Quando parla la Meloni il Museo Egizio mette mano alla cultura - THE VISION

“Non v’arrabbiate, non li conosciamo”. Il succo dell‘affaire Museo Egizio sta tutta in questa risposta di Giorgia Meloni, una delle tante, claudicanti argomentazioni della candidata di Fratelli d’Italia, contenuta nel celebre video dello scontro fra l’amichevole volto della destra italiana (così l’ha etichettata The Guardian) e il direttore del museo di Torino, Christian Greco.

Un video che, nonostante sia diventato l’ennesima occasione di dibattito in questa – triste ed inconcludente – campagna elettorale, non fa altro che manifestare tutta l’assurda vacuità delle rivendicazioni della destra italiana.

A inizio dicembre 2017 la Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino – la denominazione corretta non è secondaria, come si spiegherà più avanti – ha lanciato la campagna Fortunato chi parla arabo, che prevede due ingressi al prezzo di uno per i “nuovi torinesi” di lingua araba. L’iniziativa non è una novità assoluta, ma risale all’anno precedente e aveva ottenuto degli ottimi risultati. Era il dicembre 2016 e i media italiani salutavano con entusiasmo l’intraprendenza del giovane Christian Greco – in Italia che un direttore di museo abbia appena 43 anni genera ancora un certo stupore. Persino i media più vicini al mondo cattolico ne tessevano le lodi: a colpire positivamente non era solo la volontà inclusiva dell’iniziativa, perché “il museo deve guardare a tutti”, ma anche la sua portata strategica. La Fondazione aveva infatti condotto un’attenta mappatura del territorio dalla quale risultava che il potenziale bacino d’utenza avrebbe riguardato ben 33.545 persone di lingua araba, regolarmente residenti nella Provincia di Torino (di cui 4.700 Egiziani) e 24.114 nel solo Comune. Quel che si dice un’ottima trovata. Nel 2016 la campagna elettorale era ancora lontana.

A dicembre 2017, quando appunto l’iniziativa è stata rilanciata, l’appassionante gioco dell’acchiappa voti era però già iniziato, e i cartelloni pubblicitari sugli autobus di Torino – protagonista una coppia di origine arabe – non potevano certo passare inosservati agli occhi dei difensori dell’italianità. Per di più, la donna ritratta porta il velo e che ci sono anche delle scritte in arabo: non sia mai che dietro quelle due facce sorridenti si nasconda un incitamento all’invasione. Augusta Montaruli, membro dell’Esecutivo Nazionale di Fratelli d’Italia, e Patrizia Alessi, esponente di Fratelli d’Italia alla Consulta Pari Opportunità, si sono dunque affrettate a inviare una nota congiunta alla Commissione Pari Opportunità della Regione Piemonte, al Museo Egizio e a Gtt, la società di gestione del servizio pubblico, per “far togliere immediatamente tutti i cartelloni dai mezzi pubblici” di “questa assurda iniziativa”.

L’accusa principale delle indignatissime esponenti di FdI è la discriminazione “al contrario” nei confronti delle persone non arabe, fatta – udite udite, combattenti di mare dell’aria e della terra – con gli italici soldi degli italici compatrioti. Il difensore della patria libera dagli immigranti che ci rubano il lavoro e le castagne, Matteo Salvini, ha subito tirato fuori uno dei suoi classici post su Facebook : “Razzismo contro gli italiani, pazzesco!”,  concludendo con un bel “FAI GIRARE tu questa vergogna.” Che meraviglia la campagna elettorale via social.

Ma è Giorgia Meloni la vera protagonista di questa guerra santa in stile armata brancaleone. Mentre venerdì 9 febbraio si trovava a Torino per fare campagna elettorale, indomita e scevra da qualsiasi paura, Giorgia Meloni ha organizzato una protesta all’esterno del Museo Egizio per contestare l’iniziativa dedicata a chi parla arabo. Forse non si aspettava che il direttore sarebbe sceso in strada per incontrarla, regalarle un libro e motivare nei dettagli la propria decisione.

Quando ha saputo che un capannello di persone si era radunato per protestare davanti all’ingresso del museo, Christian Greco ha infatti raggiunto Meloni per spiegarle le ragioni dell’iniziativa, dando vita così al celeberrimo video che altro non è se non l’incontro fra una persona che sa fare il suo lavoro, argomentare le proprie idee e giustificare – dati alla mano – le proprie iniziative, e una persona che invece non ne sa assolutamente nulla ed è lì giusto per buttarla in caciara.

Lo schema è tristemente chiaro, fin dalle prime battute: Meloni tenta l’immediato affondo con il jolly “Stiamo dicendo che non ci piace la discriminazione verso gli italiani, perché quello che prevedete per gli stranieri non lo state prevedendo per gli italiani”, ma il colpo diventa un boomerang. Dalla folla qualcuno grida “ma ci sono gli sconti per gli italiani, ci sono sempre”. Ed è in quell’istante che ha inizio la disfatta. Meloni prova a buttare lì un timido “Non v’arrabbiate, non li conosciamo”, ma il giovane direttore, così impertinente nella sua gentilezza e preparazione, smonta pezzo per pezzo tutte le accuse che gli vengono rivolte.

Ricorda che la cultura è universale e che il primo obiettivo dei musei è quello di farsi visitare. Fa notare che il Museo Egizio organizza continue promozioni, rivolte a chiunque. Meloni prova a ribattere che l’iniziativa discrimina chiaramente su base religiosa e Greco le ricorda che parlare arabo e provenire da un Paese in cui si parla quella lingua non significa necessariamente essere musulmani. Greco, infine, ricorda anche che i bilanci sono in attivo e che l’istituzione non grava sulle finanze pubbliche, altra cosa che Meloni non sembra avere molto chiara.

Insomma, per Giorgia Meloni l’avanzata in terra sabauda si rivela una gigantesca figuraccia –probabilmente, se riguardasse qualcun altro, anche lei acconsentirebbe a chiamarla “‘na figura demmerda”.

Il video ha suscitato un’infinità di commenti, quasi tutti a sostegno del direttore e della sua iniziativa. Anche il Mibact, in una lettera diffusa da due comitati tecnici-scientifici del Ministero, ha espresso “Solidarietà e piena condivisione” al direttore del Museo Egizio di Torino “per le scelte culturali aperte e intelligenti”.

Ma chi pensava che una brutta figura potesse fermare l’esercito capitanato da Giorgia Meloni “sempre, ovunque e prima di tutto, italiana”come si definisce anche sul proprio account Twitter – è rimasto deluso. Perché il non pago Fratelli d’Italia ha deciso di contrattaccare immediatamente con una mossa che in gergo tecnico va sotto il nome di “ripicca”, cioè uno “sgarbo fatto per opposizione preconcetta, per risentimento esagerato e puntiglioso”.

Così, domenica 11 febbraio FdI ha diffuso un comunicato di Federico Mollicone, responsabile della comunicazione nazionale del partito: “Stiano tranquilli il direttore Greco e gli estensori dell’anacronistico appello: una volta al governo Fratelli d’Italia realizzerà uno dei punti qualificanti del proprio programma culturale che prevede uno spoil system automatico al cambio del Ministro della Cultura per tutti i ruoli di nomina, in modo da garantire la trasparenza e il merito, non l’appartenenza ideologica”. Ecco una stoccata decisa, dai toni alquanto minacciosi, oltretutto. Peccato che non abbia fatto altro che manifestare una volta di più – se ce n’era bisogno – la desolante mancanza di preparazione di un partito che si candida a guidare il Paese.

Come sottolineato all’inizio, l’istituzione torinese si chiama “Fondazione Museo delle Antichità Egizie”: costituita ufficialmente il 6 ottobre 2004, rappresenta il primo esperimento di costituzione da parte dello Stato di uno strumento di gestione museale a partecipazione privata, come si legge anche sul sito. Proprio in virtù di questa ragione sociale e proprio per rendere più equilibrata la gestione dell’organizzazione, al ministero dei Beni e delle Attività Culturali spetta soltanto uno dei cinque posti nel Consiglio di amministrazione. La scelta degli altri componenti del Cda che gestisce questa prestigiosa istituzione culturale spetta agli altri fondatori: città di Torino, regione Piemonte, Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT (cassa di risparmio di Torino). Di conseguenza nessun ministro – neanche il più rampante di Fratelli d’Italia– avrebbe il potere di rimuovere Christian Greco, direttore che è stato scelto, tramite un bando, tra vari candidati con significative esperienze e adatta formazione accademica.

Il governo, dunque, non può in alcun modo intervenire per la sua rimozione. Al più potrebbe promuoverla, portando in Cda ragioni più che valide – che ovviamente non esistono. A meno che non si voglia fare come la Polonia, che ha deciso di licenziare la direttrice del Polnisches Institut Berlin per aver proposto una curatela ritenuta “troppo filo-ebraica” come l’ha definita l’ambasciatore polacco in Germania Andrzej Przyłębski. Ma di epurazioni ideologiche, davvero, dovremmo averne avute già abbastanza.

Scosso dalle diverse agenzie e dai titoli di giornale che avevano attribuito a Fdl la volontà di far cacciare Greco, il responsabile della comunicazione del partito ha scritto un post su Facebook per chiarire la posizione e il senso del comunicato di ieri. Ha addirittura parlato di fake news.

Il succo di questa storia è – purtroppo – fin troppo banale: se le cose non si conoscono, conviene informarsi prima di parlare. Altrimenti, l’unico risultato possibile è una gigantesca figura demmerda.

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