L’unica cosa buona del film dei The Jackal sono gli effetti speciali - THE VISION

Sono sempre molto curiosa di vedere un contenuto di YouTube che si manifesta in una forma diversa da quella usuale. Da Greta Menchi a Sanremo a Willwoosh a Pechino Express, ogni volta che le gerarchie di internet vengono ribaltate dalla televisione o da qualsiasi altro mezzo abbiamo la possibilità di guardare sotto un’altra luce personaggi che fino a quel momento erano autori di se stessi. Questa volta è toccato ai The Jackal con il loro film Addio Fottuti Musi Verdi. Dopo aver guardato il film in una sala semivuota di un cinema in pieno centro di sabato pomeriggio, la mia sensazione è stata che l’esperimento sia discretamente riuscito per certi aspetti e rovinosamente fallito per altri. Solo che gli aspetti per cui  potrei considerare il film un esperimento di successo – ovvero gli effetti speciali e tutto il palese sforzo di renderli il meno fai-da-te possibile – sono talmente poco rilevanti che non salvano neppure il resto. Perché dovrei andare a vedere un film di un gruppo di videomaker napoletani se ho voglia di fantascienza quando posso tranquillamente guardare un qualsiasi prodotto Marvel realizzato con un budget molto più grande?

Il loro intento, da quello che dichiarano, è quello di portare una ventata di aria fresca al cinema Italiano con un film che si ripromette di essere una commedia di genere, una produzione fantascientifica ma anche una denuncia sociale. La risposta potrebbe essere dunque catalogata insieme alle solite manfrine sul fantomatico “respiro internazionale” della nostra scena cinematografica, discorso che vale anche per qualsiasi altra forma d’arte prodotta in patria. Ma guarda caso, l’unico film italiano che negli ultimi anni abbia effettivamente goduto di questo bollo di qualità grazie a un grandissimo successo all’estero è proprio un film che di internazionale ha solo gli stereotipi sul nostro Paese, ovvero La grande bellezza. Il problema con il film dei The Jackal è che, a parte questa ambiziosa spinta propulsiva verso un mondo di esplosioni spettacolari, del film rimane ben poco, a partire proprio dal pretesto iniziale della trama: la cara vecchia storia del trentenne italiano con mille lauree e senza un lavoro.

Già nel 2014 ci aveva pensato Sydney Sibilla con Smetto quando voglio a mettere in scena il manifesto generazionale sul tragico destino dei trentenni laureati che vengono fagocitati dal precariato, e fino a lì andava bene. Poi nel 2016 ci hanno provato pure The Pills a dare voce a questa orda di sfaticati con titoli di studio inutili che non sanno bene come inserirsi nella società a un’età in cui dovrebbero già avere una casa, un mutuo e un labrador in giardino. Nel loro caso, il film The Pills – Sempre meglio che lavorare non fu proprio un gran successo e il passaggio da internet a sala di proiezione fu abbastanza infelice rispetto alla qualità del loro lavoro su YouTube, nonostante si trattasse di un prodotto finale godibile e tutto sommato abbastanza divertente.

The Jackal ripercorrono il sentiero comodissimo dell’instabilità di una categoria sociale che un po’ non trova uno spazio per sé, un po’ non se lo vuole cercare. Così c’è chi va a Londra per trovare fortuna, chi lavora con i genitori per avere il culo parato e chi si dispera con i suoi master totalmente inutili. Ok, è chiaro che in Italia ci sia poco lavoro (discorso comunque relativo e abbastanza semplicistico se non approfondito), è chiaro che i trentenni potrebbero essere una categoria divertente perché sembrano ventenni che non si sono accorti di essere adulti, ma possiamo per favore cercare di dare un taglio a questa nauseante retorica del bamboccione che vive a due metri dalla mamma e che si sente inutile perché si è laureato in comunicazione anziché in medicina? Direi che sarebbe anche l’ora.

Se The Jackal hanno deciso di risparmiare in fantasia per quanto riguarda i temi trattati, andando sul sicuro con una serie di cliché (il lavoro che non c’è, la mamma che ti fa la parmigiana e ti dice “stai sciupato”, la ragazza che ti “friendzona”, la sindrome di Peter Pan etc.) ­– non si può dire lo stesso sulla la caparbietà con cui hanno prodotto un film basato interamente su citazioni e rimandi: un ben amalgamato pasticcio postmoderno. Esattamente come un video di YouTube con l’obiettivo di farti ridere non con i suoi contenuti, ma piuttosto con i suoi riferimenti ai film e ai personaggi che tutti conosciamo, dandoti l’illusione di appartenere a una cerchia elitaria di grandi intenditori di cultura pop, AFMV è un perenne rimando a qualche film, a qualche serie, a qualche fenomeno web. Persino il protagonista Ciro Priello sembra imitare un attore americano per tutta la durata del film con una dizione da BlockBuster anni ’90 che parla doppiaggese e usa delle espressioni facciali  caricaturali che dovrebbero renderlo una sorta di Jim Carrey partenopeo. È come se l’intero film fosse una strizzata d’occhio a un pubblico troppo pigro per ridere di contenuti originali, quindi meglio dargli un rassicurante umorismo già abbondantemente testato da internet. Alle persone piace Gomorra? Infiliamoci dentro una versione macchiettistica di Don Pietro e Jenny Savastano, ma sì che deux friteur magari fa ancora ridere qualcuno. I prediciottesimi con i ciccioni che volano sulle note di qualche canzone neomelodica? Troppo trash, che risate. Dire che Gigi D’Alessio fa schifo ci fa sentire dei grandi intenditori di musica: perché non ripeterlo per un’ora e mezza? La pizza con l’ananas: che schifo! Tiriamola fuori una decina di volte così tutti capiranno che stiamo parlando di quei video che girano su Facebook. Si contano pure una decina di battute a tema funzioni corporee che riempiono i momenti in cui non c’era abbastanza spazio per qualche richiamo alla sottile ironia di internet, dalla quale i The Jackal attingono a piene mani senza limiti.

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A questo punto la mia domanda è: i fenomeni di YouTube sono chiaramente il frutto di una visione più orizzontale e democratica dell’arte, essendo questo un mezzo che permette di emergere in modo slegato dalle classiche dinamiche di gavetta. Dunque, i The Jackal – così come gli altri che hanno deciso di passare al cinema – dovrebbero in qualche modo essere i rappresentanti di una nuova realtà cinematografica, le famose nuove leve. Ma in che modo questi si propongono come portatori di un nuovo stile se il loro è fondato solo ed esclusivamente sul riciclaggio di contenuti di internet? Che senso ha pagare un biglietto del cinema per vedere un insieme di battute e sketch che potremmo tranquillamente guardare su YouTube?

La novità del loro stile, allora, se non è basata sul contenuto, dovrebbe consistere nel fatto che propongono un cinema ambizioso, forse anche abbastanza velleitario, che abbonda di effetti speciali e temi fantascientifici, una scelta che sicuramente non sono in molti a fare in Italia, e che forse solo Mainetti con Lo chiamavano Jeeg Robot è riuscito a portare a termine con successo, quanto meno di pubblico. Ma il risultato qual è a parte essere una rivisitazione low cost – neanche particolarmente originale – di un qualsiasi film americano che parli di alieni? Se il cinema giovane italiano deve essere un coacervo di frasi e immagini prese dall’abbuffata di cinema americano che ha nutrito sicuramente molti di noi e un bel po’ di citazioni internettiane, non riesco proprio a vedere dove possa essere la novità. Direi che il posto più adeguato per i The Jackal in Italia continua a essere YouTube, poi magari nel frattempo in America qualcuno potrebbe anche avere bisogno di loro.

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