Il 70% dei bambini ha vissuto una violenza a casa. Un’emergenza di cui nessuno parla.

A distanza di alcuni mesi dalla morte del fratellino Giuseppe Dorice, ucciso dal compagno della mamma, Noemi continua ad avere paura di Tony Essobti Badre, che lei chiama “il lupo”. Lo ricorda spesso e fa disegni dai quali emergono tutti gli elementi della violenza subita. Ora che la bambina di quattro anni è al sicuro, in una casa famiglia protetta, può finalmente raccontare agli assistenti sociali quello che il patrigno faceva a lei e a Giuseppe. Purtroppo il caso dei due fratellini di Cardito è solo uno dei tanti che si verificano ogni anno in Italia, ma è tra i più drammatici per il comportamento omertoso della loro cerchia sociale: nessuno tra i compagni di classe, i vicini o i parenti ha mai denunciato le violenze quotidiane di Tony. La violenza domestica sui bambini è un’emergenza troppo a lungo trascurata nel nostro Paese. 

Le statistiche parlano chiaro: secondo l’ultimo rapporto della Onlus Cesvi tra il 60 e il 70% dei bambini compresi nella fascia di età 2-14 anni ha vissuto episodi di violenza tra le mura domestiche. La difficoltà ad ammettere che proprio nelle famiglie si verificano i casi più gravi dovuti alle conseguenze della malattia mentale conclamata, della rabbia inespressa, o dell’emotività fuori controllo, ci rende incapaci, a livello politico e sociale, di affrontare il problema alla radice e gestirlo con gli strumenti della prevenzione e della cura. “Nel nostro Paese,” spiega Paolo Ferrara di Terre des Hommes “abbiamo paura a parlare di violenza domestica contro i bambini per non mettere in discussione l’istituto familiare”. La spirale della violenza e l’asimmetria di potere si ripetono anche all’interno di nuclei apparentemente sani. “La violenza dentro le mura domestiche che continua a colpire donne e bambini, è ancora minimizzata e sottovalutata – spiega la psicoterapeuta Gloria Soavi nonostante i molti passi avanti è ancora radicata una cultura maschilista e poco rispettosa delle donne”. Negli ultimi dieci anni, il contrasto alla violenza di genere degli uomini sulle donne ha spesso trascurato la violenza sui figli. 

Secondo il dossier 2018 della campagna Indifesa di Terre des Hommes, in Italia 1.723 bambini sono stati vittima di maltrattamenti nel corso del 2017. Rispetto a dieci anni prima il numero di minori vittima di reato è cresciuto del 43% con 5.788 casi, l’8% in più del 2016. Il trend negativo è stato confermato nel 2018, quando il solo Telefono Azzurro ha dichiarato di aver gestito 1.416 casi di violenza con la linea per le emergenze 114 e 2.794 casi tramite il numero 1 96 96, per la maggior riguardanti segnalazioni di abusi e violenza domestica. Ma la cosa più preoccupante è che il presunto colpevole di abusi è nel 60% dei casi un genitore o un membro della famiglia, nel 10,1% un conoscente e solo nel 15,9% un estraneo adulto. 

Un’altra realtà allarmante e troppo sottovalutata è la natura trasversale della violenza familiare, diffusa in tutti gli strati sociali. Se il rapporto del Cesvi Liberitutti evidenzia che le condizioni di vita precarie e la disoccupazione dei genitori possono essere un fattore di rischio, Paolo Ferrara di Terre des Hommes sostiene che “non si può confinare la violenza sui figli solo all’interno di famiglie con un vissuto socio-economico precario”. La conferma che non si tratti di un problema limitato ai meno abbienti, nasce “dall’osservazione dei casi riferiti da pediatri e dagli psicologi con cui la nostra onlus si confronta quotidianamente”. La violenza familiare, insomma, ci riguarda potenzialmente tutti. Mentre in Italia l’argomento è ancora accompagnato dalla reticenza, in Europa il tema dei diritti dei bambini e della loro tutela è già da tempo sdoganato, soprattutto nei Paesi del Nord Europa, dove il dibattito pubblico ha portato all’istituzione di strumenti legali di protezione adeguati. In Germania, per esempio, esiste un’Istituzione nazionale per la prevenzione sociale della criminalità presso il ministero dell’Interno. A questa si affianca la Weisser Ring, organizzazione non governativa attiva dal 1976 che oggi conta 400 centri per il sostegno alle vittime. Questo approccio mira a combattere la violenza domestica, nelle scuole, quella razziale e ogni altra forma di violenza che ha potenzialmente gravi ripercussioni sociali oltre che sul singolo individuo.

L’impreparazione delle istituzioni italiane nel gestire quella che ha sempre più i contorni di un’emergenza è compensata dall’iniziativa della società civile, come nel caso del Telefono Azzurro, fondato l’8 giugno 1987. La onlus ha spezzato per la prima volta l’omertà domestica, mettendo il minore nella condizione di raccontare liberamente a psicologi e volontari le sue esperienze e le aggressioni subite, senza rischi di ritorsione. Un’idea tanto innovativa che il 18 dicembre 1990, con decreto del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, il Telefono Azzurro diventava un Ente Morale. Nello stesso anno veniva attivata la prima linea gratuita per i bambini fino ai 14 anni: il numero 1 96 96, oggi accessibile anche agli adulti. “Se la prima generazione di bambini e adolescenti chiedeva aiuto per situazioni di violenza e abusi, oggi,” dicono gli operatori del Telefono Azzurro, “le richieste si legano ad un aumento della violenza tra coetanei: bullismo (nelle sue diverse componenti) e dating violence”.

Per affrontare le problematiche relative alla violenza domestica, alcuni psicoanalisti relazionali, come l’americano Philip Bromberg e il collega Lewis Aron, hanno introdotto il concetto di “trascuratezza emotiva”, ossia tutte quelle azioni mancate da parte di genitori non empatici e anaffettivi. Non rispondere ai sorrisi del bambino, punire i figli con il silenzio, anche molto prolungato, e non mostrare un livello sufficiente di empatia, sono azioni che feriscono profondamente la psiche. In questo caso i bisogni fisici dei bambini sono soddisfatti, ma non quelli emotivi. La trascuratezza emotiva è pericolosa quasi quanto le percosse, dicono gli studiosi, perché produce danni di lungo periodo sull’autostima del futuro adulto.

Lo psicologo O’Hagan, nel suo saggio Emotional and psychological abuse: problems of definition, opera invece una distinzione tra abuso emozionale e maltrattamento psicologico: se il primo comporta da parte dell’adulto una reazione “emozionale stabile, ripetitiva e inappropriata all’esperienza del bambino, il secondo con la denigrazione verbale, le critiche e le svalutazioni, si configura più come risposta comportamentale attiva”. Ma ciò che fa davvero scattare il meccanismo della violenza domestica, secondo gli studiosi, è la frustrazione legata alla scarsa autostima degli adulti. L’incapacità di gestire la rabbia, di avere pazienza, di saper ascoltare i bambini e i soggetti più fragili del sistema relazionale (gli anziani tra questi), nascerebbe da una nevrosi e da una proiezione sbagliata. Come scrive la psicologa Cristiana Sciacca, “Mi piace partire sempre dal significato etimologico delle parole. Allora, cercando ‘Violenza’ troviamo: vis= forza, ciò che vince, distrugge, con la terminazione eulentus = che indica eccesso (come in opulento o virulento). Ecco qui che abbiamo ‘l’eccesso nell’uso di forza’”.    

 La paura di non essere apprezzati, la scarsa accettazione di sé e della propria fragilità, la tendenza ad attaccare fisicamente ciò che sembra mettere in dubbio il proprio valore di adulto, è la molla dell’impotenza che sfocia in abuso. È su questi aspetti che dovrebbero focalizzarsi la cura e prima ancora la prevenzione, con un sistema sociale in grado di educare gli adulti a dare significato alla propria emotività fuori controllo. L’educazione sentimentale è qualcosa di più di un romanzo di Flaubert: dovrebbe diventare l’abitudine a prendersi cura della parte meno conosciuta di ognuno di noi, quella che ha a che fare con le emozioni e la psiche, fino a farne una responsabilità sociale condivisa. 

Il genitore maltrattante, compresa la madre (che può essere allo stesso tempo vittima del marito e aggressore del bambino), quando aggredisce per un attimo si sente più “potente”. Questa illusione di potenza è una condizione psichica ingannevole che in quel breve lasso di tempo rende gli adulti più feroci, facendoli sentire invulnerabili. Lo stesso meccanismo scatta negli adolescenti che bullizzano i loro compagni, vittime di una specie di dipendenza da una finta sensazione di coraggio. Secondo il blog Genitoricrescono “È nostro compito, come genitori, trovare valvole di sfogo per la nostra rabbia che permettano di salvaguardare i bambini. E non perché altrimenti smetteranno di amarci, perché un bambino, per quanto maltrattato, continuerà ad amare i suoi genitori. Anzi, forse dimostrerà in modo anche più evidente il suo amore per paura delle nostre reazioni e del nostro giudizio”.  

I bambini abusati rimangono in silenzio e spesso si vergognano di loro stessi perché pensano di meritare le violenze subite. Infrangere il loro muro di silenzio e vergogna è compito degli educatori, della scuola e degli enti intermedi. Saper intercettare il loro disagio deve diventare una prassi, con servizi sociali tempestivi nell’identificare il malessere nei più giovani grazie a figure a ibride tra lo psicologo e l’educatore come il counselor, il life coach, o il facilitatore. Il rischio altrimenti è che a fronte di una psiche ancora in formazione, aggredita e non rispettata, soggetta ad abusi, si possa replicare all’infinito la stessa violenza subita. È arrivato il momento di spezzare questo meccanismo.

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