L’omicidio del sindacalista Adil Belakhdim è un fatto gravissimo ma i politici lo hanno ignorato - THE VISION

Il 18 giugno, davanti al magazzino della Lidl di Biandrante, in provincia di Novara, è stato investito e ucciso da un camion il rappresentante sindacale Adil Belakhdim. Belakhdim si trovava davanti all’edificio perché il Cobas (Confederazione dei Comitati di Base, il gruppo dei sindacati di base non confederali) aveva chiamato a raccolta i lavoratori della logistica, settore che include tutti coloro che si occupano del trasporto delle merci, della loro gestione e del loro immagazzinamento. In quanto coordinatore dei Si (Sindacato intercategoriale) Cobas di Novara, Adil Belakhdim era in prima fila nella gestione e nell’organizzazione della manifestazione. Come riporta Si Cobas, durante lo sciopero un camionista ha forzato il picchetto dei lavoratori, travolgendo e schiacciando sotto le ruote del camion Adil. Secondo la ricostruzione dei carabinieri l’autista “spazientito dall’attesa, ha improvvisamente impegnato contromano la corsia di entrata, muovendo il mezzo con ripetute accelerazioni, nonostante i manifestanti fossero davanti al veicolo e pertanto chiaramente visibili dall’abitacolo”. Il camionista, un italiano di 25 anni, è fuggito, per poi essere fermato dai carabinieri con l’accusa di omicidio stradale e omissione di soccorso. Attualmente, si trova agli arresti domiciliari. Il fatto è avvenuto nella sostanziale indifferenza della politica. Fatta eccezione per la presa di posizione di Andrea Orlando, ministro del Lavoro, e per la richiesta del Presidente del Consiglio Mario Draghi di “fare luce sull’accaduto”, i leader dei principali partiti e altri politici di spicco si sono astenuti dal commentare. Giorgia Meloni ha fatto un po’ di redwashing con un singolo post su Facebook, mentre Matteo Salvini e Matteo Renzi hanno completamente ignorato l’accaduto. Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, si è limitato a ri-condividere su Facebook e ritwittare le dichiarazioni del ministro Orlando.

Adil Belakdim

È facile e rassicurante leggere quanto avvenuto come un tragico incidente, dall’esito casuale e non prevedibile. Per comprendere questa storia fino in fondo, però, bisogna guardare il quadro da una prospettiva più ampia. Allora si capisce come la morte di Adil Belakhdim non sia un’eccezione, ma un’espressione di situazioni lavorative precarie che portano allo sfruttamento e alla negazione dei diritti dei lavoratori, una violenza sistemica e nascosta che a Novara si è declinata nella sua forma più chiara e brutale. Questo fatto si inserisce infatti in una serie di altri processi e tendenze, che da anni stanno erodendo il diritto al lavoro sancito dalla nostra Costituzione e l’obiettivo di raggiungere per tutti un “decent work” come stabilito dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.

Innanzitutto, non è un caso che la morte di Adil Belakhdim sia avvenuta durante una manifestazione della logistica, settore particolarmente esposto negli ultimi anni. Si tratta di un ambito che ha avuto uno sviluppo straordinario in seguito alla globalizzazione, allo sviluppo delle catene di valore internazionali e all’aumento dei commerci. La ricchezza che ne è derivata non è stata però ridistribuita. I lavoratori della logistica continuano a essere considerati lavoratori di status basso. Si tratta nella maggior parte dei casi di uomini, molto spesso immigrati e con contratti a tempo determinato o comunque instabili, a causa dei frequenti cambi di appalto e delle prestazioni a chiamata. Una pratica che si è molto diffusa è quella del “beching”, ovvero “la prassi di lasciare i lavoratori diverse ore in attesa di essere chiamati per il lavoro, senza alcuna indennità o garanzia di convocazione”. Le difficoltà maggiori derivano dal cumulo delle mansioni, dai ritmi e dagli orari di lavoro e dalle condizioni salariali. Basti pensare al fatto che il diritto di fare una pausa di dieci minuti ogni due ore è stato ottenuto dai lavoratori del polo logistico di Piacenza soltanto due anni fa, mentre il contratto nazionale Logistica, Trasporto Merce e Spedizione è stato firmato dai sindacati confederati (Filt Cgil, Fit Cisl e Ulitrasporti), ma rifiutato dalle sigle di base, poiché prevedeva stipendi ritenuti non adeguati e una mancata progressione di carriera.

Anche le origini marocchine di Adil Belakhdim non sono purtroppo casuali. Lo sfruttamento dei lavoratori di origine straniera e dei migranti non è una novità, in Italia come nel resto del mondo. L’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) stima che ci siano 169 milioni di lavoratori migranti in tutto il mondo. Nonostante costituiscano il 5% della forza lavoro totale, questi lavoratori si trovano spesso, necessariamente o meno, a dover convivere con situazioni impiegatizie temporanee, informali e spesso prive di tutele. Sono mansioni che nella maggior parte dei casi non richiedono particolari competenze, e che sono quindi caratterizzate da bassi salari e un alto tasso di sostituibilità. Questi due elementi vanno a intrecciarsi, costruendo quello che Karl Marx definiva “l’esercito industriale di riserva”, ovvero la massa di disoccupati che, essendo sempre disposta a lavorare, permette di tenere a livelli bassissimi il costo del salario per il datore di lavoro, poiché qualunque lavoratore potrebbe essere facilmente sostituito con uno dei disoccupati “di riserva”.

La situazione si fa ancora più difficile nel settore dell’agroalimentare, dove a fianco del perdurare del caporalato si affacciano nuove sfide: secondo un rapporto del centro di ricerca IDOS, durante la pandemia di COVID-19 il numero di lavoratori sfruttati in questo settore è aumentato da 40mila a 55mila. Se nel periodo 2018-2019 il tasso di lavoratori irregolari nell’agricoltura era al 39%, durante la fase 1 dell’emergenza da Coronavirus questa percentuale ha raggiunto il 48%. Nella maggior parte dei casi, coloro che vivono le condizioni più difficili sono proprio i lavoratori migranti, che secondo il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali rappresentano ormai il 17 % dei lavoratori nel settore agricolo, mentre la media della loro presenza nell’economia nazionale si ferma al 10,5 %. In Italia, grazie all’azione sindacale e mediatica di Aboubakar Soumahoro, la situazione di sfruttamento dei lavoratori migranti e, più in generale, di tutti gli “invisibili” è riuscita a guadagnarsi spazio all’interno del discorso pubblico. Dopo l’uscita dall’Unione Sindacale di Base (UBS), Soumahoro ha fondato la Lega dei braccianti, diventando una figura centrale nel panorama italiano, una delle poche voci che riesce a schierarsi con forza dalla parte degli oppressi e degli invisibili. Tramite le sue azioni, dal discorso in Piazza del Popolo a Roma durante la manifestazione di Black Lives Matter fino allo sciopero della fame e della sete davanti a Villa Pamphilj, Soumahoro ha affiancato il necessario idealismo di chi vuole cambiare il mondo con la concretezza di proposte come la patente del cibo, riuscendo anche ad attirare l’attenzione dei media mainstream.

“Gli Stati Popolari”, Piazza San Giovanni, luglio 2020, Roma

La morte di Adil Belakhdim si inserisce, infine, nel solco delle politiche neoliberiste che certi partiti e imprenditori ancora nostalgici degli anni d’oro della deregulation si ostinano a sostenere, ormai inconsapevoli di come il mondo stia cambiando direzione: se anche il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden (storicamente un centrista e un moderato) rivendica l’importanza dei sindacati e invita gli imprenditori che si lamentano di non riuscire a trovare lavoratori a pagare di più i propri dipendenti, significa che qualcosa sta cambiando negli equilibri mondiali. Il rispetto per il lavoro e i lavoratori sembra però essere ancora un eccezione per larga parte della società italiana, come testimonia l’intervista di Guido Barilla che invita i giovani a “rinunciare ai sussidi facili” e “mettersi in gioco”. Gli fanno eco le scelte di alcuni governi europei, come quello greco guidato dall’esponente di destra Kyriakos Mitsotakis, che ha introdotto l’aumento della giornata lavorativa a 10 ore, calpestando così una delle pietre miliari delle lotte dei lavoratori. 

Aboubakar Soumahoro

Condizioni del settore della logistica, sfruttamento dei lavoratori migranti e stranieri e rigurgiti neoliberisti a livello internazionale: la morte di Adil Belakhdim si inserisce in queste tre tendenze, che dal piccolo della lotta sindacale in azienda arrivano alle grandi tendenze macropolitiche. Cosa più importante, però, è che la tragedia di Adil si affianca a tutti i casi che hanno segnato la cronaca italiana degli ultimi anni: la morte di Luana D’Orazio in una fabbrica tessile a Montemurlo lo scorso maggio, l’omicidio di Soumayla Sacko a San Calogero nel giugno 2018, i 306 morti sul lavoro nel primo quadrimestre del 2021 e troppi altri ancora. Tutti eventi drammatici legati da un filo rosso: la violazione del primo articolo della Costituzione, che fonda la Repubblica sul lavoro. Finché questo diritto non sarà veramente garantito, l’Italia sarà un Paese privo di un’autentica giustizia e pace sociale.

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