzando i suoi elettori o attivando la macchina del fango, ma con Fedez ha sempre tenuto un atteggiamento quasi di timore reverenziale. Quando il rapper ha elencato sul palco del concerto del Primo Maggio tutte le frasi oscene di esponenti leghisti su temi come omofobia e razzismo, denunciando poi i tentativi di censura della RAI, Salvini l’ha invitato a “prendersi un caffè insieme”, chiamandolo per nome e senza spargere odio. Il motivo è semplice: Fedez per Salvini è un competitor, ed è facile sbraitare contro nemici immaginari (l’Europa, gli invasori, i poteri forti) o contro forze politiche che hanno una comunicazione rimasta ai tempi della Mesopotamia (la pagina Facebook del PD è un misto tra la fiera del Boomer e Internet Explorer). La verità, inquietante, è che non sono gli influencer a cercare di fare i politici, ma i politici che sempre più spesso sembrano volersi trasformare in influencer.

Matteo Salvini

I messaggi veicolati negli anni da Fedez e Chiara Ferragni sono sempre stati a favore dei diritti civili. Dal ddl Zan alla presa di posizione contro ogni forma di discriminazione, hanno usato la loro enorme cassa di risonanza per contrastare le tante politiche bigotte e oscurantiste che infestano la politica italiana. Tutti gli altri personaggi noti che hanno preso posizione allo stesso modo, proponendo riflessioni anche solo velatamente progressiste, hanno subito lo stesso destino: venire associati a una imminente discesa in politica. Basti pensare al caso di Claudio Marchisio, l’ex calciatore che da anni usa i social manifestando le sue idee su temi come integrazione, rispetto verso il prossimo e lotta per i diritti civili, e che addirittura è stato indicato come possibile candidato del centrosinistra come sindaco di Torino. Marchisio ha glissato con parole simili a quelle usate da Fedez, che possono essere riassunte con l’unica frase sensata per rispondere a certe farneticazioni: “La politica è una cosa seria”.

Claudio Marchisio

Una volta svelato l’arcano, Fedez ha centrato il punto dichiarando: “Credo che questa cosa, questa trollata, la dica lunga sullo stato di salute della stampa e del giornalismo italiano”. Non si è poi tirato indietro e ha fatto nomi e cognomi. Ha citato Stefano Feltri, direttore del quotidiano Domani, che ha tuonato con un perentorio “Fermiamo gli influencer perché lavorano con Amazon” e Fedez ha prontamente mostrato la pubblicità dell’azienda di Bezos apparsa sul suo stesso giornale. Si è poi rivolto al giornalista Beppe Severgnini, che ha commentato la finta discesa in campo di Fedez con la frase “La moglie è molto più carina”, ricordandogli che nel 2021 la bellezza per una donna non dovrebbe essere un requisito necessario per lavorare. Questa capacità dialettica, unita all’assenza di peli sulla lingua sostenuta  da un solido status, spiega il motivo per cui Salvini probabilmente non tratta Fedez come un Letta di turno: perché in un eventuale confronto mediatico Fedez avrebbe la meglio.

Stefano Feltri
Beppe Severgnini

Fedez – essendo mediaticamente più abile di tanti direttori di giornali, così come di certi dinosauri che usano Internet – provoca gli scivoloni della stampa per poi usarli da un lato a suo favore, aumentando ancor di più la sua visibilità, dall’altro per mortificarne gli intenti, svelando la realtà del clickbait. Scrivere “Fedez” o “Chiara Ferragni” su Google è ormai un modo per documentarsi sulle bassezze del giornalismo.

Il problema è che certi articoli, che in realtà sono paginette in cui vengono riportate le azioni dei Ferragnez sui social, non vengono da giornali di gossip, ma da testate in teoria nate con altri intenti. La notizia “Fedez perde una scommessa e pubblica una foto hot” possiamo attendercela da Novella 2000, non da Il Fatto Quotidiano, e invece è appurato come il clickbait sia ormai il meccanismo su cui si alimenta il sensazionalismo e, in qualche modo, la sopravvivenza stessa di alcune realtà che ne hanno bisogno per restare in vita. Ma questo sembra un uroboro senza fine, perché anche Fedez e Chiara Ferragni senza questa stessa visibilità da riviera su cui si basa buona parte della loro popolarità avrebbero meno occasioni per gonfiare quello che a tutti gli effetti è ormai un impero. Ma mentre loro vogliono e sono in grado di riciclare questo malcostume per denunciarne le storture con trasparenza, gli altri protagonisti in campo ci navigano in modo indegno e finiscono per rimanere vittima del loro stesso strumento.

Fedez e Chiara Ferragni

Riconoscere l’abilità mediatica di Fedez e le sue capacità da “imprenditore di se stesso” non vuol dire appoggiare qualsiasi suo pensiero o celebrare i suoi gesti. Anzi, lui stesso denuncia questa costante ricerca di un messia che possa risolvere i problemi della politica italiana, tra l’altro sperando di trovarlo negli ambiti sbagliati. La sua musica può non piacere, la sua vita da “vetrina” può infastidire, ma il punto del dibattito non è la simpatia o meno per un personaggio, ma la comprensione del messaggio che tenta di lanciare. È bastata una sua boutade per scoperchiare il vaso di un giornalismo stantio e di una politica che si affida al semplicismo per risolvere problemi complessi. Fedez non deve essere per forza un role model, ma è utile come ariete per sfondare certe pareti ancora difficili da abbattere e per capire certe realtà mediatiche che lui conosce meglio di tutti i sepolcri imbiancati che ruotano intorno ai media e alla politica. Un Paese in cui serve Fedez per invitare alla serietà e alla competenza è sicuramente sull’orlo del collasso, e qualcuno se ne sta accorgendo con troppo ritardo.

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