La Cei vorrebbe usare i soldi delle tue tasse per finanziare le sue scuole - THE VISION

Immagina di essere il sindaco di una città che ha qualche problema con il traffico. Una mattina irrompe nel tuo ufficio un tale, dicendo che ha un’idea che risolverà i tuoi problemi. Lo conosci, ha messo su un servizio di minibus in alcuni quartieri – è stato anche accusato di discriminazione perché assume solo determinate categorie di autisti. Ma insomma, che vuole? “I miei bus hanno qualche problema”, dice, “non sono abbastanza competitivi”. Come se fosse un tuo problema di sindaco. Gli suggerisci di abbassare le tariffe. “Non ce la faccio”, ammette lui, “ma ho un’altra idea. Perché non calare le tasse ai cittadini che scelgono di usare i miei bus invece che i vostri?” Tu ti domandi se hai capito bene. “Sì, hai capito bene! In questo modo darai ai cittadini il vero diritto di scegliere, e io riuscirò a riempire i miei veicoli.” Tu gli fai notare che se lui riempie i suoi, quelli del servizio pubblico si svuoteranno. “Meglio così, no? In questo modo potrai togliere alcune tratte, licenziare qualche autista e risparmiare un sacco di soldi! Ci stai?”

Se il tizio vi sembra un matto, spero che non siate devoti cattolici. Perché è più o meno quello che la Conferenza Episcopale Italiana sta chiedendo da anni: siccome la scuola statale ha dei problemi lo Stato dovrebbe finanziare le scuole paritarie cattoliche. Così finalmente potrebbero essere competitive – nel senso che potrebbero sottrarre alle scuole statali una maggiore fetta di utenti. In questo modo, secondo tanti vescovi e insigni personaggi, lo Stato risparmierebbe. E non poco: miliardi di euro! Proprio così. Chiedono soldi allo Stato per far risparmiare lo Stato. Paradossale, vero? Ma non potrebbero fare diversamente. L’articolo 33 della Costituzione parla chiaro: ai privati è garantito “il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione”, ma… “senza oneri per lo Stato”. Quindi l’unico sistema per scucire un po’ di soldi dal Ministero è dimostrare che buttandoli a pioggia sugli istituti paritari, lo Stato ne risparmierà. E per quanto possa essere difficile convincere qualcuno a risparmiare dei soldi regalandoteli, i cattolici non hanno mai smesso di provarci.

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Suor Anna Monia Alfieri

È tempo di conoscere suor Anna Monia Alfieri, presidente della federazione di scuole cattoliche Fidae Lombardia, e portavoce di chi in Italia lotta per il diritto di iscrivere i figli alle scuole paritarie. Un mese fa ha ottenuto un grande successo: ha presentato il suo nuovo piano, il Costo Standard di Sostenibilità, al ministro dell’istruzione Fedeli, che lo ha trovato interessante (e non c’è dubbio che lo sia). Si tratta in effetti di una specie di rivoluzione copernicana: fino a questo momento le famiglie che ritengono giusto iscrivere i propri figli alle paritarie hanno dovuto pagare una retta, che mediamente oscilla tra 2000 e i 4000 euro all’anno (a cui lo Stato aggiunge il Buono Scuola, una mancetta di 500 euro). Che una famiglia debba pagare una retta per suor Alfieri è sommamente iniquo, dal momento che la stessa famiglia paga le tasse, e che parte di quelle tasse servono a pagare la scuola pubblica a tutti gli altri studenti. Secondo suor Alfieri chi paga la retta non dovrebbe pagare le tasse. Semplice.

Si potrebbe obiettare che la scuola pubblica è tale proprio perché la paghiamo tutti: e non paghiamo solo per i nostri figli, ma anche per i figli degli altri. La paghiamo anche dopo che i nostri figli si diplomano. La paga anche chi figli non ne ha proprio. Suor Alfieri ci risponderebbe probabilmente che questo è un modo vetusto di vedere la cosa pubblica, e che il futuro è la sussidiarietà: dove non arriva il pubblico con le sue scuole costose (costose?) può arrivare il privato più agile e snello. Anche se non è esattamente quello che sta succedendo. Per ora, anzi, il contrario.

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Il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli

Gli iscritti alle paritarie in cinque anni sono crollati del 13%. Un effetto della crisi (che però in teoria è finita) e della denatalità – ma per fortuna aumentano gli studenti stranieri, anche nelle paritarie. Per Suor Alfieri, si tratta dell’effetto di una vera e propria ingiustizia sociale. “Il sistema italiano è classista”, dice, perché “impedisce ai più poveri di iscrivere i figli in scuole non statali”. In effetti queste scuole non statali non solo costano parecchio di più alle famiglie, ma non garantiscono affatto risultati migliori, come continuano a mostrare le rilevazioni OSCE-PISA. Che senso ha pagare una retta per una scuola mediamente meno buona di quella che lo Stato ti fornisce gratis? E così, specie negli anni di crisi, gli studenti si sono progressivamente allontanati dalla scuola paritaria. Questo per suor Alfieri e tanti altri cattolici è un’ingiustizia: lo Stato dovrebbe aiutare le famiglie intenzionate a scegliere le paritarie, ma che non possono permetterselo. E ci risparmierebbe! Sì, ma come?

Ricordiamo che lo Stato spende già per l’educazione meno di ogni altro Paese dell’Europa occidentale (Irlanda esclusa). Eppure sono già 6400 euro a studente. Come fanno le scuole paritarie a spendere migliaia di euro in meno non potendo contare su analoghi contributi statali? Il sospetto è che si appoggino alle infrastrutture delle curie, che possiedono un po’ dappertutto in Italia immobili di pregio (su cui non pagano l’IMU); che gli ordini religiosi possano fornire un po’ di manodopera non troppo pagata; e che in generale gli insegnanti abbiano stipendi inferiori ai colleghi statali che, ricordiamolo per l’ennesima volta, sono tra i meno pagati d’Europa.

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Se le cose stanno così non sorprende poi molto che i risultati di queste scuole siano per ora inferiori a quelli delle scuole pubbliche: quello che in Italia sia pubblico che privato stentano a capire è che se vuoi un’educazione di qualità, ci devi investire soldi seri; attirare insegnanti bravi o formarli con cura; per ora invece abbiamo una corsa al risparmio che non è nemmeno destinata a rallentare, anzi: nei prossimi anni potremmo assistere a un’impennata, uno straordinario testa a testa tra poveri, una gara a chi taglia di più – anche grazie agli sforzi di suor Anna Maria Alfieri e al suo Costo Standard di Sostenibilità. Di che si tratta?

Dell’ennesimo tentativo di eludere l’articolo 33, però bisogna ammettere che stavolta l’approccio è davvero scientifico. Suor Alfieri ha messo assieme un pool di economisti che due anni fa hanno pubblicato uno studio serio, con tante tabelle e numeri. Invece di preoccuparsi di quanto costano le scuole adesso, si sono domandati: quanto dovrebbero costare? Quanto dovrebbe spendere la collettività per mandare un bambino alla scuola dell’infanzia (3201 euro all’anno), alla scuola primaria (3395 euro), alle medie (4390 euro), al liceo (dipende: ad esempio al biennio scientifico 4300 euro), a un istituto tecnologico e così via? Le cifre variano poi a seconda di diversi fattori (tra cui le eventuali difficoltà economiche della famiglia, la presenza nella classe di un alunno disabile, ecc.). Sono tabelle davvero bellissime – le ho guardate e riguardate sperando di trovare un grosso buco da qualche parte, ma fin qui non l’ho trovato. Sembra che suor Alfieri e i suoi abbiano davvero calcolato tutto: lo stipendio medio dell’insegnante (non bassissimo), quello del dirigente e del suo staff; i bidelli; le utenze, le visite d’istruzione, i progetti di integrazione, il sostegno eccetera. Grazie a queste tabelle, oggi sappiamo qual è il Costo Standard di Sostenibilità di uno studente, ovvero quanto costa mandarlo a scuola. Indovinate? Costa meno di quello che spende oggi lo Stato: ma non un po’ meno: qualcosa come “dai 2,8 ai 7 miliardi” di meno, all’anno! Insomma è suor Alfieri ad aver scoperto un buco enorme in cui la scuola pubblica italiana ogni anno riversa un sacco di soldi. Ma sarà così? Senz’altro degli sprechi ci sono, ma in tanti casi lo Stato spende di più perché non si trova davanti quella situazione ottimale che è descritta dalle tabelle del libro. Lo Stato spende anche per scuole disagiate, nelle periferie o nelle montagne, magari poco frequentate, ma necessarie. Per scuole di città allocate in edifici storici più difficili da riscaldare (per i quali a volte lo Stato paga l’affitto). Non è che spenda tantissimo (rispetto alla media europea), e magari non spende sempre in modo oculato, ma non può certo competere con un’idea di scuola astratta che per ora si trova soltanto nelle tabelle del libro, con tot alunni egualmente distribuiti su tot classi in tot corsi.

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Invece suor Maria è convinta che la scuola pubblica, già vittima di tagli straordinari nello scorso decennio, debba essere messa in competizione con altre scuole che, sulla carta, costano persino meno (ma per ora non ottengono risultati migliori). Una volta individuato il Costo Standard, non ci sarà più bisogno di buoni scuola: saranno le famiglie a scegliere. Se sceglieranno la scuola paritaria, pagheranno il Costo Standard direttamente alla paritaria, ma – attenti al trucco – non pagheranno l’equivalente in tasse. È il modello della sanità, ci spiegano: dove non arriva il servizio pubblico, ci pensano i privati. Sussidiarietà! A dire il vero fin qui tutto sommato è il pubblico che è arrivato dappertutto, dai più remoti paesini alle isole – e se nelle cliniche cattoliche è più difficile trovare chirurghi che praticano l’aborto, il sospetto è che anche nelle scuole cattoliche non sarà così facile trovare insegnanti che spiegano come l’aborto sia un diritto, cosa siano il testamento biologico, le unioni civili anche tra persone dello stesso sesso (gli insegnanti gay non sembrano avere vita facile nelle scuole cattoliche) e tante altre cose che fanno parte del mondo in cui viviamo, ma vanno contro quelli che i cattolici definiscono “valori non negoziabili”.

Non è così strano che la CEI voglia difendere questi valori nelle sue scuole – non si capisce però perché lo debba fare a spese dei contribuenti italiani, tutto qui. Perché quello che la CEI, per bocca di suor Alfieri, ci sta proponendo, è di usare i soldi delle tasse di tutti per pagare un biglietto dell’autobus a chi vuole andare sull’autobus privato. Un autobus guidato da un autista che non è selezionato meglio di quello pubblico, né è meglio pagato; ma almeno arriva più in orario? Oggi no, domani – se lo paghiamo tutti un po’ di più – chissà.

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