Come il Clan Spada e CasaPound si sono presi Ostia - THE VISION

Il paesaggio che scorre veloce dai finestrini mentre si percorre Via Cristoforo Colombo da Roma a Ostia cambia progressivamente. Passa dai centri commerciali dell’Eur ai palazzoni grigi e rosa di Acilia, fino alla pineta arsa di Castel Fusano. E poi diventa tutto a un tratto una striscia blu di mare appena arrivati a Ostia. Mare blu e cemento grigio, che sembra schiuma di un’onda mentre si infrange sugli scogli.

Ostia non sembra Roma. Sembra una cittadina autonoma più che un quartiere del X Municipio sciolto per mafia nell’agosto del 2015. Chi la conosce sa che queste vie sono attraversate da dinamiche umane, storiche e sociali diverse da quelle della Capitale, tanto che i cittadini si definiscono ostiensi anziché romani.

Nella storia d’Italia non era mai successo che un Municipio venisse sciolto per mafia. Il fatto che ciò sia successo proprio qui testimonia come il lido di Roma abbia dinamiche autonome, e che per questo abbia funzionato bene come parafulmine delle responsabilità del Campidoglio. Per un romano è ancora facile illudersi che a Roma la mafia non esista: al massimo esiste a Ostia, a sufficiente distanza di sicurezza dalla muraglia difensiva del Grande Raccordo Anulare.

Per chi viene da Roma, Ostia appare come una tranquilla cittadina di mare, con ritmi lenti scanditi dal suono delle onde del mare. Ma in realtà dietro ai palazzi corrosi dalla salsedine esiste una fitta rete di interessi criminali fatta di usura, droga, sangue e tangenti. Le meccaniche criminali del lido sono infatti storicamente manipolate dalle famiglie Fasciani, Triassi e Spada, che negli anni hanno messo le mani sul commercio, l’imprenditoria e gli stabilimenti balneari, imponendo il proprio dominio con forza e violenza.

Il commissariamento

“Tenuto conto degli elementi di valutazione emersi dalla relazione del Prefetto e da quella della Commissione, ho proposto lo scioglimento del X Municipio di Roma Capitale al Consiglio dei Ministri. Il Consiglio dei Ministri ha approvato”. Era il 27 agosto del 2015 quando l’allora Ministro dell’Interno Angelino Alfano annunciava con queste parole il commissariamento del lido romano. Si trattò di una decisione storica: prima di allora erano state sciolte solo Province, aziende sanitarie e Comuni. “Da quel giorno le istituzioni sono sparite, e il Campidoglio qui è lontanissimo”, racconta una cittadina mentre passeggia lungo la spiaggia.

A sostituire la Giunta municipale è stato il prefetto Domenico Vulpiani, ex capo della Digos e già Prefetto di Roma. Il suo operato si è incentrato sull’indebolimento e lo sradicamento del crimine organizzato lungo la costa romana. Lo scorso aprile il Prefetto faceva sapere alla stampa che una reazione positiva della cittadinanza c’era stata, che le denunce andavano aumentando. Ma nel X Municipio i problemi persistono.

Nonostante le concessioni revocate e le misure emergenziali, le famiglie che contano sono ancora lì. Ma, nel frattempo, la cittadinanza ha perso fiducia nella politica e nelle istituzioni. “A livello sociale il commissariamento ha contribuito solo ad aumentare la distanza tra cittadini ed amministrazione. Il Municipio si è barricato. Il dialogo con un Prefetto è difficile di sé, e inoltre Vulpiani non si è dimostrato particolarmente aperto al dialogo” ci spiegano Jessica Todaro e Jacopo De Luca, volontari della onlus L’Alternativa, tra le più attive nel X Municipio.

L’immobilismo ha arrecato danni ingenti al turismo, al commercio e al tessuto sociale di Ostia, creando disincanto e disillusione. “Il fatto che il commissariamento non abbia generato effetti – aggiungono dall’associazione – ha portato le persone a credere si stesse meglio prima. Un po’ come se una cura sbagliata portasse a ritenere che la malattia non esiste. E gli unici a guadagnarci sono ancora una volta i soliti noti”.

Il lungomuro

Uno dei simboli che meglio rappresentano i danni creati dai tentacoli del malaffare è il lungomuro, una lunga distesa di calce e mattoni che per chilometri impedisce l’accesso al mare. Il mare, con le sue spiagge in cui ogni estate si riversano in migliaia i romani, è infatti parte integrante di Ostia e degli interessi criminali che la muovono.

Secondo gli inquirenti, l’infiltrazione nel mondo degli stabilimenti è diventata prassi regolare. E mentre le sentenze della Magistratura continuavano ad indebolire il potere dei clan, Vulpiani riscontrava irregolarità negli stabilimenti ogni cento metri: un vero record.

L’associazione antimafia Libera ha tentato di portare un simbolo di legalità nelle spiagge ostiensi con la Spiaggia Libera SPQR, ottenuta in affidamento con bando pubblico insieme a Uisp. Ma perfino il tentativo di creare una spiaggia libera all’insegna della legalità e dell’antimafia è fallito sotto i colpi ripetuti dell’opaca burocrazia lidense e dei neofascisti di CasaPound, che con un blitz a favore di telecamera hanno lamentato presunte irregolarità edilizie. “È come se una macchina enorme e complessa si sia mossa contro di noi e la fine della nostra esperienza fosse già decisa in partenza, perché nessun cambiamento potesse mai proporsi”, commenta Marco Genovese, referente romano di Libera. Nell’aprile del 2016 Libera e Uisp hanno pertanto deciso di interrompere il progetto con un anno di anticipo rispetto a quanto previsto dal bando. Erano emerse carte di vecchi abusi dei precedenti gestori, ordinanze di demolizioni mai eseguite o verificate, tutte omesse dal bando e mai rese note  né a Uisp né a Libera. Il bando è stato poi annullato.

Ma la criminalità non ha allungato i propri tentacoli solo sul mare. Usura, spaccio di droga, racket delle case popolari sono affari assai prolifici per le famiglie del territorio. “A Ostia la mafia c’è, la vivi. La vedi al bar la mattina e la sera in palestra, sai dov’è di casa. La mafia crea spaccature sociali perché c’è chi non reagisce per paura, chi tace per interesse e chi invece si ribella”, ci spiega un giovane, che chiede però di rimanere anonimo per paura di ritorsioni.

Chiediamo a un negoziante quanto danno crei il racket, ma non ci risponde: in questa terra è difficile trovare chi si espone davanti a dei giornalisti. Una ragazza ci racconta le proprie incertezze: “La mafia qui crea posti di lavoro, e si è sostituita allo Stato e alle istituzioni. Ma a quale prezzo? E soprattutto, perché deve essere la mafia a creare quei posti di lavoro? Perché non sono lo Stato o l’imprenditoria sana a crearli?”.

Il prete antimafia

Dopo due anni di commissariamento, il 5 novembre i cittadini del X Municipio andranno al voto. Tra le varie figure che si presenteranno alle prossime elezioni vi è anche quella di Don Franco De Donno, storico parroco della chiesa di Santa Monica. Nel 2002 Don Franco ha fondato insieme a Tano Grasso uno sportello antimafia, antiusura ed antiracket dietro incarico del Comune di Roma.

Ci spiega che per contrastare la mafia, la politica deve prima ottenere una autorevolezza che le consenta di portare il crimine organizzato in un vicolo cieco. La chiama la “teoria dei bufali: davanti a una mandria di bufali non si può opporre resistenza. Bisogna camminare al loro fianco per isolarli e portarli verso il baratro”.

Quando gli chiediamo come si possa contrastare il potere delle mafie legato alla loro capacità di creare posti di lavoro, ci risponde che “bisogna usare le risorse del territorio per creare i posti di lavoro che oggi crea la mafia. Abbiamo spiagge, reperti archeologici e pinete dalla nostra parte, possiamo fare la differenza”.

Il sacerdote è sostenuto dalla lista civica Laboratorio Civico X e da alcuni partiti di sinistra, ma ha rifiutato alleanze politiche formali. La sua candidatura è stata contestata con forza da CasaPound, che nell’agosto scorso ha addirittura organizzato una manifestazione con cori e striscioni davanti alla chiesa di Santa Monica, dove Don Franco era parroco prima di candidarsi. CasaPound lo descrive come un sacerdote politicizzato, immigrazionista e vicino ai centri sociali. “Ma noi non facciamo discriminazioni, mettiamo solo l’essere umano davanti alla politica” spiega Don Franco, che a Santa Monica è anche responsabile della Caritas.

Tra i sostenitori del sacerdote c’è anche Tano Grasso, docente di storia delle mafie e presidente onorario della Federazione antiracket italiana.

ostia-the-vision

Mafia o non mafia

Quando incontriamo Don Franco veniamo ricevuti in un garage buio, con i resti di una riunione ancora su di un tavolo e le pareti dipinte con murales stravaganti. Gli chiediamo se a Ostia sia corretto parlare di mafia. “Sono tredici anni che io e Tano Grasso ne parliamo, ma all’inizio nessuno ci ha dato retta”, spiega il sacerdote.

La Magistratura non ha mai riconosciuto con sentenza definitiva il 416 bis all’interno della città di Roma. Non successe con la Banda della Magliana, non è successo con Mafia Capitale (anche se si è in attesa del ricorso in appello), non succede neanche sul litorale. A Ostia è stato però riconosciuto in alcune sentenze non definitive – ultima delle quali giunta lo scorso 4 ottobre a danno di sette affiliati al clan Spada – il metodo mafioso, cioè quello costituito da “particolare coartazione psicologica” e intimidazioni. Stando però alle sentenze di Mafia Capitale, a Roma una mafia autoctona non esiste, e Ostia – nonostante lo scioglimento per mafia e la sentenza di primo grado dell’inchiesta “Nuova Alba” che ha riconosciuto l’associazione di stampo mafioso – non sembra far eccezione. Per la Magistratura si tratta di un sistema complesso di corruzione, ma non di mafia. L’elemento più interessante a riguardo è il processo ai Fasciani, dove l’associazione mafiosa è stata riconosciuta in primo grado ed è caduta in secondo. Ora, dopo l’annullamento della sentenza della corte di merito da parte della Suprema Corte di Cassazione, una nuova sezione della Corte d’Appello di Roma è chiamata a pronunciarsi su Carmine, Terenzio, Sabrina, Azzurra e Alessandro Fasciani, Silvia Bartoli (moglie di Carmine), Riccardo Sibio e Jhon Gilberto Colabella.

Tuttavia, sul litorale esistono le minacce, le intimidazioni e anche gli omicidi e le torture. A Ostia esistono la paura e il disinteresse. “Qui ci sono piedi che non vanno calpestati, bisogna saper vivere in un sottile equilibrio” ci riferisce una fonte.

La cavalcata dei fascisti

Nel vuoto istituzionale creato da malagestione e commissariamento l’unica forza politica che emerge con prepotenza è quella di CasaPound. Il movimento neofascista viene dato al 10%, sopra ogni risultato mai ottenuto a livello nazionale.

L’uomo forte di CasaPound sul litorale risponde al nome di Luca Marsella. Trentadue anni, da 15 attivo in politica, Marsella e la sua fidanzata Carlotta Chiaraluce sono in campagna elettorale permanente da più di un anno. Gli unici manifesti elettorali che si trovano nel Municipio ritraggono il volto cupo di Marsella, con uno sguardo torvo. Si incontrano all’Idroscalo, in pieno centro, ad Acilia, all’Infernetto, all’Axa e anche lungo la Colombo, l’Ostiense e la Via del Mare. Marsella sembra essere ovunque, come fosse l’unico candidato esistente sul territorio.

A Ostia i militanti neofascisti di CasaPound si sono messi in luce grazie a blitz anti-immigrati e ad attività di sostegno alimentare fornito alle famiglie italiane in difficoltà. Presunti episodi di violenza hanno riguardato esponenti del movimento di estrema destra: Luigi Zaccaria, poliziotto e candidato consigliere di Forza Italia, ha riportato di aver ricevuto quattro pugni in pieno volto da attivisti di CasaPound, ma è stato querelato dal movimento, che ritiene abbia dichiarato il falso. Un volontario dell’Alternativa Onlus, Diego Gianella, sarebbe stato inoltre mandato in ospedale dalle percosse di alcuni neofascisti. Nessuna condanna è stata ancora emessa per tali fatti, fatta eccezione per quella non definitiva emessa nei confronti di Marsella, che nel 2008 minacciava di morte alcuni attivisti che manifestavano contro l’apertura di una sede di CasaPound.

Ma c’è un’altra ombra che circonda la figura di CasaPound. Alcuni esponenti del movimento avrebbero infatti allacciato rapporti ambigui con la criminalità lidense. Esiste una fotografia ormai famosa che immortala Luca Marsella abbracciato con Roberto Spada, pugile e fratello di Armando detto “Romoletto”, ritenuto il reggente dell’omonimo clan. Secondo gli inquirenti la famiglia Spada, di origine sinti, è attiva nell’usura, nel traffico di droga e nel racket delle case popolari. Più volte questa fotografia è stata divulgata, e Marsella si difende spiegando come essa sia stata scattata in occasione di una festa di piazza organizzata da Casapound nel quartiere popolare di Nuova Ostia. Ma la festa fu organizzata da CasaPound insieme all’associazione Femus Art, presieduta da Elisabetta Ascani, compagna di Roberto Spada. “È un’associazione che toglie i bambini dalla strada, fa far loro danza, e l’abbiamo perciò inclusa”, ci spiega Marsella.

Ma c’è altro. Su Facebook Carlotta Chiaraluce e Roberto Spada, che non nasconde le proprie simpatie per il fascismo, interagiscono come amici di lunga data. Lo scorso 27 ottobre Roberto Spada ha pubblicato sul social network un vero e proprio endorsment a favore di CasaPound

Luca Marsella non è l’unico ad avere rapporti con soggetti riconducibili ai clan. Nel novembre del 2014 scattano infatti le manette per Armando Spada e Ferdinando Colloca, in precedenza candidato con CasaPound. La motivazione è da ricercarsi nel giro di tangenti che – attraverso il dirigente municipale Aldo Papalini – avrebbe permesso alla Blue Dream srl di accaparrarsi la gestione dello stabilimento Orsa Maggiore. La società era nelle mani di Armando “Romoletto” Spada per il 60% e di Colloca per il rimanente 40%. Per l’assegnazione degli stabilimenti Colloca è stato condannato in primo grado a tre anni e quattro mesi, mentre Armando Spada a cinque anni e otto mesi. Aldo Papalini, ex direttore tecnico e dell’unità operativa ambiente del Municipio, condannato, nell’ambito dello stesso processo, a otto anni e sei mesi, è il primo dipendente della pubblica amministrazione ad essere condannato con l’aggravante del metodo mafioso per reati commessi in prima persona.*

Colloca continua a dichiararsi innocente, e Marsella lo difende spiegando che – appena saputo dell’inchiesta – egli “si autosospese da CasaPound”. Al momento della propria candidatura Colloca scriveva:Credo, che solo movimenti come CasaPound possano fermare, o contribuire a farlo, un sistema politico ammalato e corrotto che in tutti questi anni ha messo in ginocchio il nostro Paese”.

Le elezioni

Ostia è un territorio scivoloso per la politica. Forse per questo motivo la campagna elettorale di queste settimane sembra più un nascondino che  una competizione democratica. Il M5S, che qui nelle scorse elezioni ha toccato quota 44%, è in perdita netta, pur rimanendo il partito favorito (28%). Dopo la debacle di Tassone, ex Presidente di Municipio del PD condannato a cinque anni nella cornice di Mafia Capitale, il Partito Democratico ha deciso di candidare Athos De Luca, 70enne ben addentro alle dinamiche politiche della Capitale. La sua figura è quotata al 12%, mentre si prevede che Don Franco possa raggiungere il 4-5%.

Sono elezioni complicate. Per Virginia Raggi assomigliano a elezioni di mid-term, e il rischio di una figura magra è significativo. Ne è ben consapevole Luca Marsella, che ci spiega come “Il fallimento della Raggi peserà moltissimo su queste elezioni. In molti ci dicono di votarci perché delusi dai grillini”.

Il movimento guidato da Marsella non va forte solo a Nuova Ostia, dove il clan Spada gestisce il racket delle case popolari e CasaPound aiuta le famiglie in difficoltà. Anche l’Idroscalo, che segna il confine tra Ostia e Fiumicino, è tappezzato di suoi manifesti. Qui fino a pochi decenni fa c’erano le baracche di chi sognava una casa al mare senza potersela permettere. Oggi la situazione non è molto diversa da allora. Ci sono alloggi di fortuna e intere comunità che devono fare i conti con il Tevere che esonda e con la mancanza di servizi di base quali luce e gas. “CasaPound rischia di vincere pure qui – ci racconta sbalordito un signore mentre passeggia lungo Via dell’Idroscalo – Ma ve rendete conto? Qui c’hanno ammazzato Pasolini, e mo ce sta CasaPound. Io ve lo giuro, se non vivevo qui avrei pensato che era un film”. E invece è realtà.


Rettifica ex art. 8 L. 47/1948 di lunedì 22 gennaio 2018 Ore 09:45

*Con riferimento all’articolo “Come il Clan Spada e CasaPound si sono presi Ostia” pubblicato il 3 novembre 2017 riceviamo e pubblichiamo la seguente richiesta di rettifica a firma di Ferdinando Colloca, pervenuta via email:

“L’articolo nel riportare la notizia di presunte collusioni tra il c.d. clan Spada e il movimento politico CasaPound ha riferito notizie non veritiere che riguardano la mia persona.

Si afferma testualmente nel citato articolo che “Luca Marsella non è l’unico ad avere rapporti con soggetti riconducibili ai clan. Nel novembre del 2014 scattano infatti le manette per Armando Spada e Ferdinando Colloca, in precedenza candidato con CasaPound. La motivazione è da ricercarsi nel giro di tangenti che – attraverso il dirigente municipale Aldo Papalini – avrebbe permesso alla Blue Dream srl di accaparrarsi la gestione dello stabilimento Orsa Maggiore. La società era nelle mani di Armando “Romoletto” Spada per il 60% e di Colloca per il rimanente 40%. 

Premesso che la società BLUEDREAM è composta da DAMIANO FACIONI (amministratore) MATILDE MAGNI ed il sottoscritto con quote minoritarie e che Armando Spada è solo parente del Damiano Facioni e non è il “romoletto” citato nell’articolo, l’articolo lascia dunque intendere altro, inducendo in errore il lettore. 

Chiaro l’intento del giornalista: ricollegare, per il mio tramite, il movimento CasaPound al c.d. clan Spada ed ai fatti criminosi di cui questi ultimi si sarebbero resi responsabili.

Al riguardo, ritengo doveroso precisare ancora una volta di non essere mai stato il leader di CasaPound e di non avere mai neppure ricoperto cariche dirigenziali all’interno di tale movimento. Ho aderito a CasaPound quale semplice simpatizzante e tale adesione è intervenuta solamente nel dicembre del 2012: dopo, quindi, la pretesa commissione di quei fatti di reato, ancora sub iudice, che mi sono stati erroneamente attribuiti”.

***

Al riguardo, riteniamo a nostra volta doveroso specificare quanto segue:

il soprannome “Romoletto” pare sia effettivamente da attribuirsi al più noto Carmine Spada e non ad Armando, cugino, per quanto riportato dalla stampa, di questi e di Roberto Spada.
Stando alla visura della Società, le quote di BluDream Srl (e non BlueDream come riportato nell’articolo, nonché nella richiesta di rettifica) risultano effettivamente suddivise tra Damiano Facioni (per il 60%) e Ferdinando Colloca (per il 40%), ma preme ricordare che, secondo quanto ampiamente riportato da svariate testate, dagli atti del procedimento penale – tuttora pendente – avente ad oggetto l’aggiudicazione, avvenuta nell’estate del 2012, della gestione dello stabilimento balneare Orsa Maggiore di Ostia, sarebbe emerso come Armando Spada (strettamente imparentato con Damiano Facioni)  ne fosse un socio di fatto (tra i molti, cfr. Corriere, Repubblica, Blitz Quotidiano, Fanpage, Il Corriere del Mezzogiorno).

In ordine ai rapporti intercorsi tra il sig. Colloca e CasaPound, l’articolo pubblicato da The Vision riporta certamente una informazione corretta, atteso che Ferdinando Colloca si è candidato con il predetto Movimento alle elezioni regionali del Lazio del 2013 – quindi prima della sottoposizione a misura cautelare nell’ambito del menzionato procedimento penale – come anche risulta dalla “Lettera aperta” che lo stesso ha pubblicato su Facebook il 19 dicembre 2012. Dato che prescinde dall’eventuale accertamento in via definitiva delle responsabilità sin qui attribuitegli dall’autorità giudiziaria in relazione ai ricordati fatti del luglio 2012, relativi alla aggiudicazione della gestione del citato stabilimento balneare da parte di BluDream.

Segui Gabriele su The Vision