Come l’hashtag anti-alleanza PD M5S è stato manipolato artificialmente - THE VISION

“I media parlano di vinti e vincitori, ma cosa ne pensano gli elettori?” Questo è quanto si chiede Wired alla luce del polverone alzatosi riguardo la recente conquista della twittosfera dell’hashtag #senzadime, il rifiuto del popolo del Pd alla possibilità di un’alleanza con il Movimento 5 stelle. E quale modo migliore per sondare l’umore dell’opinione pubblica di Twitter, piattaforma di rinomata limpidezza e verità? La Repubblica non lascia spazio a dubbi: “Il senso dei cinguettii è univoco, il suono potente”, “L’urlo collettivo” del popolo del web ha decretato che l’alleanza non si deve fare. Il Corriere della sera ricostruisce la genesi di #senzadime, Sky dedica all’hashtag un servizio e Tgcom24 titola “Twitter contro lʼalleanza Pd-M5s”. Del resto, ignorare quello che è diventato un trending topic equivarrebbe a rifiutare la volontà “Di quella parte di elettori, base del partito, contraria all’accordo.”

Oppure si potrebbe andare a vedere la composizione di questo “urlo”, per poi scoprire che non è poi così collettivo quanto sembra. O meglio, che a farlo diventare un urlo e non un altro hashtag ignorato come tanti altri non sono stati “i delusi”, per quanto ne siano poi diventati parte, ma un numero esiguo di account curiosamente attivi. C’è, per esempio, @Monica64512055, che decide di aprire un account su Twitter alle 2:26 am del 7 marzo di quest’anno, e che l’11 dello stesso mese twitta 1080 volte in una singola giornata. Considerando che i ricercatori dell’Oxford Internet Institute indicano 50 tweet al giorno come un indicatore di “automazione pesante”, il dato ci fa venire qualche dubbio. Se poi si considera la sua straordinaria dedizione alla causa anti-grillina, i dubbi iniziano ad abbondare: in 4 giorni (dal 7 all’11 marzo) Monica diffonde l’hashtag #senzadime (e #senzadinoi) 985 volte.

Di dati curiosi ce ne sono tanti. Per esempio quelli messi in evidenza dal grafico sottostante, in cui la dimensione degli username corrisponde alla loro attività nell’uso dell’hashtag in questione. Risulta quindi che sui primi 1000 tweet che hanno portato #senzadime alla fama mediatica, 519 provengono da 8 account. Lo abbiamo paragonato a un altro hashtag di cui conosciamo l’autenticità, avendo partecipato alla sua creazione. I primi 1000 tweet dell’hashtag #nocapitulation, nato contro il taglio alle pensioni di docenti universitari in Gran Bretagna, sono stati diffusi da 567 utenti diversi, contro i 261 di #senzadime. Ancora più chiaro, il contrasto che riguarda gli account che mostrano maggiore attività: gli stessi 519 tweet che #senzadime raggiunge con soli 8 account sono invece diffusi da 136 utenti nel caso di #nocapitulation.

Analizzando gli utenti più attivi si trovano poi dei casi che gettano altri dubbi. Personaggi come @renziani, che nelle 4 ore e 20 minuti che servono a #senzadime per raggiungere 1000 tweet lo diffonde 124 volte. O come @mariadesoli, che invece pubblica l’hashtag 105 volte nello stesso arco di tempo. Attività curiose, specialmente se provenienti da account altrimenti poco vivaci.

Una semplice analisi su Twitonomy ci mostra un comportamento particolare a ridosso delle elezioni, con un picco di 99 tweet il 2 marzo, cui seguono 3 giorni di relativo silenzio, per poi saltare a 177 tweet il giorno in cui viene creato l’hashtag #senzadime. Coincidenze, forse.

Così come potrebbe essere una coincidenza che @renziani si comporti in maniera simile: 169 tweet il 2 marzo, tre giorni di riposo, e 176 tweet il 6 marzo. E allora vale la pena sottolineare anche l’attività di @RoscioliTerry, anche questo tra gli 8 account più attivi. Lo schema è facile da riconoscere.

Ma le coincidenze non finiscono qui. Tra gli 8 account che insieme pubblicano la metà dei primi mille tweet compare anche @antonellamanili, il cui improvviso interesse per le opportunità offerte da Twitter per fare politica ha un che di particolare, come mostra il grafico sottostante. Per più di quattro anni questo account si tiene in media al di sotto dei 10 tweet all’anno; poi, a marzo 2018, raggiunge quasi 150 tweet in un giorno.

Così come è particolare che il tweet di un account che ad oggi, 20 marzo, conta un centinaio di follower abbia ricevuto 733 like e 199 retweet. Sono pochi meno di quanti ne prende Giorgia Meloni, che ha 655.000 follower, presentando i nuovi parlamentari del suo partito.

Certamente c’è stato, tra gli utenti, chi ha condiviso questo hashtag con genuino interesse; molti account mostrano comportamenti che possiamo riconoscere come “umani”, sia per la tipologia di profilo che per il numero di tweet. Inoltre, tra i primi 71.000 tweet, sono 13.355 gli account diversi che si sono preoccupati di diffondere il messaggio riassunto nell’hashtag #senzadime. Ci è ormai chiaro, però, che – nonostante il mistero che avvolge gli algoritmi di Twitter – il successo di un hashtag dipenda in larga parte dalla produzione di un numero elevato di tweet in un periodo ristretto di tempo; una produzione che può essere gestita anche attraverso pochi account. La popolarità di quell’hashtag dipende anche dalla sua circolazione orizzontale, ma questa diffusione non può verificarsi senza che l’hashtag abbia raggiunto una visibilità che vada oltre la cerchia di persone che l’ha ideato.

Il nodo della questione si trova in questo dettaglio: un numero limitato di persone particolarmente attive può trasformare un sussurro in un “urlo collettivo”, come si è visto in questa, e in altre occasioni, anche per mancanza di analisi da parte dei giornalisti. Il giornalismo di oggi si alimenta naturalmente di ciò che trova larga diffusione sui social media, e non può non farlo; ma i numeri dei social media non possono essere interpretati correttamente senza un’accurata analisi che consideri la facilità con cui si possono manipolare gli hashtag: può infatti accadere che sui primi 71.000 tweet sopracitati, 35.000 siano stati fatti da 500 persone. “Dettagli” che non possono essere trascurati, soprattutto considerando il comportamento degli account più attivi, un numero esiguo, che non possono essere descritti solamente come bot, ma che alternano attività “umane”, come tweet personalizzati e risposte ad altri tweet, ad attività automatizzate, destinate unicamente a ripetere in maniera meccanica il tweet in questione. “Dettagli” che indicano la presenza di un tentativo concertato di manipolare la rilevanza di un hashtag, tradotto poi dai più importanti media del Paese come il sentimento di una parte dell’elettorato del Pd. Quanto questi account abbiano contribuito alla diffusione dell’hashtag è difficile da quantificare con precisione. Quello che possiamo dire con certezza è che senza di loro non saremmo stati qui a parlarne.

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