Cipro è l’unico posto in Europa in cui sta accadendo qualcosa - THE VISION

Tra i neologismi coniati negli ultimi dieci anni per descrivere modi e mode culturali della gioventù europea il termine Ostalgie è sicuramente tra i più interessanti: si riferisce al rimpianto di una idealizzata Germania dell’Est (Ost in tedesco), sentimento diffuso e improbabile perché quasi sempre nutrito, dichiarato, estetizzato da ragazzi nati tra gli anni Ottanta e Novanta, ventenni e trentenni che quando cadde il muro nel migliore dei casi guardavano alla televisione le rovesciate di Holly e Benji.

Nicosia

Ostalgie è la prima parola che viene in mente guardando la barricata di bidoni e pallet scheggiati che taglia in due Nicosia, e tutta Cipro. Cuore torrido del Mediterraneo, lontana migliaia di chilometri dal ponte sulla Sprea e dalla nebbia che sale attorno alla torre della radio berlinese, Nicosia è l’unica capitale europea rimasta spaccata a metà come una mela. Da una parte gli euro e la democrazia indipendente sancita negli anni Sessanta; dall’altra le lire turche, l’occupazione militare e un Paese riconosciuto esclusivamente dal governo di Ankara. Uno dei chioschi più frequentati della città si chiama Berlin n.2 e dietro al cuoco che farcisce pita e döner kebab c’è una tavola di legno incisa a grandi lettere: “Check Point Charlie”. Esattamente a lato della cucina si trova la garitta dei militari dell’Onu. A sorvegliare la cena all’aperto vigila un giovane casco blu, il mitra in braccio, lo sguardo perso.

L’isola è tagliata in due dal 1974, da quando le Nazioni Unite disegnarono la cosiddetta Linea Verde per separare gli abitanti di lingua e cultura greca dagli abitanti di lingua e cultura turca. Nel mezzo i morti, non pochi, le famiglie spezzate, le case abbandonate. Nella buffer zone rimase incastrata anche una città, Varosha, quasi una Rimini ma col mare più azzurro: evacuata completamente nel giro di pochi giorni, immobile nella desolazione da oltre quarant’anni, con le sdraio rovesciate sul bagnasciuga.

Nicosia non è divisa tra Est e Ovest ma, come Cipro intera, tra Sud e Nord. Nella parte Sud i visitatori stranieri passeggiano sul lastricato lindo appena rifatto, ma spesso devono invertire il senso di marcia e tornare indietro, perché la via si interrompe: ci sono i sacchi di sabbia e un cartello per ricordare ai passanti di non fotografare mai e poi mai i segni tangibili della lacerazione, pena il sequestro della macchina o del cellulare. Ma la gente ride, porta i bambini al parco, compra i sandali da Zara. Scontri non ce ne sono da decenni, l’atmosfera è rilassata. C’è un muro costellato di bandierine, da una parte striate in bianco e azzurro, dall’altra parte rosse con la mezzaluna. I gatti magri sono gli unici a spostarsi liberamente nel dedalo delle strade interrotte, indifferenti tanto alle litanie che si alzano dalla chiesa ortodossa di Panagia quanto al richiamo del muezzin sparato dall’altoparlante di Selimiye.

selimiye

Il muro c’è ma è comodo, facile da attraversare. Dal 2003, anno in cui sono stati aperti i varchi in centro storico, basta una carta d’identità per vedere cosa c’è oltre il posto di blocco: le stesse architetture squadrate nel tufo, le stesse acacie, le stesse fortificazioni veneziane. Solo i negozi sono più poveri, i marciapiedi più sporchi, i quartieri più vuoti, perché quanto è stato sventrato non sempre è stato ricostruito. A Nord l’apertura al turismo è recente, ci vorrà del tempo per uniformare pavimentazioni lucide e catene commerciali. L’Unione Europea, sebbene non riconosca l’autoproclamatasi Repubblica di Cipro Nord, per non scontentare nessuno stanzia fondi sia di qua che di là: recupera e restaura, i cantieri delle belle arti sono ovunque. Nel frattempo gli abitanti della porzione Sud, più ricchi e autoironici, o forse semplicemente più abituati allo sfruttamento del territorio, giocano con i nomi. Ripescano l’immaginario della Germania divisa, esorcizzano e al tempo stesso monetizzano la surrealtà della cortina.

Le cartine di Nicosia Nord ignorano la parte Sud, non tratteggiano neanche una via, come se quella metà di città non esistesse, completamente inghiottita. Lo stesso vuoto, invertito, si trova nelle cartine di Nicosia Sud, con una differenza sostanziale: il conflitto viene pubblicizzato in termini di attrazione. Le cause della separazione non sono esplicitate e non ci si spende in compassione, il focus è tutto sul dato fisico: sull’elemento perturbante inserito in un contesto di confort.

La mappa Use It – gratuita, ideata dai ragazzi locali e rivolta a un target under30 – dedica ampio spazio al walking tour che costeggia la Linea Verde. Le tracce della violenza arricchiscono le descrizioni dei club dove trascorrere la serata, diventano folklore, esotismo innocuo da vendere assieme a birra e patatine: «Local DJs plays on Fridays and people dance right next the sandbag barrier of the Buffer Zone». E alla gente piace scorgere in cima ai tetti i copertoni di una vecchia postazione da cecchino. Ballare vicino a un simbolo di morte fa sentire più vivi? Piace perché non c’è nessun pericolo ma si può fingere che ci sia, si può immaginare sé stessi dentro la storia. Piace perché la guerra, il sentimento della guerra, è diventato così lontano e astratto da rendere estremamente affascinante il filo spinato.

A Cipro non succede niente, veramente niente: a luglio in Svizzera s’è tenuto l’ennesimo meeting internazionale per la riunificazione, ma non è stato trovato un accordo. Eppure in questo niente l’isola resta l’unico posto in Europa dove si può provare in tutta sicurezza – diverso sarebbe andare nel Donbass – la sensazione che stia accadendo qualcosa. E la speculazione sulla tragedia che fu non è vergognosa, come non è vergognosa la curiosità che fa spiare il soldato col mitra in braccio, tra un morso e l’altro di kebab. Entrambe, speculazione e curiosità, demistificano, ironizzano, avvicinano con mezzucci e quindi allontanano dal male, da ciò che fa paura. Come un vaccino, una formula apotropaica, come sporgersi da un precipizio sapendo di non poter cadere. E quello che verrebbe quasi da pensare è che la Ostalgie, che rimbalza tra approfondimenti online e profili Instagram in bianco e nero, poco o solo in parte abbia a che fare con il brutalismo sovietico, con gli eroi per un giorno di David Bowie, con il fascino biondo di Ariane in Goodbye Lenin! – e molto abbia invece a che fare con la pacificazione annoiata del vecchio continente, con il senso di inutilità e vacuità generato da Schengen, con il desiderio dello spazio proibito, del limite invalicabile da valicare, dell’azione che si trasformerà in narrazione.

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