Sull’Ucraina, l’Anpi sembra aver stranamente dimenticato il concetto di Resistenza - THE VISION

L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, abbreviata Anpi, è una certezza monolitica. Senza i partigiani e la Resistenza al nazifascismo durante la seconda guerra mondiale non sarebbe nata la nostra Repubblica, la Costituzione e l’Italia per come la conosciamo adesso. Più che un’associazione è un collegamento familiare alle nostre radici, a quella memoria che non possiamo permetterci vada perduta. Memoria che, secondo lo scrittore statunitense Paul Auster, è “lo spazio in cui le cose accadono per la seconda volta”. L’Anpi non è soltanto una madeleine proustiana, ma ci ricorda che abbiamo la responsabilità di lottare affinché gli orrori del passato non si ripetano nel presente. Nel 2022, una mattina di febbraio gli ucraini si sono alzati e “hanno trovato l’invasor”: bombardamenti, civili brutalmente uccisi, città distrutte, carenza di acqua e cibo, donne violentate e bambini deportati. Di fronte a tutto questo ci si sarebbe aspettati una presa di posizione forte da parte dell’Anpi, ma a quanto pare la nuova linea del presidente Gianfranco Pagliarulo sembra interpretare il concetto di Resistenza in un altro modo.

Subito dopo l’invasione dell’Ucraina, l’Anpi in un comunicato ha sì criticato l’azione di Putin, ma ha aggiunto: “L’invasione russa dell’Ucraina è l’ultimo drammatico atto di una sequenza di eventi innescata dal continuo allargamento della Nato a Est vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia”. L’intera frase – e in particolare quel “legittimamente” – è stata un pugno allo stomaco per molti di coloro che hanno sempre condiviso i valori dell’Anpi, tra cui quello di distinguere chiaramente l’aggressore dall’aggredito e il pieno sostegno a quest’ultimo. La stessa Anpi, nel 2010, ha fatto partire una campagna di tesseramento appoggiata da artisti e intellettuali italiani come Gustavo Zagrebelsky, Margherita Hack, Andrea Camilleri, Paolo Sorrentino, Mario Monicelli, Dario Fo, Franca Rame e tanti altri, che aveva come slogan: “Io mi iscrivo all’Anpi perché la Resistenza non sia solo memoria del passato ma pratica del presente”. Ma questo presente oggi sembra sfuggire a certi nobili intenti.

Andrea Camilleri
Paolo Sorrentino
Dario Fo e Franca Rame

Pagliarulo, il mese scorso, ha lanciato un appello al governo Draghi: “Se l’obiettivo è la pace, non si risolve mandando armamenti”. Ma questo appare come un controsenso, perché senza armi la Resistenza dei nostri partigiani non ci sarebbe mai stata e l’Italia sarebbe rimasta incastrata nella morsa nazifascista. C’è chi da decenni tenta di fare del revisionismo storico ridimensionando la lotta partigiana con la frase: “L’Italia è stata liberata dagli americani, non da loro”. Certamente l’intervento delle truppe statunitensi è stato fondamentale per invertire le sorti della guerra, ma senza i partigiani non avremmo mai fatto i conti con le nostre “questioni private” di fenogliana memoria, cacciando non soltanto i nazisti, ma de-fascistizzando un Paese dopo un Ventennio mussoliniano. È stata una battaglia necessaria, anche violenta, inevitabile per non soccombere. Il concetto di Resistenza, però, è universale, non può limitarsi al nazionalismo. Non a caso Carlo Smuraglia, ex presidente nazionale e adesso presidente onorario dell’Anpi che ha vissuto la Resistenza sul campo, ha manifestato una posizione radicalmente diversa da quella di Pagliarulo, dichiarando che è invece necessario inviare armi agli ucraini perché “un popolo che si oppone a chi vuole dominarlo con poteri autoritari va aiutato a resistere”.

La senatrice a vita Liliana Segre ha deciso di intervenire in seguito alle polemiche scaturite dai comunicati poco chiari dell’associazione dei partigiani. Sopravvissuta ad Auschwitz quando era una bambina, Segre ha scritto una lettera all’Anpi che lascia pochi dubbi d’interpretazione. “Non è concepibile nessuna equidistanza; se vogliamo essere fedeli ai nostri valori, dobbiamo sostenere il popolo ucraino che lotta per non soccombere all’invasione, per non perdere la propria libertà”. Ha poi aggiunto che sostenere l’Ucraina è un dovere costituzionale, con queste parole: “L’articolo 11 della Costituzione ci insegna a ripudiare la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. E la resistenza del popolo invaso rappresenta l’esercizio di quel diritto fondamentale di difendere la propria patria, che l’articolo 52 prescrive addirittura come sacro dovere”. Anche l’Anpi nei giorni seguenti ha provato a citare la Costituzione, ma nel modo sbagliato.

Liliana Segre

Il manifesto dell’Anpi, realizzato per la celebrazione dell’imminente 25 aprile, disegnato dall’illustratrice e fumettista Alice Milani, ritrae una piazza dove alcuni partigiani, in compagnia di bambini, sono raccolti in cerchio. C’è una bandiera della pace appesa a un balcone e altre due bandiere italiane che sventolano sotto le finestre, anche se con le strisce messe in orizzontale diventano bandiere ungheresi. Non è tanto questo il problema del manifesto, ma la scritta che appare al centro dell’immagine, ovvero un passaggio dell’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra”. Mancano però le frasi successive dell’articolo, quelle citate invece da Segre sulla libertà degli altri popoli. Qualcuno potrebbe considerarla una svista, ma sommata alle varie dichiarazioni dell’Anpi sulla guerra in Ucraina si genera un’opacità che dà da riflettere, se associata all’associazione che più di tutte dovrebbe sostenere la resistenza di un popolo aggredito.

Il massacro di Bucha, con oltre 400 civili ucraini trovati morti con le mani legate e altri ancora dispersi, ha contribuito a nutrire sul web una serie di complottismi e teorie della cospirazione. All’inizio qualcuno ha parlato di messinscena, rilanciando le fake news sui “cadaveri che si muovono”. Poco dopo, però, tutte le ricostruzioni basate sulle testimonianze dirette e sulle immagini satellitari hanno confermato la strage. L’Anpi, al riguardo, ha scritto un comunicato nel quale ha sì condannato il massacro di Bucha ma ha anche chiesto “una commissione d’inchiesta internazionale guidata dall’ONU e formata da rappresentanti di Paesi neutrali, per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili”. Per come è formulata, non è chiaro se questa istanza rappresenti un invito diplomatico a perseguire a livello internazionale i crimini di guerra per punire Putin o se invece ponga un dubbio sulla tragedia. Anche in questo caso, infatti, sono nate polemiche in seguito al comunicato e persino dissensi interni, come nel caso della sezione di Bologna dell’Anpi che ha preso le distanze da Pagliarulo, definendola una “posizione non condivisa”.

Per lo scrittore portoghese José Saramago, “noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere”. Quello che ha sempre contraddistinto l’Anpi è stato il connubio tra memoria e responsabilità, un filo da tenere intatto anche quando gli ultimi superstiti della seconda guerra mondiale non ci saranno più. È questo il suo scopo: non la vetrina di un tempo ormai andato, ma il ricordo di una lezione per il futuro, per far sì che le nuove generazioni possano comprendere i valori della Resistenza e riconoscere l’orrore delle dittature, degli oppressori e di qualsiasi altra forma di vessazione. A questo proposito è stato chiaro il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che al congresso dell’Anpi di qualche settimana fa ha ricordato esplicitamente come il bersaglio di questa guerra sia proprio la democrazia (in Italia nata dalla Resistenza), parlando di un’aggressione ingiustificabile. Senza se e senza ma.

Sergio Mattarella

Noi italiani siamo legati all’Anpi come se fosse parte di un album di famiglia. Molti di noi hanno avuto genitori o nonni partigiani e certi tentennamenti odierni rappresentano una ferita, quasi un tradimento degli ideali. È come se la linea di Pagliarulo fosse più incentrata su un anti-atlantismo fuori tempo massimo, un concetto collaterale che non può intaccare però la natura della resistenza ucraina. Non possiamo permetterci di smarrire la trasversalità dei principi dell’Anpi, che vanno al di là di un’argomentazione geopolitica o di una divisione tra fazioni nello scacchiere mondiale. La direzione di certe battaglie deve essere univoca, senza ambiguità, anche perché gli eventi ci stanno portando di nuovo a doverci schierare. L’Anpi dovrebbe tornare a essere il faro della Resistenza, che sia italiana, palestinese o ucraina. Lo deve a chi ha combattuto per la democrazia, in alcuni casi cadendo in nome della libertà, e a chi è sopravvissuto.

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