Se siamo ossessionati dai complotti è colpa di George Orwell - THE VISION

Di recente mi è capitato di guardare un video in cui un ragazza più o meno della mia età mi spiega perché dovrei assolutamente coprire la webcam del mio computer con un pezzo di nastro adesivo. All’apparenza, la ragazza non sembrerebbe né affetta da una forma di schizofrenia paranoica, né membro di qualche setta complottista, e le sue argomentazioni appaiono abbastanza convincenti. La ragazza è una giornalista e riporta dichiarazioni di membri dell’FBI che consigliano di non lasciare assolutamente la webcam del computer scoperta e interpella esperti del settore che ci assicurano che spiarci attraverso il nostro computer o attraverso i nostri smartphone sia molto facile. Benvenuti nel 2017, era in cui se qualcuno vuole guardarci mentre dormiamo o mentre ci spogliamo può farlo senza troppi problemi.

La prima sensazione che provo dopo aver guardato un video di questo tipo è un misto di paura e voglia di mettere me e tutti i miei cari in un bunker sotterraneo al riparo dalla malvagità di un qualche hacker che ci sta spiando dalla Siberia e si sta appuntando le nostre conversazioni più segrete. La sensazione immediatamente successiva a questa è molto più tranquilla: ma perché qualcuno dovrebbe guardarmi mentre dormo o ascoltarmi mentre parlo al telefono? Ma soprattutto, anche se lo facesse, in che modo questa cosa mi danneggerebbe se possiedo già un telefono, un computer e svariati account pieni zeppi di informazioni, foto, documenti personali che potrebbero essere tranquillamente a disposizione di qualcuno che li sappia trafugare? Ammesso che esista qualcuno così interessato alla mia vita privata.

Non si tratta di becero e superficiale complottismo da scie chimiche o da ipotetici sosia che hanno sostituito artisti morti – per quello c’è una lunga lista di conspiracy theories da consultare. È un sentimento che serpeggia anche nelle teste più razionali e si fa largo tra un immaginario che include personaggi come gli hacker, invisibili criminali che stanno a cavallo tra informatica e magia nera, e soprattutto loro, gli altri, i governi, i potenti, le lobby: non si sa bene chi siano loro, ma sappiamo che esistono e che prima o poi cercheranno in qualche modo di influenzarci, di spiarci, di sottrarci qualcosa o di obbligarci a fare qualcos’altro. Non serve essere un fervente complottista per abbracciare questo sentimento di paranoia, in fondo basta solo guardare un episodio di Black Mirror per entrare anche solo di passaggio in questo stato di allerta e di sospetto verso un gruppo di persone che non vediamo ma siamo certi che esista.

Chi sono dunque loro? Questo ovviamente non è ben chiaro, ma la letteratura e il cinema si sono impegnati molto a fornirci degli spunti per dare sfogo alla nostra immaginazione più diffidente, e il principe del sospetto non può che essere George Orwell, l’inventore per eccellenza di quel filone che avrebbe generato negli anni un sacco di finissime teste pensanti che non vogliono in alcun modo soccombere alla loro volontà.

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Infatti, 1984 è il primo di una lunga e articolata trafila di romanzi, fumetti, film e documentari che ci spronano a riflettere sulla realtà in cui viviamo, su cosa facciamo, sul perché lo facciamo ma soprattutto per chi. Con George Orwell, e prima di lui Aldous Huxley, ha inizio quella narrazione distopica che cavalca l’onda di un generico pessimismo nei confronti delle istituzioni e soprattutto la sensazione che qualcuno dall’alto ci stia guardando e pilotando contro la nostra volontà. Il Partito Interno, Il Partito Esterno, la Psicopolizia, la Neolingua: loro, i cattivi, ci guardano e ci controllano; noi, i buoni, dobbiamo ribellarci e opporci. Con cosa dovremmo sostituire il vecchio sistema oppressivo una volta liberati da loro però non è mai molto chiaro.

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Dagli anni di Orwell in poi ci sono state centinaia di rivisitazioni sul tema “Big Brother is watching you”, centinaia di altri potenti messaggi con l’obiettivo di metterci in guardia nei confronti di una tirannia che ci osserva e ci plasma. V per vendetta – che si tratti di un fumetto di Alan Moore o di un film del 2006 – ha addirittura trasformato questo sentire comune in un travestimento da indossare per mostrare al mondo circostante che no, noi non ci stiamo, noi non ci facciamo fregare da loro. Maschere di Guy Fawkes a tutto spiano sia da indossare nella realtà che come foto profilo su un social in segno di protesta, perché è il governo che deve temere il popolo eccetera, eccetera. Che sia un governo o che sia una telecamera di sicurezza, l’importante è stare attenti a non farsi plagiare, non dare spazio a chi vuole spiarci per ricattarci, dimostrare chiaramente che non siamo dalla loro parte. Banksy ci ha costruito una carriera su questo sentimento, con murales di videocamere di sicurezza che ci osservano maligne e la sua identità nascosta, che fa tanto eroe romantico della nostra generazione: un cavaliere mascherato che ci apre gli occhi sull’oppressione dei popoli. Indossiamo tutti una maglietta con un black bloc che tira una molotov piena di fiori, così finalmente i potenti si spaventeranno.

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Se Banksy può risvegliare le nostre coscienze con uno stencil,  alcuni documentari o video hanno il potere di cambiare radicalmente il nostro modo di vedere il mondo: mi ricordo ancora bene quando al liceo qualcuno mi disse che dovevo assolutamente guardare ZeitGeist per aprire gli occhi sulla verità che ci viene nascosta, sulla morsa che ci schiaccia, su quello che loro vogliono che crediamo. Sono passati un po’ di anni da allora, ma ancora nessuno è riuscito a darmi una risposta convincente su chi siano questi fantomatici altri, neppure la buonanima di Casaleggio, e ancora tantissime persone non riescono a fare a meno di volermi convincere che le telecamere di sicurezza ci spiano, che la webcam del computer serve per ricattarmi, che dal mio telefono qualcuno mi possa ascoltare. Sarà che non ho gli occhi abbastanza aperti per smettere di credere alla regola che se non hai nulla da nascondere al massimo puoi solo sentirti più sicuro se c’è una telecamera che ti riprende, sarà che non mi sento abbastanza rilevante sulla terra da pensare che qualcuno voglia spiarmi dalla mia webcam, sarà che sono troppo presuntuosa per pensare che qualcuno possa realmente controllare la mia mente. Semplicemente, non credo che qualcuno vorrebbe guardare una comune persona che dorme attraverso la sua webcam a meno che non si tratti di un personaggio pubblico o di una figura che valga effettivamente la pena spiare ed eventualmente ricattare. E anche se così non fosse, riempiamo quotidianamente i nostri social con vagonate di informazioni private, possediamo tutti uno smartphone pieno di foto intime, uno smarphone dotato di GPS che dice sempre dove siamo.

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