Non esistono donne intimidatorie, solo retoriche sessiste

Nella posta del cuore della stampa femminile la risposta classica per la ragazza che si strugge perché un giovane non le chiede di uscire senza che ci sia un’apparente motivazione è quasi sempre questa: “Tesoro, probabilmente lo intimorisci”. Molte donne se lo sentono dire anche dagli uomini che frequentano. Quando sei una donna di successo e con opinioni forti sembri diventare un repellente naturale. Alla personalità spesso si aggiungono anche delle caratteristiche estetiche. Serena Williams, ad esempio, è stata spesso chiamata “intimidatoria” per il suo aspetto fisico. Shamil Tarpishchev nel 2014 fu multato dalla Women’s Tennis Association ed espulso dal ruolo di presidente della squadra russa di Fed Cup dopo aver definito Williams “spaventosa da guardare”. La tennista Simona Halep ha usato lo stesso aggettivo per descriverla, aggiungendo che è “grossa ed enorme”. Maria Sharapova, nel suo memoir Unstoppable, ha descritto le “grosse gambe e braccia” della collega definendole “decisamente minacciose”.

Serena Williams, Us Open, 2018

La retorica sulle donne intimidatorie, provenga essa dagli uomini o dalle donne, è spesso intrisa di sessismo. Posto che ognuno ha delle legittime preferenze di carattere nella scelta del partner e che è giusto scegliersi una persona che le incarni, dire a una donna che è minacciosa o che mette in soggezione significa perpetrare l’idea secondo cui per lei non esistano altri orizzonti di possibilità se non quelli della dolcezza e della docilità.

Quello delle donne intimidatorie è un archetipo vecchio come il mondo. Anzi, come la Bibbia. Le donne ostili sono definite negativamente rispetto al modello prevalente – e prescritto – cioè quello della moglie devota e remissiva. Nell’Apocalisse si stabiliscono i due modelli in modo molto chiaro: la donna vestita di sole è contrapposta alla grande prostituta, che viene ritratta ubriaca e a cavallo di un mostro spaventoso. È una visione minacciosa e aggressiva. E così si sono cristallizzate due categorie, due possibilità che non sembrano avere alcuna chance di convivere nella stessa persona. C’è da dire che questo dualismo è tipico della tradizione giudaico-cristiana, mentre altre culture vedevano le donne impetuose e combattive come figure positive: della valchiria Brunilde, ad esempio, viene esaltata la forza, pari alla bellezza; a Sparta poi le mogli venivano scelte in base alla loro prestanza fisica, e la ricchezza superiore a quella del marito era considerata un pregio e non un motivo di vergogna. Secondo la religione cattolica, invece, o sei dolce e accondiscendente, la sposa ideale, o sei cattiva e aggressiva, metti paura e nessuno ti vuole. È evidente che si tratti di un binarismo semplicistico e riduttivo di tutta la gamma di tratti della personalità che una persona, al di là del proprio genere, può assumere. Una donna può essere assertiva e allo stesso tempo affettuosa, riservata ma anche determinata, esattamente come un uomo.

William Blake, Il grande drago rosso e la donna vestita di sole, 1803-1805 circa

In questo modo la tradizione ha  promosso un modello di virtù che si incarna nella bellezza classica data dall’armonia delle proporzioni. Anche per questo molte ragazze alte o con una corporatura robusta si sono sentite dire dagli uomini che li mettono in soggezione. Per non parlare di quelle muscolose: nella nostra epoca l’attività fisica è diventata quasi un obbligo morale, ma per le donne avere le spalle larghe o i polpacci torniti sembra essere un crimine. In rete si leggono commenti come: “Le donne con il petto muscoloso mi spaventano. Non è attraente. È volgare”; “Una volta uscivo con una ragazza che riusciva a sollevare il doppio di me. Non mi sono mai davvero sentito l’uomo nella relazione, e così l’ho lasciata”. Ovviamente queste idee ricadono in una visione stereotipata della femminilità, vincolata esclusivamente alle caratteristiche di grazia e di armonia. E non va bene nemmeno se queste sono esagerate: quante volte abbiamo sentito dire di una donna che è “troppo bella” – e sovente malvagia e maliziosa, la cosiddetta “femme fatale”.

Spesso, in quest’idea che anche l’aspetto estetico possa far paura c’è anche una bella dose di razzismo, come nelle frasi rivolte a Serena Williams. Incutere timore è una caratteristica storicamente legata alle persone di colore, incarnato nel cinema e nella letteratura dallo stereotipo della Angry Black Woman. La poetessa Audre Lorde, che ha lavorato a lungo sul tema della rabbia delle donne nere, ha messo in luce come quest’ultima sia la conseguenza di un’oppressione sistemica: “La mia risposta al razzismo è la rabbia. Ho convissuto con quella rabbia, l’ho ignorata, alimentata […] Un tempo lo facevo in silenzio, spaventata dal suo peso. La mia paura della rabbia non mi ha insegnato niente. La tua paura di quella rabbia non insegnerà niente nemmeno a te”.

Audre Lorde

C’è poi la questione economica. Molti uomini si sentirebbero in soggezione davanti a una donna che ha successo sul lavoro o che guadagna più di loro. Questo perché il modello della famiglia patriarcale in cui è il maschio a dover provvedere per la compagna e la prole non è ancora stato superato, sebbene i segnali di un cambiamento siano molto evidenti. Non solo le donne assumono sempre più ruoli di responsabilità e di potere nel contesto professionale (e uno studio ha rilevato che, ai livelli più alti della carriera, il gender pay gap sembrerebbe ridursi), ma ci stiamo avvicinando alla degradazione della famiglia nucleare e, conseguentemente, a una suddivisione dei compiti domestici più libera. Questo cambiamento mette in discussione i ruoli di genere in modo molto significativo ed è comprensibile che per qualcuno possa essere destabilizzante pensare che una donna non solo sia economicamente indipendente, ma che sia anche in grado di portarti fuori a cena. Dopotutto, sembrerebbe da un recente sondaggio che anche gli uomini più progressisti sognino ancora una moglie casalinga, a riprova che le trasformazioni sociali sono sempre difficili da assimilare.

Ovviamente una persona ha tutto il diritto di sentirsi intimidita da un’altra. È anche una questione di carattere: non tutti amano una personalità estroversa o irruente e, come una donna è libera di cercare un partner dolce e sensibile, così un uomo che ama queste qualità in una donna non è necessariamente sessista. Ma la retorica delle donne intimidatorie resta dannosa perché, appunto, è specificamente rivolta alle donne e ha delle conseguenze sul modo in cui si comportano. Audre Lorde per anni ha nascosto la sua rabbia per non fare paura alle persone. La scrittrice Leslie Jamison ha scritto in un bellissimo pezzo sul New York Times Magazine del modo in cui per anni ha mascherato la rabbia con la tristezza, abbracciando l’iconografia della donna piangente proprio perché era più rassicurante, meno spaventosa. Molte donne raccontano di aver smesso di parlare della loro carriera accademica e lavorativa o dei loro interessi agli appuntamenti, oppure di aver provato a cambiare il loro carattere per non mettere in soggezione i partner.

Leslie Jamison

E così è sempre la donna a dover cercare di contenersi, di limitarsi, di modificarsi per risultare più accomodante nei confronti di quello che la società (patriarcale) si aspetta da lei. È più frequente che accada questo piuttosto che un uomo cerchi di accogliere e apprezzare questi tratti, o accetti di compiere un percorso su se stesso per cambiare. Le persone in generale non dovrebbero mai fingere di essere quello che non sono solo per sentirsi più apprezzate o anche semplicemente accettate. E la retorica della donna intimidatoria è tossica anche per gli uomini, perché li confina in un’idea di sudditanza nei confronti delle donne: quando una donna si compiace di “far paura ai maschi” sottintende una superiorità che non le appartiene.

Superare questa retorica significa ammettere che le donne, e più in generale tutte le persone, non sono buone o cattive, bianche o nere, che la femminilità non è remissiva o aggressiva, che un tratto non esclude l’altro. Questa categorizzazione spesso è soltanto il retaggio di una cultura patriarcale e oppressiva, forgiata sul bisogno di gerarchizzare tutto e tutti in un sistema di alpha e beta, siano essi maschi o femmine. Le donne non sono intimidatorie perché sono estroverse o guadagnano molto, e men che meno perché sono molto belle o molto muscolose. Al massimo sono alcuni uomini a non essere in grado di tenere loro testa o a celebrare i loro successi. Se smettessimo di pensare per categorie, di classificare le persone in base ai nostri bias, non solo riusciremmo ad abbattere molti degli stereotipi con cui conviviamo, ma anche ad avere una più profonda consapevolezza di noi stessi e delle relazioni umane.

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