“Da piccola seguivo molto la moda e quando mi si è posto davanti il problema di cosa studiare, il primo pensiero è andato lì. Poi mi sono scontrata con l’ambiente della moda e ho visto pochi rapporti umani, molta competizione. Il pensiero fisso di molti sembrava solo quello di sfruttare gli altri. Non ce la potevo fare. Così ho studiato scenografia a Brera: mi sembrava un indirizzo abbastanza generico per imparare qualcosa, mentre capivo cosa fare.”

QUAL È STATO IL TUO PRIMO APPROCCIO CON IL LAVORO CHE HAI SCELTO?
Durante la scuola lavoravo con Joann Tan, una visual designer che collaborava con Moschino. Ho scoperto che si imparava molto di più sul campo che in aula. Ho iniziato a 22 anni e lavoravo a progetto – che per me è la dimensione ideale, mi sento soffocare all’idea di andare sempre nello stesso posto con gli orari fissi. Tra una chiamata e l’altra ho fatto altri generi di lavori, definendo sempre di più la mia strada.

COME SEI ARRIVATA A “TOILETPAPER”?
Ho conosciuto il team all’inaugurazione di una mostra. Ho iniziato a collaborare circa sei anni come set designer e ricerca props. All’inizio lavoravo sia per loro che con altre realtà, poi ho capito che non potevo seguire tutto, così ho scelto di dedicarmi principalmente a ToiletPaper.

È SEMPLICE PER TE ADATTARTI AL GUSTO DEGLI ALTRI?
Mi ritrovo molto nel linguaggio di ToiletPaper, non faccio fatica ad adattarmi. Faccio più fatica quando devo seguire uno stile più “basic”. In ogni caso, accetto senza problemi quando mi capita di seguire progetti dove non devo mettere niente di personale. La libertà assoluta è utopica, e in ogni caso preferisco averla nella vita più che nel lavoro.

CHE TECNICA HAI SCELTO PER LA GIACCA E DOVE L’HAI IMPARATA?
La tecnica che ho usato sulla giacca l’ho imparata lavorando con Joann Tan. Per l’applicazione sulle spalle ho fatto una trama all’uncinetto e ho annodato con un altro tipo di uncinetto i fili di lana grossa. Poi ho sfaldato i singoli fili con ago e pettine, per renderli più soffici. Lo stesso ho fatto con le due code, ho creato l’intelaiatura all’uncinetto con una tecnica diversa e poi ho annodato i fili e “pettinati”. Questa tecnica l’ho usata anche per creare il tappeto che ho in sala: ho comprato una base antiscivolo e ho annodato i fili.

HAI FATTO ALTRE PERSONALIZZAZIONI SUI TUOI CAPI?
Mi capita di farlo, o di far realizzare degli abiti che mi piacciono. Mi piace avere il mio pezzo e mi diverto a ricamare su capi che ho già, così evito anche di vestirmi come tutti gli altri.

QUANTE TECNICHE CONOSCI?
Diciamo che mi piace sperimentarne tante, ma sono discontinua. Voglio imparare le basi, e poi passare ad altro – l’ho fatto recentemente con la ceramica: ho studiato la tecnica, ho fatto dei piatti e poi l’ho abbandonata. È un discorso diverso quando si tratta di dover usare delle tecniche per lavoro, ma ultimamente uso sempre meno la manualità.

NE SENTI LA MANCANZA?
Non in modo eccessivo. La verità è che sono stata molto fortunata a trovare presto un lavoro che mi soddisfa. Non mi capita di tornare a casa frustrata perché faccio un lavoro che non c’entra nulla con me, per cui devo sfogarmi con la manualità. La uso solo ogni tanto, quando mi va, senza impormi obiettivi.

COME FUNZIONA QUANDO TI CHIEDONO DI FARE QUALCOSA DI MANUALE?
In realtà cerco di farlo sempre meno, perché spesso quando mi vengono richiesti lavori manuali, il cliente non tiene conto di quanto tempo ci voglia per realizzarli.

COM’ERI QUANDO HAI INIZIATO A LAVORARE?
Facevo tutto da sola, ma rischiavo di morirci. Impazzivo a cercare cose impossibili, anche oggetti che non venivano più prodotti ma che sembravano fondamentali per le persone per cui lavoravo. Ho fatto la stakanovista e non voglio più entrare in quella modalità, anche perché quando fai tantissimo, le persone ti chiederanno sempre di più. Ho imparato a dire “no, non si può fare”, e ho trovato un’assistente che lavorasse con me. Collaboro con una ragazza che si chiama Irene da quattro anni. Una notte ho sognato che voleva fare la mia assistente, il giorno dopo l’ho chiamata e lo è diventata.

COM’È L’ASSISTENTE PERFETTO?
Deve essere veloce e rapido di testa a trovare soluzioni. Se è anche automunito, meglio.

VORRESTI CONTINUARE IL TUO LAVORO FUORI DALL’ITALIA?
Sono sempre aperta a viaggiare per lavoro, ma non lo vedo come un obbligo. Tutti hanno sempre cercato di portarmi via, di dirmi di andare a vivere altrove, ci ho anche pensato ogni tanto, ma poi mi fermavo e mi dicevo: «Perché non posso fare cose fighe qua? Perché devo per forza scappare?». Mi sembrava che tutti facessero così perché era più “figo”, se non ti trasferisci all’estero sei sfigato. Io voglio stare a Milano. Mi rendo conto che è difficile, non è come stare a New York o altre città con mentalità più aperte. Mi sembra l’unica problematica, per il resto, voglio restare a Milano.

COSA DIRESTI A QUALCUNO AGLI INIZI CHE VORREBBE FARE IL TUO LAVORO?
Gli direi prima di tutto di andare alle feste, può tornare molto utile, o almeno per me è stato così. L’altro consiglio è sicuramente non prendersi troppo sul serio, e poi essere umili. L’umiltà non esiste più. Quando hai imparato gli strumenti lavorando, allora puoi iniziare a controbattere, ma prima non ha senso. E in ogni caso, anche quando si lavora da anni, vale sempre la regola di non prendersi troppo sul serio per quello che si fa.