Milano sgombera chi occupa e salva i gentrificatori di Macao

“Non esistono aree franche in città!”

Potrebbe sembrare una battuta di The Wire e invece si tratta dell’ultima dichiarazione dell’Assessore alla Sicurezza di Milano, Carmela Rozza, a proposito dello sgombero dell’ex scuola media Colombo di Villapizzone.

A febbraio di quest’anno, in periferia, era già scattato un altro sgombero in via Fortezza 27. Alcuni immigrati, molti con regolare permesso di soggiorno, avevano occupato l’ex sede della fabbrica De Marco e la multinazionale ormai in disuso era diventata un centro autogestito, dove venivano organizzate una scuola di italiano e “cene solidali”. Chiaramente questo esperimento non poteva che avere vita breve. Appena la voce si è sparsa, infatti, qualche persona perbene ha pensato giustamente di impegnarsi a ogni costo per far sì che questo tentativo di abitazione sociale venisse interrotto. Così, questa piccola comune avanguardista è stata sgomberata e la pace è stata ristabilita.

Dopo la crisi economica del 2008, si è discusso molto di come riprendersi gli spazi abbandonati, di come far tornare a vivere questi luoghi, rendendoli utili e magari anche redditizi. Berlino e Lisbona ce l’hanno fatta alla grande, e anche Milano ci ha provato. L’associazione Temporiuso, ad esempio, iniziò a censire tutti i luoghi in disuso della città – molti più di quelli che potete immaginare: interi edifici privati, appartamenti, uffici, ex scuole, edifici pubblici abbandonati da anni – sperando di riuscire a risistemarli in qualche modo. Un’apparente lotta ai mulini a vento, se altri esempi internazionali non dimostrassero il contrario.

“Risistemare”, “dare nuova vita”, “riqualificare”, “valorizzare” sono tutti termini che in Italia possono voler dire molte cose diverse. Alcuni edifici che erano stati occupati, infatti, sono stati demoliti per far spazio a osceni complessi residenziali, è il caso del leggendario centro sociale Bulk (se cercate su Google trovate prima un “ristorante gourmet”), storico edificio della Milano underground. Il centro sociale Leoncavallo, icona della resistenza comunista milanese da almeno quarant’anni, non se la passa meglio e deve continuare a lottare contro lo sfratto. Un altro esempio, in pieno centro, è la palazzina Moriggi: gli inquilini si erano pure organizzati creando una specie di asilo condominiale, ma per i malcapitati non c’è stato niente da fare, anche questa è stata sgomberata dopo più di un decennio di occupazione per costruire appartamenti di lusso.

Quel che ha dichiarato l’assessore Rozza farebbe pensare a una visione politica unilaterale sulla questione Occupazione a Milano. Eppure ci sono eccezioni, casi speciali di fortunate e felici occupazioni di “beni pubblici”. Senza polizia, carabinieri, lacrimogeni, arresti e manganelli. Queste eccezioni in realtà sono una, e questa eccezione si chiama Macao.

Macao nasce nel 2012, grazie a un gruppo di ragazzi che occupano la Torre Galfa, edificio iconico milanese vicino alla stazione centrale. Proprietario: Salvatore Ligresti. L’occupazione dura qualche settimana, poi gli esponenti del Greater Good” e anche la Village Green Preservation Society, sempre siano lodati, si mobilitano, inizia così la caccia alle streghe (leggi: artisti, drogati, extracomunitari, etc). Della serie: aiutiamoli a casa loro, sì, ma se non hanno una casa cazzi loro. La polizia si mobilita. L’occupazione della Torre Galfa diventa un caso pubblico e l’allora nuovo sindaco Pisapia scende in strada insieme al suo fedele assessore per tranquillizzare l’opinione pubblica e per stare vicino ai ragazzi, dimostrando di essere un sindaco di tutti. Forse una mossa politica per farsi vedere vicino al suo giovane elettorato, in cui probabilmente ha influito anche un po’ di nostalgia da ex sessantottino, non si sa, ma si apre un dibattito articolato e lo sgombero avviene pacificamente. Sui muri della Torre restano solo le scritte e gli striscioni. Son ragazzi.

Dopo poco lo stesso gruppo di ragazzi occupa un altro edificio in centro, vicino a Brera: Palazzo Citterio, edificio settecentesco con un parziale intervento di James Stirling – unico lavoro in Italia del famoso architetto inglese. L’occupazione dura pochissimo: un paio di giorni. “I ragazzi” si sono spinti un po’ troppo vicino alle banche, alla Scala, all’alta borghesia milanese e alle istituzioni. Stavolta nessun aiuto da Palazzo Marino.

Eppure qualcosa accade, perché Macao come per magia trova la sua nuova casa nella palazzina dell’ex borsa del macello in Via Molise. Miracolo a Milano. Un insediamento, accompagnato o mascherato, su cui sembra che il comune abbia chiuso un occhio. Un’occupazione a 5km dal centro e non a 500m dal Duomo, in effetti, è molto meno problematica, anzi, è quasi desiderabile. Milano, in fondo, ambisce a essere una grande città europea, e ogni grande città europea che si rispetti deve avere una realtà come Macao, che infatti diventa subito un luogo di rilievo per la città, un luogo dove succedono cose, eventi, concerti, conferenze, piccoli festival di editoria indipendente. Resta il fatto che sia un’eccezione, il figliol prodigo a cui è stato donato l’agnello migliore.

Pare che il comune, dopo anni, abbia anche deciso di mettere in vendita l’edificio. Sul sito di Macao è possibile fare una donazione per aiutare l’associazione ad acquistare lo stabile. Se ciò accadesse davvero sarebbe uno schiaffo a tutto il mondo dell’associazionismo milanese che cerca di sopravvivere in città partecipando a bandi, del comune, per spazi vuoti a canoni calmierati che spesso non riesce a pagare – essendo per statuto non a scopo di lucro; per non parlare di chi ha preso impegni importanti per creare luoghi che si propongono di produrre cultura come BASE Milano, un investimento di svariati milioni di euro, risultato di un bando pubblico, del Comune, per la concessione di spazi abbandonati dell’ex Ansaldo, oppure mare culturale urbano, altro progetto ambizioso che vuole costruire un polo culturale nella periferia nord-ovest della città, con un investimento di oltre 8 milioni di euro per riqualificare un’area degradata, in aria di ulteriore espansione.

Mi chiedo allora perché se decidiamo che non si può occupare, e sgomberiamo chi ha necessità di una casa e si auto organizza occupando un ex edificio per uffici, non sgomberiamo anche chi occupa un edificio pubblico, che è quindi anche tuo e mio, dove vengono organizzati eventi importanti, all’apparenza senza uno standard minimo di sicurezza. Abbiamo capito che Macao è una realtà particolare, e anche se a un primo sguardo potrebbe sembrare la stessa cosa in verità è molto diverso dal Bulk. Condividendo il principio di riappropriazione degli spazi in disuso, anche attraverso l’occupazione, non capisco come alcuni possano e altri no. Sarebbe più logico, se così stessero le cose, dare a tutti la possibilità di occupare e organizzare concerti, eventi, palestre, cucine sociali, scuole di italiano per immigrati.

Fotografia di Luca Chiaudano

Macao ha avuto il merito di portare sul tavolo della politica locale il tema di edifici abbandonati e spazi dormienti che potrebbero essere invece dati in uso a persone capaci di rivitalizzarli, riqualificando interi quartieri e aree degradate. Ciò non toglie che a Macao è stato permesso di accaparrarsi un diritto che ad altri non è stato concesso. Qual è allora il vero discrimine? La provenienza dell’occupante? Il suo status sociale?

Per quanto possa essere condivisibile ciò che afferma l’assessore Rozza, è chiaro che con il pugno di ferro si perdano opportunità importanti. Murare porte e finestre, da un lato aiuta forse a ripristinare l’ordine prestabilito (sempre un po’ sopravvalutato), dall’altro soffoca la potenzialità di alcuni progetti che avrebbero bisogno di essere accompagnati dalle istituzioni e che devono trovare nuovi strumenti per dare spazio a proposte spontanee di rigenerazione urbana e sociale, alla vita.

È anche evidente che occupare non è per tutti, e così come la legge non è sempre uguale per tutti anche l’occupazione in città finisce con il fare le sue distinzioni.

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