E se diventassimo noi, generazione di declassati, la mafia del futuro? - THE VISION

L’ironia è l’unica arma che un borghese riesca a utilizzare. I ragazzini dei quartieri disagiati vanno in giro a ripetere battute e movenze di Gomorra? Niente panico: che ci volete fare, trattasi della tendenza delle classi subalterne a imitare i “cattivi maestri”. Dopotutto, anche a noi piace scherzare con il linguaggio dei gangster: indossare la maschera di Walter White a Carnevale, farsi crescere i baffi e i capelli à la Pablo Escobar. Ma noi lo facciamo con lo spirito del sarcasmo dello sberleffo. La nostra educazione è troppo potente, I nostri sensi di colpa troppo grandi per farci cedere al Lato Oscuro della Finanza. Eppure… ecco i fratelli Fredo e Michael Corleone discutere di donne e di famiglia ne Il Padrino: finalmente dei valori! Ecco il protagonista del videogioco Grand Theft Auto, che da spacciatore in bicicletta diventa milionario nel giro di settimane: finalmente un ascensore sociale! Sono finzioni, mondi virtuali, storie che non ci riguardano mai veramente. Ma sarà sempre così?

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Guardiamoci per un attimo attorno. Se le storie di crimine e di mafia non sembrano passare mai di moda, e fin dai tempi de Il Padrino giocano tra l’immedesimazione e la repulsione dello spettatore, lo scenario che ci attende adesso, fuori dallo schermo, è tutto tranne che rassicurante: una classe media tra le più impoverite in Europa negli ultimi vent’anni, una disoccupazione giovanile ancora a livelli paurosi, emigrazione a frotte verso altri lidi – quasi sempre più freddi – e il linguaggio del risentimento e della vendetta sociale che non fanno che diffondersi. Nascere borghesi: inadeguati a soffrire, non attrezzati per reagire, programmati per lamentarci e poco altro: bell’affare. Ovvio che ci faccia comodo un’astrazione. Ma forse, nelle storie inquietanti di reietti che tanto ci appassionano, non c’è solo una fantasia escapista, bensì il presagio del futuro che ci attende. Molto meno zuccheroso di come ce l’avevano dipinto i nostri genitori; molto meno “legalitario” delle coccarde che ci appuntavano sul petto durante le nostre Giornate Antimafia.

Trame di fuga

Se è vero che le spalle della classe media istruita sono troppo gracili per potersi sobbarcare le responsabilità di un’organizzazione criminale, è innegabile che il mondo dell’arte ci abbia solleticato come mai prima d’ora con formidabili linguaggi ambigui. Breaking Bad, ad esempio, aveva mostrato una via di fuga così ben narrata da risultare credibile.

Chi avrebbe potuto rappresentare meglio le frustrazioni dell’America suburbana di questo professore di chimica, dalla vita apparentemente perfetta, che a causa di una malattia improvvisa e dello shock che ne consegue volge lo sguardo al business degli stupefacenti? La sua è una scelta drammatica e, a tratti, incomprensibile. Non solo per gli sviluppi della trama, sui quali non vorrei soffermarmi: ma è stato ripetuto da più parti che, in fondo, White avrebbe potuto avere accesso alla migliore assicurazione medica possibile, puntare a un lavoro dignitoso anziché darsi al crimine, e persino accettare l’aiuto da parte di vecchi rivali inteneriti dal suo caso: la possibilità di scegliere la strada della legalità ce l’aveva avuta, e l’aveva rispedita al mittente.

Il cinema italiano ci ha provato, a raccontare parabole che da un lato ricordano quella di Breaking Bad e dall’altro la formula di Ocean’s Eleven, con ricercatori rimasti senza contratto, borsisti caduti in disgrazia, disoccupati con master e impiegati senza una lira che si ritrovano a fare concorrenza ai più pericolosi gangster della Capitale, a suon di droghe sintetizzate nei cantieri fermi della Metro e battute tipiche della commedia all’italiana. Del resto, ognuno fa la sua rivoluzione personale con i mezzi e il bagaglio culturale che ha a disposizione. A proposito di cultura: chissà se le drug gang del futuro continueranno a discettare durante i loro apericena di postmodernismo come facciamo noi, raccontando di come il filosofo Gilles Deleuze e lo psicanalista Félix Guattari spiegassero che il capitalismo è capace non solo di opprimere l’individuo, ma anche di liberarne le tendenze anarchiche (“desideranti”), o di come il marxista Jean-François Lyotard scandalizzasse i comunisti parlando di una “economia libidinale”, nella quale anche gli sfruttati riuscivano a godere dei modi in cui la loro vita veniva ordinata e accelerata.

Ed è proprio una particolare estetica del pensiero ora di moda nel mondo accademico anglosassone, che porta il nome di accelerazionismo, derivante appunto dal postmodernismo e dalle teorie di Lyotard, a suggerirci che in certi film e in certe serie tv è raffigurata l’unica rivoluzione possibile; la sintetizza il giornalista Adam Harper: “esasperare le qualità negative del regime attuale fino alla loro dissoluzione finale. Quindi anziché protestare contro il capitalismo, diventi più capitalista dei capitalisti”. Beh, forse è un po’ esagerato attribuire qualità accelerazioniste a personaggi partoriti da Cinecittà o da uno sceneggiatore americano. Ma se è vero che la Grande Recessione non basterà a riformare il sistema, e come diceva la Thatcher “There Is No Alternative”, forse il sabotaggio più geniale arriverà dalla goffaggine della classe media.

Riscoprire l’ebbrezza di infrangere la Legge, dunque, per sfuggire al declassamento. Sì, ma come? In una frase spesso citata di Noam Chomsky, si legge: “se la gente usasse le pistole, il governo userebbe i carri armati. Se la gente usasse i carri armati, il governo userebbe le armi atomiche”. Quello che voleva dire il famoso linguista radical americano è che, al di là di qualche scaramuccia in piazza, non c’è modo di affrontare certe ingiustizie con la sola forza bruta. Anche quando ci si sente legittimati moralmente. Nella partita tra gentiluomini con la spada e cafoni con la pistola di Cervantes, lo stato militarizzato e tecnologico ha acquisito oramai un vantaggio abissale, che non verrà colmato in tempi brevi. Se non, forse, da altre organizzazioni, ancora più criminali nella loro gestione della violenza.

Appunto: l’organizzazione. Scartata l’ipotesi di competere con i potentissimi cartelli messicani, e di riciclare le nostre skill di montaggio video e missaggio per realizzare ballate narcocorrido e raffinate riprese di tortura, restano ancora molti scenari possibili. Per esempio, si potrebbe immaginare una coalizione di proprietari di bed & breakfast sottrarre le case più prelibate dei centri storici alle famiglie a basso reddito che ancora vi abitano, organizzando trappole legali e minacce. Oppure, ex dottorandi che mettano insieme le proprie rendite e i patrimoni di famiglia per investire insieme ai rampolli più colti delle famiglie mafiose, magari nell’ennesima agenzia di comunicazione o in qualche alloggio alternativo per giovani studenti universitari. E ancora: ricatti di immigrati senza permesso di soggiorno da utilizzare nei lavori più sporchi, che il nostro buon gusto non ci consentirebbe di fare.

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Noam Chomsky

Anche la tecnologia sembra venirci incontro con offerte allettanti. L’economista John Maynard Keynes chiamava l’oro “parte dell’apparato conservatore”, in quanto materiale preferito dai rentier della prima metà del Novecento, che amavano l’austerity e temevano la svalutazione dei loro beni. Ma le riserve auree adocchiate dai Goldfinger del XIX secolo sono altre: il Bitcoin, ad esempio, che funge da totem simbolico per i cyber-anarchici, i quali idolatrano non soltanto la natura “apolide” delle criptovalute – non c’è una Banca Centrale a regolarle – ma anche la loro capacità di sottoporre il sistema bancario istituzionale a una certa disruption (“perturbazione”), che non a caso è uno dei termini preferiti dai capitalisti più cialtroni. In effetti, l’antagonista di James Bond celebrava il lingotto dorato perché, se il suo piano fosse andato in porto, controllando le riserve di Fort Knox avrebbe controllato l’intera potenza americana. Per una ragione esattamente speculare, i laureati in economia che sognano un futuro da banditi del Web celebrano il Bitcoin: perché sembra evadere (per ora) la sorveglianza dello stato e della polizia.

Le criptovalute sembrano convincere poco grandi colossi come Google o Facebook  ma sembrano far comodo alle lavoratrici del sesso più giovani, cam girls e dominatrix soprattutto. Anche altre forme di pagamento sembrano cascare bene col Bitcoin, a cominciare dalle droghe e i medicinali senza ricetta. Nessuno di questi attori economici sta immaginando una nuova società utopica: così come gli anarchici bombaroli italiani dei primi del Novecento furono soppiantati, in efficienza ed efferatezza, dai sindacati brutali degli Italian-Americans e dal controllo reticolare dell’immigrazione operato dalla Mano Nera, le bande Bonnot del futuro si limiteranno a operare furtivamente dentro al capitalismo.

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John Maynard Keynes

Se parlo di “mafia” e non di criminalità spicciola è proprio perché la sua peculiarità dovrà essere la capacità di fare network, anziché lanciare il singolo ribelle verso missioni suicide (o dritto in prigione). La differenza con i goffi personaggi un po’ anarchici, un po’ aristocratici portati al cinema da Totò la faranno l’applicazione all’indotto criminogeno delle competenze in grafici Excel, l’uso dei social in modo consapevole per deviare l’attenzione delle autorità, la capacità di darsi una struttura gerarchizzata e di creare, sia pure in piccolo, una cupola: con i suoi consiglieri, i suoi rappresentanti divisi per aree di competenza, i suoi esperti legali.

Classe media facinorosa

Fantascienza, dite? Mica tanto. Nella mia città, Napoli, l’accesso allo status tanto agognato dalla borghesia è precluso non solo a chi si è avventurato in professioni rimaste senza mercato – il filologo, il mediatore culturale, il letterato, eccetera – ma anche a chi sembra aver seguito percorsi, diciamo così, più sicuri: scegliere il mestiere dell’avvocato, ad esempio, presenta davvero il rischio di una vita terrificante, fatta di asservimento al dominus di turno e di orari di lavoro disumani, in cambio di paghe da 400 euro al mese, che a malapena coprono i contributi minimi obbligatori da versare annualmente alla Cassa di Nazionale di Assistenza e Previdenza Forense. Anziché collassare sotto le frustate di questo caporalato forense, molti avvocati oggi hanno scelto di gettarsi nella più redditizia delle attività economiche: la patatina fritta. Fungendo da prestanome o da socio di minoranza di qualche potentato camorristico, molti professionisti si ritrovano così partner in affari di qualche friggitoria, o “food store”, nel centro storico tutelato dall’Unesco. Se le cose non cambiano, potrebbero prenderci davvero gusto.

Nulla di nuovo sotto il sole. A differenza della criminalità organizzata campana, che in realtà nacque più come forma di controllo delle plebi urbane agli inizi del Novecento, la Cosa Nostra siciliana fu davvero una creazione tutta interna alla classe media. L’allora giornalista Sidney Sonnino in una famosa inchiesta del 1876 apostrofò i borghesi parassitari e senza scrupoli del post-Unità come “Facinorosi della classe infima”, a indicare quell’homo novus siciliano capace soltanto di far approvare leggi e commerci a suo favore, senza investire nulla in sviluppo e nell’economia locale. “Tutti i cosiddetti capi mafia sono persone di condizione agiata – scrisse il futuro primo ministro conservatore – niuna industria è per loro migliore di quella della violenza. Perché portano nell’esercizio di questa tutte le doti che distinguono la loro classe, e, in altri paesi, la fanno prosperare nelle industrie pacifiche: l’ordine, la previdenza, la circospezione; oltre ad una educazione ed in conseguenza una sveltezza di mente superiore”.

Certo i tempi sono cambiati: e non si capisce proprio dove potrebbero trovare il “peso” per esercitare una qualche violenza, anche solo politica, i figli dei baby boomers. Ma se mai la formula per l’illegalità contemporanea verrà trovata, questa trasformazione della borghesia non sarà certo uno snaturamento, bensì un ritorno alle origini. I giovani declassati di oggi potranno riempire le fila di un nuovo tipo di criminalità organizzata, fatta di “capitalisti senza altra scelta”, rappresentanti di quello che lo studioso Silvio Lorusso definisce entreprecariat, o l’imprenditoria fai-da-te, instabile, insomma della disperazione. Gente che si giocherà i patrimoni di famiglia in scaltre avventure speculative, nelle quali però solo ce la faranno in pochissimi: e cosa saremmo disposti a barattare? Educati alle buone maniere ma diffidenti nei confronti di concetti quali “Stato” o “legalità”, eruditi ma pieni di risentimento per le promesse non mantenute dalla società, queste associazioni di egoisti potrebbero metter su geniali sistemi di aggiramento della legge, per ritrovare in altre forme il proprio status quo umiliato.

I soliti ignoti (1958)

Rispettabilità, addio

Se il concetto stesso di illegalità vi provoca un brivido lungo schiena, mettetevi l’animo in pace: ce l’abbiamo già nel sangue. Chiedetevi se non vi risulta familiare questa scena: siete rimasti da soli in ufficio, è tardi, state per tornare a casa. Improvvisamente vi rendete conto di non avere più carta igienica a casa. “Beh, in fondo, sto facendo gli straordinari gratis, mi spetta”. E afferrate un paio di rotoli dal bagno. E, già che vi trovate, un paio di risme di fogli A4. Nulla di grave, ci mancherebbe. Ma non c’è dubbio che la tradizionale distinzione tra borghesia economica (che commette crimini per esclusivo guadagno personale) e classi deviate (che delinquono per chissà quale predisposizione) si basa su un ridicolo complesso di giustificazioni mentali. Questa borghesia nasconde le tasse offshore, compra merci contraffatte e poi le nasconde alla dogana, truffa sulle assicurazioni, pirata il software e ruba gli asciugamani negli alberghi. E commetterebbe qualunque atto delittuoso pur di piazzare i figli nella scuola che hanno scelto.

Uno studio commissionato una decina d’anni fa dai criminologi della Keele University in Inghilterra rilevò che ben due terzi degli intervistati avevano ammesso atti di disonestà (come pagare l’idraulico in nero e rubare vestiti in un negozio) e la percentuale più alta (70%) risultava essere nei due quartili con il reddito più alto, contro un 53% nella metà meno abbiente della popolazione. Di certo c’è che la virtù della rispettabilità borghese, mitizzata per decenni nonostante lo sfruttamento minorile, l’inquinamento, l’ipocrisia familiare, il sessismo e tante altre belle concessioni dell’Età vittoriana, è scomparsa fin dagli anni Sessanta, e in Italia comunque aveva attecchito meno che nel mondo anglosassone. Il libero mercato ci ha trasformato in esseri meno perbenisti e più desideranti. Le nostre piccole rivolte sono quelle della “gente”, in senso populista, consumista: la timidezza è finita, perché la bancarotta e l’arretramento sociale sono dietro l’angolo.

Ma, per quanto possa far sorridere, la mafia del futuro seguirà valori che la mafia dei baby boomers non conosceva: potrà conciliare lo sfruttamento di leggi repressive contro i profughi con il rispetto formale delle minoranze, il furto di corrente elettrica per minare criptovalute con la spazzatura differenziata. Immaginate una catena di Airbnb esentasse a Lagos, ma con squisite colazioni etniche per tutti i gusti. Una partita di droghe sintetiche trasportata su un SUV 4×4, ma con motore elettrico Tesla, e magari guidato pure da Google. Ci saranno delle aree in cui la moralità varrà meno che in passato, e altre in cui varrà di più. Si chiamerà riadattamento della civiltà occidentale.

Questa mafia 2.0 forse non potrà “aiutare” i suoi protetti a trovare un posto fisso nelle “megaditte” di fantozziana memoria. Forse non basteranno riti massonici o di sangue, agli Alberto Sordi del 2036, per impiegare i propri figli agli uffici del Ministero di turno. Eppure, potremmo trovare nella traiettoria grottesca della classe media del futuro le linee di un destino più imprevedibile e aperto all’avventura, rispetto quello che attendeva Fantozzi ragionier Ugo, matricola 1001/bis, nel momento in cui varcava la soglia dell’Ufficio Sinistri per la sua prima giornata di lavoro.

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