Il capitalismo vuole convincere le donne che la propria vagina ha qualcosa che non va

Non avevo mai pensato, nella mia vita, di dovermi preoccupare troppo dell’aspetto della mia vagina. Non parlo della sua igiene e della sua salute, che sono fondamentali, parlo proprio del suo aspetto. Per fortuna oggi posso, grazie alla linea di prodotti Ayay – costola del brand di intimo Yamamay – dare un po’ di “amore dove non batte il sole” tramite una crema effetto lifting oppure con una crema sbiancante. E io che pensavo bastasse una visita ginecologica di routine. Ayay invece è “la prima linea italiana di gel, sieri, creme e maschere da applicare sulla pelle dove non batte il sole. Per svelarla con ancora più orgoglio”. Ovviamente l’orgoglio lo posso provare solo se la mia vulva è perfettamente depilata, sbiancata e rassodata, altrimenti è meglio se la nascondo. Il marchio italiano è solo l’ultimo arrivato nel grande mondo dell’“igiene femminile”.

Sono finiti i tempi in cui nel nostro intimo c’era, al massimo, Chilly. I nuovi prodotti sono sfavillanti e molto originali: spray con brillantini, profumi, uova di giada per fare esercizi per il pavimento pelvico, sieri, creme emollienti, fiale, deodoranti, olii. Il famoso e-commerce di bellezza Cult Beauty ha un’intera sezione del sito dedicata all’igiene femminile. Il nome trae in inganno: solo pochi di questi prodotti servono effettivamente per lavarsi o durante il ciclo mestruale, mentre per la maggior parte sono assolutamente superflui. Uno dei marchi più famosi, The Perfect V, ad esempio ha tra i suoi bestseller una crema illuminante per la vagina, perché forse non lo sapevate, ma il massimo del lusso oggi è abbagliare il vostro compagno o la vostra compagna non appena aprite le gambe.

Gwyneth Paltrow, che messa da parte la carriera cinematografica si è reinventata guru new age con il suo sito Goop, è forse la persona che più di tutte ha dato la spinta decisiva all’ormai fiorente mercato della cosmesi vaginale. Le notizie sulle sue stravaganti abitudini (dagli esercizi di Kegel da praticare con i cristalli al famoso caso del “vaginal steaming”) le hanno permesso di costruire un impero da 250 milioni di dollari. Dallo stesso milieu nasce la cosiddetta “yoni care”, dove yoni è il termine sanscrito che indica i genitali femminili e l’utero, impropriamente usato da centinaia di donne bianche convinte che infilare un uovo nella propria vagina o farle i suffumigi le riconnetta con i loro chakra. In un pindarico mix di pseudoscienza, esoterismo e appropriazione culturale, lo yoni care ha la stessa validità dei sali di Vanna Marchi, eppure ha generato un business molto florido.

Non è soltanto il fascino sempiterno di Osho abbinato a un corso di yoga un po’ troppo entusiasta a diffondere queste pratiche spesso pericolose. Se almeno lo yoni care si nasconde dietro quella parola passepartout che è “benessere”, quando parliamo di make-up per la vulva ci riferiamo a un problema estetico. L’imputato numero uno in questo caso è senz’altro la pornografia. Che il porno proponga standard di bellezza molto alti non è certamente un mistero, ma con la consuetudine della depilazione integrale, il miglioramento della qualità delle immagini e un generale cambiamento nelle scene pornografiche che si concentrano a volte esclusivamente sui genitali, ora anche l’aspetto della vulva deve rispondere a un criterio estetico, almeno nelle produzioni mainstream. Deve cioè essere glabra, bianca e soprattutto le piccole labbra (quelle più interne) non devono sporgere sulle grandi labbra (quelle esterne). La labioplastica, la riduzione delle labbra, è l’operazione di chirurgia plastica che ha il maggior tasso di crescita annuale (45%) ed è sempre più popolare tra le adolescenti. Un’altra operazione sempre più diffusa è quella del cosiddetto “ringiovanimento vaginale”, che serve a restringere l’ingresso del canale vaginale. Se per alcune donne, ad esempio quelle che hanno partorito o subìto un’episiotomia, si tratta di un’operazione motivata, molte lo fanno per essere più “strette”. È stato però dimostrato che la larghezza del canale vaginale non influisce sulla qualità dei rapporti, e anche che non è possibile che la vagina si allarghi “a lungo andare”. Allora perché queste donne pensano che sia indispensabile avere una vagina stretta? Forse per compiacere un immaginario maschile, alimentato dalla pornografia?

“Se si è insoddisfatte del tono della propria vulva, prima di fare un intervento chirurgico invasivo e che non risolverà la funzionalità, bisognerebbe fare una valutazione del pavimento pelvico e dei muscoli perineali,” ci spiega l’ostetrica e divulgatrice Violeta Benini. Anche le creme sbiancanti e rassodanti servono a poco se il problema ha natura fisiologica. “La vulva e l’ano hanno un loro colore specifico, e la natura l’ha messo lì per un motivo ormonale legato al corteggiamento. Anche gli animali, se ci pensiamo, hanno i genitali di colore diverso,” osserva. “Può capitare a volte che una donna con uno squilibrio con l’insulina produca più melanina e si scurisca, ma questo è un altro caso. Anche parlare di lifting è sbagliato: piccole labbra ed entrata della vagina devono essere rugose, perché a riposo stanno chiuse ma poi devono essere in grado di aprirsi. E nel caso in cui una donna noti che le piccole labbra hanno perso tono, una crema non è risolutiva: piuttosto si deve lavorare sui muscoli del perineo, che in alcuni casi faticano a trasportare la giusta quantità di sangue e le mucose ne risentono, come una pianta che non riceve abbastanza acqua e le cui foglie si avvizziscono. Qui bisogna valutare il messaggio che si vuole dare alle donne: è bella solo una vulva bianca, chiara e lucente? Forse, bisognerebbe lavorare di più sull’autostima”.

Anche l’ossessione per il profumo e la pulizia della vagina crea bisogni non necessari. Secondo un sondaggio della rivista medica JAMA Dermatology, l’84% delle donne si depila il pube e il 59% di loro lo fa per ragioni igieniche, pensando che i peli siano sinonimo di sporcizia o sciatteria. In realtà i peli fungono da protezione per i genitali, filtrando l’ingresso dei batteri, e sarebbe meglio evitare di rimuoverli completamente. Allo stesso modo, molte donne ignorano il fatto che la vagina sia auto-pulente, ma soprattutto che è del tutto normale che non profumi di sapone di Marsiglia per 24 ore al giorno. Solo un odore anormale ed eccessivo può essere un’avvisaglia di un’infezione in corso, ma il resto è prodotto dai feromoni che tutti emettiamo. Usare profumi, deodoranti o polveri profumate (magari gli stessi che usiamo per le ascelle) è un’idea terribile: negli Stati Uniti, 22 donne hanno ottenuto da Johnson & Johnson un risarcimento da 4,7 miliardi di dollari perché il talco che utilizzavano sui genitali avrebbe causato loro il cancro alle ovaie. La pubblicità alimenta in noi aspettative irrealistiche sull’igiene dei nostri genitali, già solo per il fatto che il sangue mestruale non è mai rappresentato in modo credibile ma sempre come un liquido dal colore rassicurante e “pulito”, come il blu. Approfittando dell’ignoranza e dell’insicurezza delle donne, le aziende riescono ad assicurarsi enormi profitti. Il mercato dell’igiene femminile vale 42,7 miliardi di dollari e, esclusi i prodotti per l’igiene mestruale, per un terzo è costituito proprio dai prodotti per la pulizia interna della vagina, che sono anche quelli che hanno visto il tasso più alto di crescita negli ultimi anni.

La cosa peggiore è che molti di questi brand hanno adottato una strategia molto subdola per convincerci che la nostra vulva debba sottoporsi a un necessario trattamento d’urto, ovvero quella dell’empowerment. Ci raccontano che prenderci cura della nostra vagina – ovvero averla esteticamente perfetta – sia un atto di amore nei nostri confronti, addirittura un atto femminista. È vero, il self care può avere un grande potere liberatorio, ma se a imporcelo è un sistema che ci dice contemporaneamente che la nostra vagina è importante, ma solo se è bianca, glabra, profumatissima e disegnata col compasso, da cosa ci liberiamo esattamente? Non ci rendiamo ulteriormente schiave di un’esigenza sociale che non corrisponde affatto a un bisogno reale?

Secondo Violeta Benini, la chiave è far capire alle donne che ogni vulva e ogni vagina è diversa dalle altre, che non esiste uno standard assoluto e che prendersi cura di se stesse vuol dire conoscersi. In un sondaggio nelle sue Instagram Stories, su cinquemila donne che hanno risposto, quasi duemila hanno detto di non apprezzare la propria vulva e sono moltissime quelle che non l’hanno mai guardata con uno specchio, non l’hanno mai toccata, non conoscono le parti anatomiche o non hanno mai visto quella di un’altra donna. I prodotti per l’igiene femminile possono aiutare le donne a prendere confidenza con il proprio corpo, ma certo non se si nascondono dietro espressioni da educanda come “dove non batte il sole” e “parti intime”, mentre tentano di venderci la liberazione sessuale. Quella la si fa solo prendendo consapevolezza di sé, del proprio corpo e di ciò che ci fa bene e ciò che ci fa male. Il capitalismo che si approfitta di noi, sicuramente, fa parte di quest’ultima categoria.

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