Perché la Chiesa ha avuto bisogno di creare il demone gender - THE VISION

La Chiesa ha in preparazione due documenti sulla cosiddetta “teoria del gender” – che, sia chiaro, non esiste – che saranno pubblicati entro due mesi al massimo. Uno firmato dalla Congregazione per la dottrina della fede e l’altro dalla Congregazione per l’educazione cattolica. La notizia è stata riportata da Aleteia, un network informativo di ispirazione cattolica, secondo cui, a rivelare l’esistenza dei due documenti, sarebbe stato l’arcivescovo Angelo Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’educazione cattolica, in occasione di un incontro all’Università Pontifica della Santa Croce. “L’educazione,” ha spiegato Zani in quell’occasione, “fa parte della missione salvifica della Chiesa e opera per ottenere la crescita integrale dell’uomo”. Per questo c’è tanta preoccupazione riguardo alla teoria del gender “che preconizza una società senza differenze sessuali, eliminando così le basi antropologiche della famiglia”.

Angelo Vincenzo Zani

Nelle poche parole di Zani è riassunta la ben nota posizione della Chiesa sul tema: la riduzione e parodizzazione degli studi di genere e del femminismo a un tutto indistinto – la teoria del gender – che mira alla distruzione della differenza sessuale; il mascheramento dell’ideale cattolico come discorso scientifico antropologico intorno all’uomo e, conseguentemente, l’espulsione di chi non aderisce a questa posizione nel campo del dis-umano.

Le parole di umana comprensione di Papa Francesco nei confronti degli omosessuali (sì, ma non troppo) hanno messo in ombra il fatto che, sui temi della liberazione sessuale e dell’emancipazione femminile, il suo pontificato è pienamente in linea con quello dei suoi due predecessori e che, anzi, ne sta accentuando i toni polemici e d’intervento sulla società.

È un dato di fatto che quella degli anti-gender sia una delle poche voci cattoliche oggi ben presenti all’interno del dibattito pubblico italiano. Forse dovremmo smettere di fare ironia su Salvini che se la prende con la principessa Elsa di Frozen e le fake news sui WhatsApp dei genitori circa le lezioni di masturbazione. Dal 2010 il movimento anti-gender ha riempito le piazze in Francia, Germania, Polonia, Croazia, Slovacchia e Italia, dove le destre nazionaliste ne hanno adottato il messaggio.

Commentando i risultati delle elezioni, il leader del Comitato “Difendiamo i nostri figli”, Massimo Gandolfini, ha applaudito al successo del centrodestra: “Tutti i leader dello schieramento, con toni e intensità diverse durante la campagna elettorale, hanno riportato al centro del dibattito la lotta al gender. Particolarmente premiati dal consenso, partiti come la Lega e Fratelli d’Italia che hanno sposato quasi completamente la nostra agenda.” Il titolo del comunicato è “Fecondate le forze del centrodestra”. Gandolfini probabilmente esagera la sua influenza e, tuttavia, è reale la capacità di inserirsi nel dibattito pubblico e politico, come dimostra l’elezione in Parlamento nelle liste della Lega di Simone Pillon, uno dei fondatori del movimento no gender in Italia.

Massimo Gandolfini

È stato tradotto recentemente in italiano La crociata “anti-gender”. Dal Vaticano alle manif pour tous, un breve saggio di Sara Garbagnoli e Massimo Prearo. Il testo, molto discusso in Francia, ricostruisce, dal punto di vista teorico e sociale, la costruzione di un movimento e di un’ideologia che sta formando una nuova identità di attivismo cattolico in Europa.

La teoria del gender è la più grande costruzione culturale della Chiesa degli ultimi trent’anni, una gigantesca fake news confezionata nel 2010 nel documento “Famiglia, matrimonio e unioni di fatto”. Questo ha permesso di riunire un fronte cattolico altrimenti disperso contro un unico bersaglio, che viene paragonato al marxismo da Tony Anatrella – prete, psicanalista, consultore del Pontificio consiglio per la famiglia e tra i polemisti più noti in questo campo – e definito il “Satana” sconfitto nel Novecento.

Tony Anatrella

Secondo Sara Garbagnoli, i prodromi del movimento anti-gender sono da ricercare nella reazione ai movimenti femministi quando, con Pio XII – pontefice dal 1939 al 1958 – il vecchio concetto di sottomissione della donna, ormai insostenibile, venne sostituito da quello di complementarietà. Ovvero: i due sessi hanno pari dignità di fronte a Dio, ma rimangono diversi e complementari. Partendo da queste basi, è durante il pontificato di Giovanni Paolo II che la specificità femminile viene esaltata come portatrice di virtù diverse da quelle dell’uomo, che sono essenzialmente tutte quelle riconducibili alla cura.

La bipolarità sessuale come fondamento dell’Umano e dato scientifico incontestabile è alla base dei documenti prodotti alla fine degli anni Ottanta dalla Congregazione per la dottrina della fede, guidata da Joseph Ratzinger, per affrontare la questione omosessuale. La lettera ai vescovi sulla pastorale nei confronti delle persone omosessuali, pubblicata nel 1986, afferma che gay e lesbiche vanno accolti con comprensione e delicatezza, ma tuttavia la loro “particolare inclinazione” è “oggettivamente disordinata”. E soprattutto: l’umana comprensione nulla deve concedere al riconoscimento delle loro unioni e legami affettivi. Il femminismo, negando la differenza sessuale, rischiava di portare a una visione legittima dell’omosessualità.

Date queste basi, lo scontro della Chiesa con il mondo esplode a metà degli anni Novanta, in occasione di due grandi conferenze Onu: quella del Cairo del 1994, dedicata ai temi dei diritti riproduttivi e sessuali, in cui si parla di aborto; e quella di Pechino sulle donne, dell’anno dopo. Se c’è un momento in cui la leggenda nera della “teoria del gender” pone le sue fondamenta, è questo. Per i movimenti femministi è un momento di forte visibilità e una grande opportunità di portare alla luce le discriminazioni subite, chiedendo un passo deciso verso la parità dei diritti.

Nel farlo, le donne portano a conoscenza del vasto pubblico il concetto di genere, secondo cui il maschile e il femminile, aldilà del dato biologico, sono due costruzioni culturali che determinano cosa è socialmente accettabile che una donna, o un uomo, facciano o non facciano, a seconda di norme sociali e consuetudini che come tali possono essere cambiate e contestate. Secondo queste femministe, nominare il genere vuol dire riconoscere le basi culturali della discriminazione, negando quella differenza ontologica che spesso impediva alla donna l’accesso a determinati ruoli di potere, la parità in famiglia e molto altro. La stessa alla base della teoria della complementarietà sostenuta dalla Chiesa, che infatti intervenne protestando contro una visione del mondo tale da “mette[re] in pericolo la dignità umana”. Dopo la Conferenza di Pechino, si rafforzò in particolare la polemica contro quelle che vennero definite “femministe del genere”; l’omosessualità come condizione non patologica dell’essere umano venne negata perché al di fuori della “naturale complementarietà” riproduttiva dell’uomo e della donna; e il corollario finì per estendersi a qualsiasi tecnica medica che modifichi la naturalità del concepimento come risultato dell’atto sessuale tra uomo e donna.

Tutto questo viene ridotto, e ricondotto, a quella che dagli anni Zero, autori come Anatrella, definiscono “la battaglia contro la teoria gender”, secondo la Chiesa l’ideologia di chi vuole cancellare la differenza sessuale, di chi afferma che ognuno di noi possa definirsi donna o uomo indipendentemente da vincoli fisici o imposizioni sociali. Nessuno studioso delle identità di genere ha però mai sostenuto niente di simile; nemmeno quelli con posizioni più radicali, come ad esempio Judith Butler. Queste ricerche erano un campo di studi sociologico poco conosciuto fino ad allora, contraddistinto da idee e posizioni molto differenti tra loro e il cui unico punto di contatto era la riflessione su come la percezione del corpo e dell’identità, i desideri e i ruoli sociali fossero culturalmente plasmati dalle società in cui viviamo e non il semplice risultato del nostro nascere uomini o donne. Tuttavia, l’uso di termini come “teoria del gender”, o “dittatura del gender”, in quegli anni ha trovato sempre più spazio all’interno dell’area cattolica per alimentare la polemica.

Nel 2003 questo intenso lavorio culturale è culminato nella stesura del Lexicon, un dizionario enciclopedico dei “termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche”. Si parla di “famiglia e democrazia”, “matrimoni omosessuali”, “accanimento terapeutico” e molto altro. La teoria del gender diventa per la Chiesa un’ideologia contro cui battersi perché mette a rischio non il cattolicesimo, ma l’intera civiltà. Una civiltà che è cristiana o non è.  E’ per questo che la battaglia contro il gender piace tanto alla destra nazionalista: facendo coincidere la civiltà tutta con la tradizione cristiana, alimenta la sindrome dell’assedio, la paura della secolarizzazione e rinforza il mito della purezza.

Se tutto ciò, nel 2018, ci sembra tanto incredibile, com’è possibile che  la battaglia contro il gender sia riuscita a portare decine di migliaia di persone in piazza in alcuni dei principali Paesi europei, fino a monopolizzare e plasmare il discorso pubblico al punto da farci discutere di una pseudo ideologia pronta a conquistare le giovani menti? L’ipotesi di Massimo Prearo è che, dalla fine degli anni Novanta a oggi, la rete delle parrocchie, i movimenti confessionali abbiano messo in moto un’opera di costruzione di consenso che solo anni dopo – intorno al 2010 in Francia e circa tre anni dopo in Italia – ha iniziato a manifestarsi pubblicamente. Questa opera di convincimento è stata portata avanti per mezzo di centinaia di incontri che, nel nostro Paese, hanno visto come principali protagonisti Massimo Gandolfini e Gianfranco Amato, due attivisti di punta del movimento ma che, significativamente, amano presentarsi agli incontri come “lo scienziato”– Gandolfini è neurochirurgo – e l’”esperto”, ovvero l’avvocato Amato.

Questi incontri – a cui Prearo ha partecipato – presentano uno schema ricorrente: nella prima parte si descrivono le evidenze scientifiche che “dimostrano” la differenza ineliminabile tra uomo e donna, spaziando dall’antropologia alla genetica; dopodiché si passa a spiegare la ”teoria del gender”, estrapolando concetti dal pensiero di intellettuali come Derrida, Simone de Beauvoir e Foucault e reinterpretando faziosamente le loro riflessioni in chiave cattolica. Nella terza parte della conferenza, c’è poi la deriva politica: viene spiegato come nelle scuole sia in atto un complotto che mira a distruggere la libertà di educazione delle famiglie attraverso l’instillazione di false credenze nei figli, ad esempio quella di poter decidere autonomamente se essere uomo o donna. Le leggi di riconoscimento delle unioni omosessuali farebbero parte dello stesso infido disegno, così come quelle che istituiscono il reato d’odio omofobico. Infine, c’è l’invito alla mobilitazione.

Questa la testimonianza di ciò che ha sentito dire Preano: “Parlatene con i vostri fratelli e le vostre sorelle, i vostri cugini, i vostri parenti, con gli amici e gli amici dei vostri amici. Avete una responsabilità in quanto cattolici e in quanto cittadini cattolici. Cosa direte ai vostri figli quando non si potrà più dire famiglia, quando gli omosessuali potranno comprarsi dei figli al mercato dei bambini e quando vi chiederanno ‘Papà, mamma, voi dove eravate? Voi, cosa avete fatto per impedire tutto questo?’”

Sembrava impossibile, ma a quanto pare ha funzionato. Sebbene gran parte del mondo cattolico rimanga refrattario alla crociata anti-gender, i semi di un’opposizione decennale alle battaglie per la parità tra uomo e donna e per l’affermazione dei diritti Lgbt sono germogliati in una minoranza fortemente motivata che, per usare le parole di Gandolfini, “ha fecondato” parte della destra italiana ed europea e che oggi può solo trovare conforto dai nuovi documenti che la Chiesa sta preparando; una faccia dell’identità cattolica europea che, saldata alla destra nazionalista, ha oggi un ruolo politico e sociale impossibile da ignorare.

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