I talent show li vince la tragedia, non la bravura - THE VISION

Nella scorsa stagione di Amici di Maria De Filippi c’era Morgan come direttore artistico di una delle due squadre del serale, quella bianca per la precisione. Il suo ruolo era quello di assegnare le canzoni ai ragazzi della squadra, ma le cose non sono andate come avrebbero dovuto e il cantante dei Bluevertigo ha optato per un’uscita di scena molto teatrale. Mancava solo una nuvola di fumo alle sue spalle e avremmo quasi potuto pensare che si fosse trattato di una scelta degli autori, cosa di cui in ogni caso potremmo ancora dubitare. Nella breve permanenza di Morgan dentro la scuola di Amici, c’è stato un piccolo episodio che è passato totalmente inosservato, coperto dal ben più succulento banchetto che si stava svolgendo tra liti in studio e ammutinamenti.

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L’episodio in questione consiste in una semplicissima constatazione di Morgan indirizzata a un componente della sua squadra, Shady, che in una lettera di presentazione si era limitata a manifestare il suo amore per la musica e per la cioccolata, senza raccontare particolari trame avvincenti della sua vita. Fin qui tutto tranquillo, se non fosse che, per sfortuna di Shady, gli altri concorrenti avevano delle storie molto più drammatiche alle spalle da mettere per iscritto, cosa che Morgan non si è trattenuto dal sottolineare. «Quello – ha detto, riferendosi alla lettera di un altro concorrente – parlava di problemi veri. E hai vinto [tu], solo perché ci sono io a proteggerti». Come a dire, e tu non ce l’hai la carta del dramma da giocarti? Perché si sa, quando c’è di mezzo la tragedia, la competizione prende tutto un altro sapore.

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Di talent ne esistono un bel po’, anche se il fenomeno si è leggermente ridimensionato negli ultimi anni. Quello che conquista noi spettatori è la sensazione di avere davanti una persona comune, con una storia che potrebbe ricordarci la nostra, ma che dentro di sé nasconde un gigantesco talento, un dono che finalmente potrà essere coltivato dal giudice o dal direttore artistico che lo condurrà come un maestro fino al successo. Nella realtà, ahimè, molti di questi spaventosi talenti, una volta conclusa l’esperienza in uno studio di Sky o di Canale 5, non riesce a ottenere ulteriore visibilità, sprofondando nel pozzo senza fondo degli ex concorrenti. Ma esiste una caratteristica che sembra aggiungere una stellina, una piccola nota di merito per chi decide di immolare la sua anima alla macchina tritacarne e tritatalento della televisione: la tragedia.

Come fa notare Morgan alla sua concorrente – svelando un meccanismo arcaico della riuscita del talent – ti serve l’aneddoto che non solo ti renda umano, ma anche disgraziato. Quasi a supportare ulteriormente la legittimità del tuo eventuale successo, un genitore morto, un fratello malato, un passato difficile, un presente precario, una nota di dramma nella tua esistenza al di fuori e prima del programma servirà da lasciapassare per conquistarti la fiducia e il supporto del pubblico. Lo sappiamo bene, del resto, che i fortunati stanno antipatici un po’ a tutti.

La televisione, lo dicevano Horkheimer e Adorno nel 1947, è una sintesi tra radio e cinema che, per semplificare molto, punta a una di quelle intraducibili parole tedesche, Gesamtkunstwerk, “opera d’arte totale”, dentro la quale ritroviamo tutto: parola, immagine, musica. Quale miglior esempio televisivo di questa sintesi se non lo sfarzoso spettacolo di XFactor, dove la vita è rappresentata attraverso i concorrenti con le loro spesso tragiche storie, la musica, le imponenti scenografie e il frenetico montaggio cinematografico? Rita Bellanza, la voce che ha commosso tutti nell’edizione corrente di XFactor, è la rappresentate perfetta di questa magnifica commistione televisiva tra narrazione cinematografica e musica che smuove gli animi. Ha appena vent’anni, un passato che conta ben tre adozioni, un’infanzia tumultuosa, una voce che fa addirittura piangere l’inscalfibile e graffiante Mara Maionchi. Levante con le mani fa il segno dell’arrivederci, come a dire leviamoci tutti il cappello di fronte a questo momento di arte, Manuel Agnelli sussurra un “porca vacca”, Fedez scuote la testa incredulo. Non è forse un attimo di puro ed efficace intrattenimento? Come facciamo noi che guardiamo a non immedesimarci nella storia toccante di Rita Bellanza, come facciamo a non sentire la sua sofferenza nelle note di Sally e dunque a farla schizzare in cima alla classifica delle preferenze?

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Anche l’esibizione di Andrea Uboldi segue lo stesso schema narrativo: il ragazzo ha solo sedici anni e si presenta con un pezzo rap che rimanda a un immaginario omerico, ma la storia di Ulisse è narrata dal punto di vista di chi è rimasto a Itaca, in questo caso una famiglia abbandonata da un padre alcolizzato che sembrerebbe aver preferito a loro la compagnia di una “cagna”, testuali parole. Anche qui, le lacrime non si risparmiano: Levante si riconosce nella storia del ragazzo, Mara Maionchi non si esprime ma gli occhi lucidi parlano per lei. E come dare loro torto, è praticamente impossibile non venire rapiti dal vortice dei sentimenti e della commozione quando la tragedia che prende atto davanti ai nostri occhi è così vivida e intensa. Certo, il suono di un pianoforte in stile Einaudi che invade gli studi non appena conclusa l’esibizione, la panoramica sulla standing ovation, i primi piani sul pianto, lo sguardo alla madre che da dietro le quinte osserva orgogliosa la rivincita di suo figlio: tutti questi elementi creano la messa in scena perfetta, e ci ricordano il valore di chi oltre a essere una persona normale, con una storia difficile, ha anche un talento. È per questo che lo guardiamo, del resto, no? Per calarci anche noi in quel momento di rivincita, un po’ per purificarci, un po’ per mettere in atto quel famoso meccanismo di catarsi che si innesca con la tragedia.

I programmi televisivi come XFactor o come Amici sono puro intrattenimento, pura finzione, nonostante si nutrano di una sostanza reale, quella delle persone che effettivamente hanno vissuto o vivono quello che raccontano. Ma questo è un compromesso che abbiamo già accettato da tempo e una riflessione a proposito richiederebbe molto più spazio di così. Quello che però bisognerebbe avere la capacità di tenere in conto è che a una storia tragica non corrisponde necessariamente anche una manifestazione dell’arte superiore, dando per scontato che quella che va in onda su XFactor sia arte. Per quanto Rita Bellanza sia una brava interprete – e sottolineo interprete perché le sue esibizioni sono esecuzioni di cover – il fiume di lacrime irrefrenabile dei giudici è ben posizionato e montato per darci l’input a seguirli nel piagnisteo, per empatizzare con lei e credere tutti insieme al magnifico sogno di rivalsa che diventa realtà. Siamo trascinati dalla trasmissione a tuffarci nell’oceano tragico della vita di questa persona, dando per scontato che da questo momento in poi un faro illuminerà il suo cammino di successo: ma è davvero così? Questo si vedrà in futuro e per pura scaramanzia solidale con questa ragazza non mi sento di fare una premonizione dettagliata. Lo stesso per Andrea Uboldi: era davvero così interessante il suo pezzo, o lo era di più il fatto che avesse una storia triste che lo rendesse tale?

Chiaramente, la biografia di ogni persona sulla terra ha in sé tratti più o meno drammatici, e l’arte senza dubbio ha proprio la funzione di sublimare la sofferenza in una nuova forma. Questa sofferenza però, nelle sue manifestazioni più commerciali, come appunto i talent, rischia spesso di essere convertita in uno spogliarello per telespettatori assetati di dramma, generando una certa confusione. Rita Bellanza è effettivamente così brava o sembra brava perché tutti piangono e quindi lo diventa in automatico? Anche il linguaggio di chi sta formando questi nuovi artisti si adegua alla retorica della verità, o forse della pornografia, dei sentimenti: Simona Ventura lo ribadiva sempre che un cantante doveva “arrivarle alla pancia”, e tanti usano la metafora del “mettersi a nudo”. E chi invece ha una storia tranquilla, nessun trauma particolarmente violento, una famiglia felice come fa, non potrà mai diventare un artista? Forse, più semplicemente, non potrà mai diventare un buon concorrente di talent.

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